Quid novi?

Rime inedite del 500 (XI-1)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XI[1 Di Cesare Caporali]Sotto finti d'Amor dolci sembiantiLa mia novella Circe oggi s'asconde,Quasi scoglio coperto in mezzo a l'ondeIo la vidi pur or. Fuggite amanti,Né v'inganni il mirar gl'abiti santi,Gli occhi leggiadri e le sue trecce bionde,Ch'in tronco, in sasso, in fera, in erba e in frondeSon per mutar altrui magici incanti,Et io, benché infelice, esempio umìlePur ne posso parlar, ch'in verde mirtoGià fui converso, ed or m'ha volto in pietra.Ove, se pur col tacito focileBattendo Amor qualche favilla impetra,Sappia il mondo che dentro arde il mio spirto.[2 Di Cesare Caporali]Chiedendo un bacio a la mia cara AmintaFra sé stessa ne fu gran pezzo in forse,Poi d'onesto rossor la faccia tinta,La dolce bocca per baciar mi porse.Da quel piacer allor l'anima vinta,Lassando il petto inver' le labbia corse,Né qui fermossi; ma di nuovo spintaDa le mie labbia a le sue labbia corse.Così restai senz' alma, et hor sospeso,Mi tiene in vita quel soave umoreCh'ella mi die' d'un novo spirto acceso.Mandat'ho già per cercar l'alma e 'l core,Né torna; anch'io, se vo, restarò preso.Che debb'io far, che mi consigli, Amore?[3 Di Cesare Caporali]Cercando va per quest' e quel sentieroVener' il figlio, ed io, lasso e dolenteNel core il tengo ascoso, onde la menteTutto in dubio rivolge il suo pensiero.Ché la madre è superba e il figlio altiero,E l'uno e l'altro in me puote egualmente,Se più l'ascondo, già son tutto ardente;Se l'appaleso, diverrà più fiero.Oltre ch'io so che castigare AmoreElla non vuol, né 'l cerca a tale effetto;Ma sol perché ne dia piant' e dolore.Dunque sta pur nascosto entro il mio petto,Ma tempra alquanto il grave e troppo ardoreChé più sicur'aver non puoi ricetto.[4 Di Cesare Caporali]Dopo tante percosse e tant'offeseSpogliati i tempii, accesa e ruinataE tante volte e di sì stran paeseA tanta gente in preda abbandonata,Misera Roma, e poi che l'arme hai steseNel tuo bel petto, ognor cerca l'entrataIl proprio figlio, quai schermi o difeseTi renderan mai più lieta o beata.Già regina del mondo, hor quella, hor questaGente ti die' tributo e fessi amicaOr di quei primi figli è spento il seme.Il Tebro il sa, ch'alla memoria anticaDi quei gran Scipii spesso alza la testaE con fronte di toro irato freme.[5 Di Cesare Caporali]Duetto d'amorePerch'aggio inteso, Amore,Che tu ti vai vantandoHavermi fatto una superchiaria,Hieri in presentia della donna mia,Dico che se pensandoAndrai la verità circa il mio onore,T'accorgerai che caschi in grande errore;E che, s'altro furoreTi commosse a parlar di me, parola,Tu menti per la gola.Perciò che se colei,Che del mio mal si pasce,Volgendo altrove i suoi bei raggi ardentiPiangere e sospirar mi fa sovente,Di questo già non nasceChe per te siano a scherno i giorni mieiAl mondo; ma la colpa è sol di lei.Dunque, se tu non seiPiù, come vuol' a me, crudo avversario,Taciti, temerario.Le sue dorate chiomeE i begli occhi lucenti,Che m'arsero e ligar con varii nodiPosson tormi a me stesso in mille modiL'abito e i portamenti,In cui vedem' quanto conforme e comeSia tutto il rest'all'angelico nome,D'ingiurïose somePotran sempre gravarmi e tormi assai;Tu già nulla, né mai.Ma forse occasioneTieni, cercando mecoPer introdurci insomma ad altro effetto;Ma depon l'ali del fuggir sospetto,Leva dal veder ciecoLa benda, o un'altra a me simil ne pone;A te tocca del campo l'elezione.Allora il paragoneBen si potrà veder che in uom che vivaNon hai prerogativa.Tu quel che vali e puoiTutt'in parole e 'n riso,In costumi, in sembianti, in guerra e 'n pace,Di vaga e bella donna alberga e giace;Ma qualora divisoDa questi il tuo poter tu mostri a noi,Vane le fiamme sono e i lacci tuoi,Chiamami ove tu vuoi,Purch'in difesa tua teco non siaL'empia nimica mia.E vedrai dove incorreChiunque non si misura,E la lingua ha veloce e le man pigre.Intanto l'ocean, l'Eufrate e 'l TigreSapran per avventuraCome d'obbligazion m'intendo sciorreS'in termin' ch'una volta il sol discorreIl ciel l'impresa a torreNon vieni, o mandi un per te in armi e presto,Ond'abbia il mentitor condegno merto.E per farne altrui certoIo Furore intervenni a tal protestoE a quanto si convien presente e desto;Ed in fede di questoIo Sdegno, ch'ogni ben volgo sossopra,Affermo di mia man quanto di sopra:Di marzo il giorno sesto,Dove albergano insiem Ira ed OrgoglioCon punta di pugnal fu scritto il foglio.[6 Di Cesare Caporali]Armata di quel fuoco e di quel ghiaccio,Che fu discorde in sé nostra natura,Con la sua falce adunca, in vest'oscura,Morte già per ferirmi alzava il braccio.Quando s'accorse il mio corporeo impaccioEsser senz'alma, che già lieve e puraNel vostro sol, ch'ogni altro sol oscura,La strinse Amor d'indissolubil laccio.Ch'io viva oggi in altrui, né seppi ell'ove,Colma di ira e stupor, quell'empia e riaTosto rivolse i fieri passi altrove.Cura dunque di me, donna, in voi siaVivendo sana, se di me vi move,Di conservar la vostra vita e mia.[7 Di Cesare Caporali]Sopra l'uccellare al frascato.Quando scuopre Ciprigna i suoi crin belliNe l'orïente, e ne promette 'l giornoPrend'io le reti e i prigionieri augelliPer fare a' novi augelli oltraggio e scorno.Fo quasi siepe di più rami e a quelliTendo l'inganno, e lor pongo d'intorno,Che col fallace canto i più rubelliScender dal ciel fanno al mortal soggiorno.Non longi entro alle fronde io mi raccolgo,Fo tirando uno stame, un cenno infidoCh'a terra invita quei ch'in aria stanno.Vengon poi: tiro un fune, entro li accolgo,Corro, e qual suol di noi l'empio tiranno,Parte ne fo pregion, parte n'uccido.[8 Di Cesare Caporali]Sopra l'uccellar al boschetto.Poco anzi che col volto e colle brinePorti l'aurora a noi la luce e 'l frescoCingo d'inganni picciol bosco e 'nvescoPoi mi prescrivo angusto entro confine.E da parti lontane e da vicineSemplici augei con falso metro adesco,E frodi spesso con l'augel rinfrescoDi Palla, che di Febo ha in odio il crine.Mostro l'augel notturno a un augel mioPrigioniero, ed ei canta e par che chiamiTal che sia per lo ciel l'aria battendo.Quei non sì tosto ha il pie' sui mortai rami,Che i vanni incauto invesca e cade, ond'ioLo piglio e ancido, e nuova preda attendo.[9 Di Cesare Caporali]Già non d'Africa vint'o soggiogataNé di Yuba, o Farnace, od altri eroiGiran pomposi i temerari tuoiTrionfi, or per via sacra, or per via lata.Ma quando ben vincessi, o che lodataVittoria, o che dirìan gl'Indi e gli Eoi?Questo crudel, dirìan, sui carri suoiMenò l'afflitta madre incatenata,Con tal' parole d'ira e duol presagheRoma dolente a pie' del marmo stavaD'una vittorïosa alta colonna,E con la man già vincitrice e donnaDe l'universo misurando andavaNel proprio petto le profonde piaghe.[10 Di Cesare Caporali]Chi può troncar quel laccio che m'avvinseSe ragion die' lo stame, Amor l'avvolse,Né sdegno il rallentò, né morte sciolse;Ma fede l'annodò, tempo lo strinse?Il cor legò, poi l'alma intorno cinse,Chi più conobbe il ben, più se ne tolse.L'indissolubil nodo in premio volsePer esser vinta da chi gli altri vinse.Convenne al ricco bel legame eternoSpregiar questa mortal caduca spoglia,Per annodarmi in più mirabil nodo.Onde tanto legò lo spirto intornoCh'al cangiar vita fermarò la vogliaSoave in terra e 'n ciel felice nodo.[11 di Cesare Caporali]Madrigale sopra lo spinello.Amor, di strali armatoFerìa molti pastor dal manco lato,Quando mosso a pietà l'eterno GioveDi tanta strage e scempioL'armi di man gli tolse; onde quell'empio,Per non dar fine alle sue antiche prove,Ad un bel cespo verdeDi bianche rose, ove l'avorio perde,N'andò correndo, e quindi or vibra iratoTante pungenti spineCh'ogni ninfa e pastor conduce al fine.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)