Quid novi?

Il Dittamondo (2-14)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XIVTre C con otto croci eran passati d’anni del numer bel ch’usiamo ancoi, al tempo ch’io ti dico e che tu guati. Valente tenne il mio tre anni, poi (Arian fu e i monaci percosse, 5 ch’erano allor come santi tra noi) del grande inganno, che fece ne l’osse ai Gotti, da’ quai sentí mortal fiamma, quando dal ver falsamente li mosse. E com’è il figlio amato da la mamma, 10 cosí sei anni amai Graziano mio, che fu cristian, che non vi mancò dramma. E pensa ben se amato fu da Dio: ché vinse la gran torma de’ Tedeschi, che pure un sol de’ suoi non vi morio. 15 E perché dolce piú il mio dir t’aeschi, dico ch’Ambruogio, ch’era allora meco, pregiare udia da Greci e da Franceschi. Tanta virtú e grazia era giá seco, ch’al pastor piacque che fosse in Melano 20 padre de’ buoni e luce a ciascun cieco. Costui ridusse, che pria era pagano, Agustin, disputando, a nostra Fede, che poi fu tal, come tu sai, cristiano. Quando Massimo il colpo mortal diede a Graziano e cacciò Valentino, trista mi vidi su dal capo al piede, perché sempre con polito latino l’avresti udito e in ogni costume puro come òr di che si fa il fiorino. 30 Seguita ora ch’io ti faccia lume di Teodosio, che dietro a lui venne, degno d’onore in ciascun bel volume, che tanto bene undici anni mi tenne, ch’io dicea fra me: Traiano è giunto, 35 che m’ha con pace rimesse le penne. In questo tempo, ch’io ti dico appunto, traslatò il vecchio e ’l novo Testamento Ieronimo, qual hai di punto in punto. In questo tempo, che qui ti rammento, 40 gli antichi templi fatti per li dei vidi disfare e ire a struggimento. In questo tempo, scisma tra Giudei e Saracini fu e del lor male poco curai, però ch’egli eran rei. 45 Or come sai che ciascun ci è mortale, in Melano a cotesto mio signore morte crudele saettò il suo strale. Odi s’egli ebbe in Dio verace amore, ché i suoi nemici, piú che con le spade, 50 vincea con preghi e con digiun del core. Apresso lui, a tanta dignitade Arcadio giunse; e certo ne fu degno, sí ’l vidi pien d’amore e di bontade. Qui, per parlar piú breve, in fra me tegno 55 di Gildo e Mascezel e la cagione come moriro e che gli mosse a sdegno. E vo’ti ricordare il gran dragone lo qual Donato col suo sputo uccise, che tanto fiero la sua storia pone. 60 E non ti vo’ tacer ch’allor mi mise Alberico crudele in tanti affanni, che presso che del tutto non m’uccise, che non che mi rubasse il velo e i panni. Ma poi Attaulfo ne menò via Galla 65 con altre piú donzelle de’ suoi anni. E non pur questo peso giú m’avalla, ma tante pistolenze allor seguiro, che io ne ruppi l’omero e la spalla. Or questo mio signor, che ben fu viro 70 degno di reverenza e di salute, da tredici anni tenne il mio impiro. In iscienza ed in ogni gran vertute veramente lodar tel posso assai, però che chiare in lui funno vedute. 75 Poi quindici anni guidar mi trovai" ad Onorio, del quale Iddio ringrazio, tanto fu buono e io tanto l’amai. Qui venne al mio tormento Radagazio e qui di lui, come si convenia, 80 con fame e con la spada fece strazio. E cosí Eradiano, che venia con gran navilio contro a me acerbo, ancor, come a Dio piacque, strusse via. Oh beato il signor, ch’è non superbo! 85 Oh beato costui, che qui s’addita, sí fu pietoso in ciascun suo verbo! Vinti i nemici, in lor morte o ferita negava e dicea: – A Dio piacesse che quei, che morti abbiam, tornasse a vita! – 90 Cotal costui la sua vita elesse, qual fece il padre, del quale io t’ho detto, che Dio orando e con digiun si resse. E, poi che morte gli trafisse il petto, Teodosio minor del mio fu reda 95 cinque anni e venti con molto diletto. Qui fe’ il demonio de’ Giudei isceda in specie di Moisè e qui si tolse in Italia Totila gran preda. Qui si destaro, sí come Dio volse, 100 ne la spilonca li sette dormienti, che fuggîr Decio, onde poi non li colse. Qui non ti saprei dir tutti i tormenti, che allor sentîr per Attila crudele dico in Alverna e di qua le mie genti. 105 Qui non ti potrei dir con quanto fele mi funno incontro e Vandali e Gotti, se non che mi rubâr d’ogni mio mele. Or come ne gli scogli vedi i fiotti, l’un dopo l’altro, del gran mar ferire, 110 allor c’hanno paura i galeotti, cosí vedea in quel tempo seguire l’un dolor dopo l’altro ed eran tali, che non è lingua che ’l sapesse dire, se non ch’eran soperchio a tutti i mali. 115