Quid novi?

Il Dittamondo (2-15)


Il Dittamondodi Fazio degli Uberti LIBRO SECONDOCAPITOLO XVAvea dal tempo che si pone a Cristo in fino a quello che qui ti rammento, che ’l cuor mi vidi sí turbato e tristo, anni cinquantadue e quattrocento ed eran quarantuno, ch’i’ era stata 5 per Alberico a simile tormento. Cosí come odi, mi vidi rubata piú volte e piú, poi che da Costantino fui, com’io t’ho detto, abbandonata. E se dritta deggio ir per lo cammino, 10 designando per ordine ciascuno che tenne il mio e fenne a suo dimino, Marcian con gli altri miei signori aduno, ch’undici milia vergini in Cologna al tempo suo martoriate funo. 15 In Francia, per la Magna e per Sansogna la gran turma dei Vandali passaro; se danno fenno, dirlo non bisogna. Sette anni fe’ costui meco riparo e dopo la sua fine venne Leo 20 e qui mi vidi il cielo e lui contraro. In questo tempo, ch’io dico sí reo, Augustulus Italia tutta prese e, presa, poi vilmente la perdeo. Lassolla il tristo e sé né lei difese 25 in contro a Odovacer, ch’a ferro e foco co’ Ruten consumava il mio paese. Teodorico, apresso questo un poco, di Gozia venne e non compié sua via, ch’i’ non me ne dolessi in alcun loco. 30 In questo tempo giá parlar s’udia di Uter Pendragon e di Merlino e del lavor che, fondato, sparia. Or questo Leo, che, a fare buon latino, coniglio dovrei dir, ne portò seco 35 le imagini mie fatte d’oro fino. E se la sana ricordanza è meco, diciassette anni tenne in mano il freno, che troppo fu, se deggio il ver dir teco. Seguita mo ch’io ti ricordi Zeno, 40 il qual coi Gotti mandò Teodorico, ch’Odovacer cacciò fuor del mio seno. In questo tempo amaro e antico, passâr quei di Sansogna in Inghilterra e ’l gran mal che vi fenno qui non dico. 45 Artú benigno, largo e franco in guerra, con l’alta compagnia Francia conquise, Fiandra, Norvegia e ciò che quel mar serra. E poi che morte distrusse e uccise Zeno, il quale diciassette anni tenne lo ’mperio e che piú leggi altrui tramise, Anastagio fu quel ch’apresso venne: tanto ebbe in sé di mal, che molte volte di Dioclezianmi risovenne. L’opere sue infedeli e stolte, 55 per non dir troppo, a ricordar qui passo, né brievi le so dir, perché son molte. Vero è che due miracoli non lasso li quai ciascun per dispregiare apparve la fede del battesmo a passo a passo. 60 L’un fu che l’acqua de la fonte sparve a Barabas; l’altro d’Olimpo, a cui Amor non fu quanto a me dolce parve. Certo io non so se tu il sai per altrui: Anastagio papa in quel tempo era 65 vago di Fotin, malgrado d’altrui. Le sette teste de la santa fiera giá si vedean spregiare per coloro ch’eran pastor de la fede sincera. Fuggivan povertá, bramavan l’oro, 70 onde piú volte al traslatar del manto papal movean quistion fra loro. De’ Vescovi fu grieve e grande il pianto, quando mandati in esilio in Sardigna fun da Trasmondo, ch’era infedel tanto. 75 Moltiplicava la mala gramigna de gli eretici in ogni parte allora, come tu sai che la mala erba alligna. Dolce mi sento al cor, pensando ancora sí come questo imperador morio, 80 che sedici anni e diece tal dimora. Apresso di costui, Giustin seguio: e certo il nome se gli avenne assai, ché giusto fu e buon cristiano a Dio. Boecio patrizio, ch’io amai 85 quanto figliuolo, fu da me disperso per Teodorico, ch’un Massenzo trovai. Il quale, essendo in esilio riverso, si consolava, come ancor si pare, con la Filosofia di verso in verso. 90 In questo tempo, che m’odi contare, per Remigio, che fu a Dio divoto, si fece Clodoveus battezzare. In questo tempo appunto, ch’io ti noto, le gran bellezze fatte per antico 95 caddono in Antiocia per tremoto. Nove anni ebbe Giustin l’onor ch’io dico.