Quid novi?

Rime inedite del 500 (XIII)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XIII[1 Di Cesare Cremonini]Sonetto del signor Cesare Cremonini nella pace ch'egli fece con la sua donna, che da lui aveva preso isdegno.Quando mio sol in nube empia di sdegno Ti nascondesti, e furo a me contese Le luci onde solevi almo e cortese Portarmi il giorno, e fecondar l'ingegno, Io mi rimasi in tenebroso regno D'un tristo orror, che ratto al cor s'apprese, Rinchiusi i dolci carmi, e non s'intese Da me se non garrir noioso indegno. Or che sgombrando il rio nembo importuno Dalle temute folgori, m'affidi E mi prometti la stagion dei fiori, Qual serpe uscito ai rai graditi e fidi Mi ritrovo, e purgato il sozzo e 'l brano, Canterò con tre lingue i tuoi onori.[2 Di Cesare Cremonini]Madrigale del signor Cesare Cremonini alla sua donna, che baciando una statua si ruppe un labbro.La novella ferita Di quel labbro vezzoso Se nol sapete, o bell'angelo mio, È castigo amoroso, Baciar voi dunque un marmo e di desìo Lasciar crudel che si dilegui un core? Così l'ire d'Amore. Imperïose prova e fulminanti Bocca che bacia i sassi e non gli amanti.[3 Di Cesare Cremonini]Sonetto del signor Cesare Cremonini ne le maniere che si de' baciare.Non come amante, o Iele, unqua mi baci Se non mi uccidi ad ogni bacio, il core, Che non bacian quei baci ond'uom non muore Anzi pur vanamente han nome baci. Quel baciar baci languidi e fugaci Non è 'l baciar ch'ha istituito Amore; Vuol ei che i baci suoi prima di fuore E s'impriman ne l'alma acri e mordaci. Giungere labbro a labbro e leggermente Formar un bacio insipido e gelato È un bacio fanciullesco, un bacio esangue. Se non pugnan le lingue, il baciar langue E quei sol bacio è d'amator ardente Ch'è bacio da nemico e bacio irato.[4 Di Cesare Cremonini]Madrigale del signor Cesare Cremonini.Non sopra giaccio Aprile, Ma lieti e vaghi fiori, O bellissima mia cruda Licori, Deh! come avvien che per mia dura sorte Cangi suo stil natura, E sua natura il cielo? Poi che le rose e 'l gelo Miro in te sola, e solo in te discerno Viso di primavera, e cor di verno.[5 Di Cesare Cremonini]Sonetto del medemo per la partenza della sua donna.Tu sei, mio sol, partito; io qui dov'eri Con dubio passo il pian vo misurando, E ne la rimembranza consolando Com'amor vuole i vedovi pensieri, Rendetemi i miei rai lucenti, alteri, E l'alma vista, ond'io sol vivo amando. Chi me gli ha tolti, così grido errando, Per li miei dolci hor tristi, aspri sentieri? Risponde il fiume: a cui la tua serena Luce i rivi rendea chiari e beati, Ch'or han perduto ogn'onorato fregio, I dì nostri soavi e fortunati Sonsene andati, a noi duolo, a noi pena Lasci tu senza core, io senza Pregio.[6 Di Cesare Cremonini]Sonetto del medemo. Esorta la sua donna a ritornarsene a lui.Che più tardi, mio sol? Deh! torna omai, Così negar la luce a chi t'adora! O con quai note alla nascente aurora Salutar m'apparecchio i tuoi bei rai. Vien, mio sol, vieni, al tuo venir vedrai Di che vaghi pensier un cor s'infiora E ride e s'abbelisce e s'innamora, E sgombra il verno di futuri guai. Dirai tu allor godendo, e rimirando Meraviglie sì nove e così belle: Son queste del mio lume opre divine? E dirà il mondo: amando e rïamando Vivete, anime rare e pellegrine, In su l'ali d'amor ite alle stelle.[7 Di Cesare Cremonini]Sonetto del medemo. Prega la sua donna a volerlo far felice co' suoi sguardi, da' quali dipende il suo amore verso Dio.Amiccarmi, angel mio, furtivo e fiso E chinar poscia il bel guardo gentile, E tinger salutando in atto umìle D'un pallor di vïola il dolce riso. Fur' gratie ond'io rapito in paradiso Seppi ogn'altro gioir com'egli e' vide E strali ond'in un cor piaga simile Non fe' mai saettando il bel d'un viso. Così, mio sol, vogliate ognor bearmi, Non chieggio altro da voi che i rai lucenti, E dirò: favorisci i miei amori. E temprando alla cetra eletti carmi Da conservarsi alle future genti Canterò le mie lodi e i vostri onori.[8 Di Cesare Cremonini]Sonetto del medesimo. Al pallagio dove in Padova egli andete ad alloggiare, che vi era dentro ancora alloggiata la sua donna.Valle, ch'hai del mio sol l'aer sereno, E gratïoso dell'erbette il prato; Loggie, che fatte altier, questo e quel lato; Tu gran palagio, ch'hai mia vita in seno. Tempio, ove d'umil zel tutto ripieno, Sol contra me di tua bellezza armato Paga il tributo a Dio votivo e grato Il mio vivo, immortale angel terreno. Non mi sdegnate peregrino errante, Che voi per stanza avidamente prendo Sì come Amor e bel destin m'ha scorto. Se no' l' sapete, io parto, a voi, venendo D'angelica contrada e d'alto amante, So pur che i segni ancor nel viso porto.[9 Di Cesare Cremonini]Sonetto del medesimo. Nella partenza sua per Padova a la via degli Angeli.Regal contrada, ov'io gran tempo errai Seguendo una gentil, fallace spene, E come Amor mi scorse, or le mie pene, Or la bellezza altrui piansi e cantai. Ti privilegi il sol sempre dei rai Ch'ei veste uscendo a far le piaggie amene E l'aure dal ciel mandi ognor serene A le gran reggie onde pomposa vai. Io parto, e queste lagrime ch'io verso Rimarranno in mia vece a rimembrarti I passi sparsi e 'l mal gradito inchiostro. Io parto, in ch'aspro duol io porti immerso Il cor, perché tu meco Amor non parti, A chi sa legger nella fronte il mostro.[10 Di Cesare Cremonini]Madrigale del medesimo alla sua donna la quale era percossa da un raggio di sole.Forse pensaste, o sole, Venendo in quelle luci altera e belle Di far come alle stelle, Tor loro il lampo, presumendo intero Convenir della luce a te l'impero? Ma odi, e ti contenta D'essere il sol dei fiori, E che sian quei begli occhi il sol dei cori.[11 Di Cesare Cremonini]Sonetto del signor Cesare Cremonini in lode del signor Marc'Antonio Calcagni mentre fu padrino in una giostra.Tu Ministro d'Amor, ministro a Marte? Già non son molli dardi, aste guerriere Delle risse vezzose e lusinghiere E delle forti e pur deformi l'arte. L'uno è Dio sol di sangue e sol comparte A chi 'l segue di crudi e note fere; L'altro ciò che non è festa e piacere Da tutto il ragno suo manda in disparte. Sei tu da guereggiar un campion raro, Dove l'armi s'adoprin di bellezza, E sia l'arringo della guerra il letto? Fur grandi Ercole e Achille e innanellaro Pur il crin, ma non già veste fortezza Per vestir forte usbergo un molle petto.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)