Quid novi?

La Bella Mano (101-110)


La Bella Mano di Giusto de' Conti CI Solea per rifrigerio de miei guaiVegliar le notti, et disiar l'aurora;Ma già conosco lasso che quell'oraMi è più noiosa, che la sera assai.Et più spietato Apollo perché saiCome la notte, al dipartir mi accora,Più tosto il giorno ne rimeni allora,Perché da pianger non mi manchi mai. Tu ne rimeni quel, che mi disface;E il sol della mia vita a me s'ascondeAl tuo apparire, ond'io rimango cieco. Misero me, che tanto ho qualche paceQuanto la notte il dì cela fra l'onde,Et la mia Donna sola stassi meco. CII Per gli occhi miei passò la morte al core,Et da i begli occhi uscioVirtù, che mi tien lieto nel dolore:La gelosia, che del piacer si acceseIl dì, che io puosi me stesso in oblio,Rinova nel mio cor l'antica pena;Et da passate colpe sa dolerme;Et con sì doppia forza al fin mi menaLa rimembranza delle amate offese,Che fa dogliose le mie posse inferme,Et di dolce paura un bel disio.Né spero mai che AmorePrenda pietà del lungo pianger mio. CIII Quando la sera per le valli adunaDel velo della terra la sparsa ombra,E il giorno a poco a poco da noi sgombraIl Sol, che fugge, et dà loco alla Luna, Pensoso io dico allor: Così fortuna,Lasso, di mille doglie il cor m'ingombra,Così la luce mia, che l'altre adombra,Celandosi, mia vita, e il mondo imbruna. Et maledico el dì, che io vidi in primaTanta dureza, et quel fallace sguardo,Che al cor m'impresse la tenace speme: Così i miei danni mi rammento al tardo,Quando più m'arde l'amorosa lima,Che il resto del mio cor convien che sceme. CIV Alma gentil, ch'ascolti i miei lamentiAl suon de ardenti et gravi miei sospiri;Alto valor, che dentro et fuor mi miri,Et vedimi nel foco et sì il consenti: O divino intelletto, che odi e sentiQuai siano et quanti, tutti i miei disiri:O lubrico desir, che anco mi tiriPer forza a riveder gli occhi lucenti: O speranza infinita: o cor mio stanco:O perfido costume, che dinanziPur mi figuri l'ombra del bel guardo: O venenoso stral, che il lato mancoPer man di Amor per mezo il cor mi avanzi,Quando uscirem del foco, ove io tutto ardo? CV Lass'io, che Amor li passi intorno intornoSì m'ha richiusi, et reti tante sparteContra mia vita, che né via ned arteIo veggio, ond'io ritorni al bel soggiorno. Se io m'allontano dal bel viso adorno,Che un Sole è agli occhi miei, dal cor si parteMia vita affatto; et poi, se in qualche parteMi si dimostra, al foco allor ritorno. Così tra due convien che Amor mi strugga,Amor, che a sì gran torto pur si pasceDei miei tormenti, et vive di mia morte: Né val che nanzi all'ale sue già fugga;Tal fu il mio fato dalle acerbe fasce,Tal mio destino, et tal mia cruda sorte. CVI Quanto più m'allontano dal mio bene,Seguendo il mio destin, che pur mi caccia,Tanto più Amor con nuovi ingegni impacciaMio corso, volto a più beata spene. Or qui le guance più che il ciel serene;Or qui gli ardenti lumi, onde mi allaccia,Pur mi dipinge:or qui l'ardenti braccia,Onde a gran torto morte il cor sostene. Io sento ad ora ad or soavementeParlar Madonna sola fra le frondeDi questi boschi inospiti et selvaggi: Veggio quel maggior sole, che mi si asconde,Levar con l'altro insieme all'Oriente,Et abagliarlo con più vivi raggi. CVII Selva ombrosa aspra e fiera,Dove fuggendo, AmoreMi apparse innanzi leggiadretto et vago.Con l'amoroso Albergo del mio core,Rasserenato dalla luce alteraDi quella umana feraDi che pensando sol meco mi appago:Et l'una et l'altra insieme dolce imago,Che io vidi col pensier che in gli occhi luce,Alto valor mi induceA dir quanto per me si aduopri, et pensi,Che gli ostinati sensiRivolgono il suo duro effetto altrove,Dove pietà si trove:Né posso per mio ingegno levar drammaDi quel saldo voler, che sì m'infiamma.Io penso ad ora ad ora:Se è morta ogni speranzaChe mai veggian questi occhi quel bel viso,Non so per che il desir, che ogni altro avanza,Che nacque d'essa, et lei manca, non mora;Anzi crescendo ogni ora,Dal cor mi scaccia ogni altra gioia et riso:Ma pensi un poco come egli è divisoPer tanto spatio dal maggior suo bene,Sì che vana è la speneChe il nostro mal risaldi per sua pace:Poscia un pensier fallaceQuando rivolge tanto il danno è grave,Con sue ragioni praveAguaglia la speranza all'empia voglia,Che d'ogni bel riposo l'alma spoglia.Ben so che sì bel piede,Né d'occhi sì bei rai,Né d'or sì bei capelli al vento sparsi,Né ingegno, né natura non fe' mai,Come quel dì, che d'altra cura sciolto,Fra i lacci d'oro avvoltoIo vidi vivi vivi ond'io tutto arsi.Ma che giova, alma trista, ardente farsi?Che a questo ancor passata è la stagione:Et la poca ragione,Che già ti prese et tenne, ancor t'invita,O fonte di mia vita,Faville accese in quel vezoso giro,Mirate il mio martiro;Et come in pianto la mia vita passo;Et dogliasi di me ch'io son già lasso.L'alta piaga et mortale,Con l'angoscia noiosa,Per che piangendo gli occhi miei son stanchi,(Non basta a me sottraggia ogni altra posa)Contende al mio dir sì, che a me non valeParlar del dolce maleIn guisa tal, che nel mezo non manchi:Con tai due sproni punge gli miei fianchiChe a forza al duol si voltan le parole;Onde son triste et sole,Et mal s'accordan le mie note insieme:Perché parlando gemeIl cor piagato: et s'io torno alle rimePoi, mille et delle primeGià per la doglia mia posto ho in oblio,Tanto m'ingombra et preme il dolor mio.Freschi et lieti arboscelli,Amor, Madonna, et tu vago concetto,Poi che nel tristo petto,Cercando per fuggir vie, più di mille,L'angeliche favilleFatto han mortale il bel foco felice,Non posso più se contrastar non lice. CVIII La bella et bianca man, che il cor m'afferra,Per mille strade ognior di riva in rivaMi si fa incontro pur sì altera et schiva,Quale era al cominciar di tanta guerra. Così lontan dalla felice terraMi vien seguendo come cosa vivaQuesta, per chi convien che sempre scriva,Se altra pietà per forza non mi sferra. Né veggio a mezo dì sì fatto il sole,Né ascolto suon di queste gelide onde,Né vedo in questi boschi fronde in ramo, Che nanzi non mi sian le chiome bionde,E il viso lieto; et senta le paroleDi quella mia tiranna, che io tanto amo. CIX A Francesco Filelfo (?) Francesco, quante volte al cor mi redeLa vista, che mia vita fe' dolente,E il riso che m'impresse nella menteL'aspettato soccorso di mercede, Io sento del cor mio far nuove prede,Et d'altretanto foco l'alma ardente,Et rinovar l'angosce antique spente,La voglia, la vagheza et la mia fede. Così in un punto l'alma si rinfiammaEt spegne, poi che vede ogni speranzaMancare in tutto al suo lungo disio. Et veggio ben, che dura rimembranzaDestando va la tramortita fiamma,Accioché nulla manchi al furor mio. [Poesia] Angiolo Galli a Giusto Piangi misero, lasso, ch'hai ben dondeChé vivi senza la tua dolce vita:Un geloso pensiero ognor m'invitaCol pianto a crescer Pado et le salse onde. Chiamo dì e notte, ma non mi risponde,Colei, che in mezzo al cor tengo scolpita:Ben fu spietata e dura la partita,Che me tien quivi, e la mia vita altronde. Ma poi che pur dal pianger vegno meno,Parmi ch'alora quella santa mano,Rasciugando le lagrime del volto, L'alma partita la rimetta in seno;Et se ha cotanta forza un pensier vano,Pensa che fora tra le braccia accolto. CX Risposta di Giusto Quel tuo bel lamentar, che mi confondeFra l'alto stile, et la pietà infinitaRaccesa m'ha la fiamma tramortitaDelle mie piaghe infino al cor profonde: Che benché l'ombra delle trecce biondeTalor mi rinfrescasse la feritaPure era agli occhi miei quasi sparitaLa luce, che fortuna mi nasconde. Però se gli occhi giro al bel terreno,Rasserenato dal sembiante umano,Che sdegno a torto et gelosia m'ha tolto, Ritrovo di speranza il cor sì pieno,Che l'alma trista avampan di lontano,Come già presso, i raggi del bel volto.