Quid novi?

Il Dittamondo (2-20)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXLa scelerata e ’l cieco, che t’ho detto, regnâr diece anni con tal vituperio, ch’al mondo n’era e a me un gran dispetto. Tenne apresso Niceforo lo ’mperio; ma tanto giá di lá era scaduto, 5 che poca briga avea del magisterio. Nove anni fu signor tanto perduto, che quel s’udia ragionare di lui come non fosse al mondo mai venuto. Seguio Michele apresso di costui, 10 lo qual similemente poco fece, per quel ch’udissi, bene o male altrui. Questi imperò otto anni men di diece e in questo tempo il bello uccel di Giove trassi di mano a quelle genti grece. 15 Quattrocento anni e nove volte nove esser potean, che Costantin del regno mio l’avea tratto a far di lá sue prove. Ma poni a quel ch’or ti vo’ dir lo ’ngegno, sí che, se mai di ciò vuoi ragionare, 20 dirittamente sappi dar nel segno. Dico ch’al mondo quattro regni pare che siano stati, i quali in fra la gente piú degni sono da dover notare. Lo primo fu diritto in Oriente, 25 tra Eufrates e Tigris, in Babilona, dove Nino regnò in primamente. Quivi Semiramis tenne corona con la sua bestial legge e fu sí cruda, quanto fu mai alcun’altra persona. 30 E perché ’l tempo a punto si conchiuda com’era antico, io ti dico ch’allora Abraam di Iesse regnava in Giuda. Nel mezzodí lo secondo dimora in Cartago, lá ’ve la bella Dido 35 la cener di Sicheo e sé onora. Qui dico come vuol Giustin, che ’l grido d’Enea pon falso, che la mia Lucrezia non fu di lei piú casta nel suo nido. Di vèr settentrion lá ne la Grezia, 40 in Macedonia, il terzo seguio per Alessandro, che tanto si prezia. E questo fu nel tempo propio ch’io col buon Fabio Massimo vivea, * e con Papiro mio,45 quando l’ardita schiatta Maccabeaarmata stava e combattea d’intorno come campion de la gente Giudea. Il quarto, piú possente e piú adorno, fu qui in ponente e io, che ne fui donna, Cesar mi vidi e Ottavian d’intorno. Qui stetti ferma in su l’alta colonna, in fin che fede, prudenza, esercizio usâr color che fenno la mia gonna. Ma poi che lasciâr questo e diensi al vizio, 55 come t’ho detto, e poi che Costantino l’aguglia tolse dal mio propio ospizio, cotale è stato, lassa!, il mio distino, che pur di male in peggio andata sono né par per migliorare il mio cammino. 60 Di questi quattro regni, ch’io ragiono, il primo e ’l deretan funno quei due che maggiori e piú degni dir si pono. Il primo si disfece e cadde giue allor che ’l feminin Sardanapalo 65 preso e morto per Arbaces fue. E propio quando questo venne al calo, Procas vivea, da cui prendo il principio, come per me ancora altrove sa’ lo. De gli altri due del mezzo, il greco accipio 70 che fu maggiore e di piú ricca fama, che quel che sfenno l’uno e l’altro Scipio. Oh, vanagloria, se’ come una rama di persico fiorita, che in un poco se’ tanto bella e poi mostri sí grama! 75 Folle è qual crede, in questo mondo, loco dove si possan tener fermi i piedi, ché tutto è buffe e truffe e falso gioco. Ma perché penso ben che tu tel vedi come vegg’io, a questo vo’ far punto 80 e ritornare a dir quel che mi chiedi. Tu odi ben come di punto in punto venuta son fin a l’ultimo Greco, di quei signor che ’l mio avean sí munto. E puoi veder che, ragionando teco, 85 sempre ti fo di quattro cose chiaro: l’una è del tempo che son vissi meco; l’altra è qual mi fu meno e qual piú caro; la terza, ch’io ti mostro e ti diviso di qual morte a la fine terminaro. 90 L’ultima e quarta è che ancor t’aviso del tempo mio, a ciò che tu ridire il sappi, se ’n parole ne sei miso. Piú cose ci ha, ch’assai ti potrei dire de’ fatti lor, ma tacciole, ché penso 95 ch’a te sarebbe noia a tanto udireed a me gran fatica al quarto senso.