Quid novi?

Rime inedite del 500 (XVI)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XVI[1 Di Francesco Panigarola]L'orsa.Questa altera dal ciel vaga figura Cui tuffarsi ne l'onde Vetò, Giunon, la tua fredda paura Con l'ardente virtù de' raggi suoi, Tante elice da me lagrime amare Ch'ella ne forma un mare, Poi di te ride, e de' sospetti suoi, De la mia stella al chiaro capo attorte Le chiome in dolci nodi Quando adivien ch'Amor disciogli e snodi, Moro, e con la mia morte Mostro ch'augurio il suo bel crin m'apporte. Stella gentil, che nei maggior perigli Ogni nocchiero addita, Or dove sei sparita? Già pur son scogli, e cielo, e mare, e venti Tutti in mio danno 'ntenti E tu, mia fida scorta, anco te n' vai? Benché non fia giamai Ch'io non ti miri; poiché in mezzo al core Con le sue proprie man ti fisse amore. S'a me maggïor che al gran poeta Tosco E soggetto e rivale Donasti, Amor, perché non tromba eguale? Questo si pur conosco Che dove ei pianta io lodo stella, e dove Ebb' egli un Febo, ho io rivale un Giove. Qual'a l' 'ncendio mio Scampo trovar poss'io? Poiché fin l'orsa dove Nodrir quà giù solea pruine e ghiaccio Hor foco e fiamma entro il mio petto piove; Perch'io pur m'ardo e sfaccio. La stella mia, che là più presso al polo Spinta ancor da Boote Fare appena solea picciole rote, Or dove ha preso, ohimè!, sì largo il volo? Questo so che di Delo Non l'ha fugata il dio, perch'ella è tale Che contra il sol prevale; Oltre che poi di sua partita il cielo Vestito ha sempre d'atra notte il velo. Non fu Giunone, o Giove Né dei marini Dei tutto il consiglio Che diede a l'orsa mia perpetuo esiglio; Però che di lontano Il gran padre oceano, Sentendo il suo celeste immenso ardore, Disse: stia pur di fuori; Ché, se tra noi discende, D'onor, ne priva e i regni nostri incende.[2 Di Francesco Panigarola]Del PanigarolaNon ha men bianco il petto, Non ha men freddo il core Di questo ghiaccio la mia donna, Amore, Né men di questo ghiaccio A tue faci io mi spaccio, Ed a miei prieghi tu rigido sei, Sì che nel don di lei Al bianco, al freddo, all'umile et al rio Et essa e tu siamo dipinti et io.[3 Di Francesco Panigarola]Del PanigarolaFebo, un Piton novello Là nel paese Tosco Spento ci ha pur col tosco Quanto v'avea di bello: Ma tu, se 'l prevedesti Perché non l'uccidesti? O se le piaghe almen fatte mirasti, Perché non le sanasti? In somma né profeta, Né medico, o guerriero Sei tu; ma sol pastor forse, o poeta; Ond'ancor tosto spero Che la tripode, e l'erbe, e la faretra Lasci, e sol con la cetra Od a sparger ti stii voti nel vento, O per maggior tuo onor torni all'armento.[4 Di Francesco Panigarola]Del PanigarolaHavrebbe, o Leonora, L'angelico tuo viso Di morte istessa il fiero cor conquiso. E la tua voce udita L'avrebbe intenerita; Ond'essa a chi pietade a scorno fora Non die' luce al mirare, Né pur tempo al parlare; Ma sol per non vederti, o non udirti Venne di notte, e subito a ferirti.[5 Di Francesco Panigarola]Del padre PanigarolaSquarciossi il sacro velo Del tempio e d'ogni intorno S'imbrunì il chiaro giorno. Tremò la terra ed oltr'ogni costume Il sol perse il suo lume, Quando piagato il petto, Quando il capo trafitto, Quando vider confitto Pender sul duro letto Il lor fattore; ed io Che in croce il veggio sol per fallir mio, Dagli occhi non pur una Lagrima verso? Ahi lasso! Perché? L'ostinazion m'ha fatto un sasso.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)