Quid novi?

La Bella Mano (131-140)


La Bella Mano di Giusto de' ContiCXXXIO occhi ladri, che mia debil vitaRubate consumando a poco a poco,Mancarà al petto mai l'ardente focoChe l'eternal mia pena fa infinita?L'alma dolente verso il cor smarritaTremando fugge ove non trova loco:E il mio soccorso che piangendo invoco,Amor l'ha fatto sordo a darmi aita.Il cor sempr'arde, et l'alma triste aghiaccia,Al gran disio mancando la speranza,Et piango sempre et prego non so cui.Così convien che in piccol tempo staAmor della mia vita quel che avanza,Ben che sia poco omai mercè di Noi.CXXXIIQuelli celesti angelici occhi et santiChe sì soavemente Amor volgea,Et, lor volgendo, veder mi pareaDue stelle, anzi due soli et due levanti.Mi tolse gelosia, perché già tantiSospir gittò la mente che piangea,Che al duro lamentar che ognior facea,Amor si trasse per pietà dei pianti:Et mentre io mi attendesse ancor da luiQualche soccorso alla mia fiamma antica,Onde già per scioccheza io m'infiammai,Non volse quella a me sempre nemica,Sì che io sviato dal mio scampo fui;Et ardere di novo incominciai.CXXXIIIQuegli occhi chiari, più che il ciel sereni,Che a torto gelosia veder mi priva,Mi son dinanzi sempre, et la mia diva,Dovunque, lei fuggendo, Amor mi meni.Talor gli veggio sì pietà pieni,Et lei sì poco, fuor l'usato, schiva,Che io dico alla mia mente: Ella è qui vivaQuella, onde morte per amar sosteni.Dalla bocca rosata escon parole,Che fan d'un marmo saldo chi l'ascolta,Et Venere et Cupido arder d'amore:Con tal dolcezza et con tal forza suoleLa vista dei begli occhi che mi è tolta,Tornarmi a mente, et con sì dolce errore.CXXXIVMentre che a riva, il suo corso dolenteLa notte al mezo avesse già condotto,E il giorno in quella parte omai di sottoTutta scaldasse l'altra minor gente;Quel sol che m'infiammò d'amor la mente,Di poi che il mio riposo ebbe interrotto,Sentir già mi faceva al mio ridottoQual fusse il foco tramortito ardente.Ne, come quel che inganna, vano insogno;Ma visione et senza fantasiaTurbata, et sospirando, pria ne apparve.Poi sorridendo della mia follia,Mi disse cose, onde anco mi vergogno,Quando io di doglia piansi, et ella sparve.CXXXVZeffiro, vieni et la mia vela carcaEt se di quel che io bramo non ti accorgi,Là ver la parte occidental mi scorgiLa disiosa et debile mia barca.Sicura et lieve, benché d'error carca,Ne andrà, se da man destra ancor tu sorgi,Et quel poter, che agli altri suoli, or porgiAlla mia nave, che solcando varca.Menami al mio terrestre paradiso,Dove si acquetan tutti i pensier miei,Sì come in porto d'ogni lor salute:Fa che io riveggia il disiato riso,Il fronte, i lucenti occhi di colei,Che sola in terra è specchio di virtute.CXXXVIRatto per man di lei, che in terra adoro,Amor negli occhi vaghi io vidi un giornoTesser la corda, che al mio cor d'intornoGià ne i primi anni avolse sì, ch'io moro.Ordito era di perle, et testo d'oroIl crudel laccio, et di tanta arte adorno,A tal che Aracne troppo arebbe scorno,Dove natura è vinta dal lavoro.Et vidi allor come gli aurati straliAmor nel foco affina, et di qual forzaSi armò la gentil man che il cor mi prese:Et per che in questa età son più mortaliI colpi di Colui che gli altri sforza,Et più che già, felici le sue imprese.CXXXVIITanto è possente il fiero mio disio,Et sì la spene altera che m'affanna,Che del giudizio il mio veder appannaA tal ch'ogni ragion posta ho in oblio.Veggiomi quinci chiar l'utile mio,Et quindi la vaghezza che m'inganna,Ma a seguitare il peggio mi condannaLa forte mia sventura, Amore, e Dio,Qual Letè tal virtude ebbe giammai,Che non mi tolga nostre ricordanze,E tanto error negli animi distille?Così m'abbaglian due begli occhi gai,E al cor m'accendon sì calde speranze,Che fino al ciel ne manda le faville.CXXXIXQual Salamandra in su l'acceso focoLieta si gode nell'amato ardore,Et qual finice a sua voglia arde et moreNel tempo che gli avanza al viver poco,Così l'arder d'amor mi pare un gioco,Et pascomi d'angelico splendore,Così contento mi conduce amoreAl sacro, ove io mi struggo, et dolce loco.Ah nuova vita, ah disusata morte,Che nel cor mio rinnova alti disiri,Et puommi nelle fiamme far beato:In van si cerca quanto il mondo giriPer ritrovare altra amorosa sorte,Che si pareggi al mio felice stato.CXLSe 'll' è natural vostro, over costume,Star contra chi più v'ama ognor più fera,Non so che di mia vita più si spera,Et meglio è che tacendo mi consume.Ecco già gli occhi miei son fatti un fiume,Per sempre lagrimar mattino e sera:Io manco come imagine di ceraDinante ad un possente et vivo lume.Et voi non muove né ragion, né prieghi,Né pianti, né sospiri; onde convienePer forza alfin ch'io mi disfaccia ardendo,Se già qualche pietà da voi non vieneSubita sì che tal dureza pieghi:Ma veggio ben che invan da voi l'attendo.