Quid novi?

Il Dittamondo (2-21)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXIQui vegno a dir del magnanimo Carlo, le cui virtú fun di sí alto frutto, che di miglior cristian di lui non parlo. Dico che, apresso ch’egli ebbe del tutto co’ Longobardi e con ogni suo reda 5 Desiderio in Pavia preso e distrutto, e che fu fatto di Leone sceda, e che da gente disperata e cruda rubar mi vidi e portar via la preda, l’aquila, ch’era sí pelata e nuda, 10 tolsila al Greco e a costui la diedi, che la guardasse e governasse in muda. Onde, per suo valor, dal capo ai piedi la rife’ tutta con l’alta milizia, sí come in molti libri scritto vedi. 15 Costui trasse la Spagna e la Galizia di mano al Saracino e in Aspramonte fece a gli African sentir tristizia. Costui ebbe con seco il nobil conte, che Ferraú e don Chiaro uccise e per alcun si scrive il buon Almonte. Costui la croce santa di qua mise e soggiogò e Sassoni e Alamanni e oltra mar Ierusalem conquise. Ma qui è bel saper quant’eran gli anni 25 del millesimo nostro, a ciò che tue, se altro udissi dir, col ver ti sganni. Erano un meno d’ottocento e due ed eran che Silvestro a Costantino diede il battesmo quattrocento e piue, 30 ed ancora dal tempo d’Albuino, primo re longobardo, da dugento in fin che Desiderio cadde al chino. E questo mio signore e mio contento quattordici fu meco imperadore 35 sí buon, che ’l piango, sempre che ’l rammento. Seguí apresso che di tanto onore fu reda il suo figliuolo Lodovico, pietoso molto, non di gran valore. Vero è che ’l loderei piú ch’io non dico, 40 se non fosse la guerra de’ figliuoli, che per Iudit il presono a nimico. Passò il Soldan di qua con grandi stuoli, quando costui col buon marchese Guido a dietro il volse con pianto e con duoli. 45 Venticinque anni governò il mio nido e visse al tempo suo senza mangiare una tre mesi, per fama e per grido. Lottaro vidi apresso regnare diece anni; ma poi monaco divenne 50 non credendo il suo danno vendicare. Lodovico secondo poi mi tenne e nel suo tempo la gran pistolenza de le locuste per lo mondo venne. Pensa se il Brescian fu in gran temenza, 55 ch’ivi tre dí piové sangue dal cielo, e se vi fen digiuni e penitenza. Qui la gran guerra ch’ebbe non ti svelo co’ Normandi e co’ miei Italiani, dove molto soffersi caldo e gelo. 60 Un anno, e venti li fui tra le mani; poi, dopo lui, mi tenne il Calvo Carlo; ma come, onor gli è poco ch’io lo spiani. Di tutta questa schiatta non ti parlo la gran division che fu tra loro, 65 ché troppo avrei a dire a voler farlo. Un anno e mesi fe’ meco dimoro; l’ultimo colpo a lui si fu il veleno, che spesso de’ signor fa tal lavoro. Dopo la morte sua, rimase il freno 70 de la mia signoria a Carlo Grosso, che pria la fine sua se ’l vide meno. Dico che fu da tanto onor rimosso, che venne quale un uom che vive in sonio per grave morbo che li giunse addosso. 75 E data fu la ’nsegna mia e il conio ad Arnolfo, lo qual non fu de’ veri che reditar dovesse il patrimonio. Costui apresso fece Berlinghieri re de’ Lombardi e die’ Spoleti a Guido, 80 da’ quali ebbi piú volte gran pensieri. Del conte Alberto fe’ crudel micido; Bergamo prese e oltra monti corse Normandia tutta con fuoco e con grido. E quando morte la sua vita morse, 85 posseduto ti dico ch’avea il mio due anni e diece, senza niun forse. Non vo’ tacere il grande inganno e rio che l’Arcivesco fe’, quel di Maganza, quando il buon conte Alberto tradio. 90 E gli Ungari crudeli e con baldanza Toscana e Lombardia rubaron tutta, senza trovar contraro a lor possanza. Or sí com’albor secco, che non frutta, ti dico che rimase la gran pianta 95 di Carlo senza reda, isfatta e strutta. Oh, mondo cieco, dove andò cotanta nobilitá in cosí poco tempo? E cieco è piú chi de’ tuoi ben si vanta, poi che sí cacci altrui di tempo in tempo. 100