Quid novi?

Il Dittamondo (2-23)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXIIIDel millesimo nostro eran giá corsi novecento anni e cinque con cinquanta, quando l’aquila e ’l mio a Otto porsi. Costui fu il primo che portò la pianta ne la Magna dell’albore, il cui frutto 5 senza sette gran princi non si schianta. Cherici son li tre e fan ridutto l’uno in Maganza e l’altro in Cologna e ’l terzo Trieves governa del tutto. Dei laici è l’uno quello di Sansogna, 10 quel di Baviera e quel di Brandiborgo e quello di Buemme, se bisogna. Li primi tre, che dinanzi ti porgo, sono del gran monarca cancellieri; ma come sian partiti non ti scorgo. 15 De’ quattro, l’un lo serve del taglieri; l’altro li porta dinanzi la spada; pincerna è il terzo e ’l quarto camerieri. Quest’ordine, che tanto ben digrada, fu proveduto a ciò che fosse sempre 20 sí per elezione e in lor contrada. Due anni e diece vissi a le sue tempre e voglio ben, se di lui scrivi mai, che secondo al buon Carlo tu l’assempre. Apresso di costui, ch’io tanto amai, Otto secondo la corona prese, che somigliò lo suo buon padre assai. Incontro a Pietro prefetto difese il Papa mio, il quale era per certo morto, se pigro stato fosse un mese. 30 E come per ben far s’aspetta merto, similemente, operando il contraro, dee l’uom pensar di rimaner deserto. Dico che molti a costui rubellaro, violando la pace ch’avea fatta, 35 li quai distrusse con tormento amaro. Qui non ti conto la mortal baratta che fe’ coi Saracin, né la paura ch’egli ebbe in mar, dopo la lunga tratta. Cinque anni e diece visse in quell’altura 40 e, poi che morte il suo corpo saetta, Otto il terzo prese di me cura. Costui de la sua sposa maladetta provato il vero con la vedovella, col fuoco fece iusticia e vendetta. 45 Io non ti posso dire ogni novella di questi miei signor, ma quella arrivo che mi par di ciascuno a dir piú bella. E se in quel tempo fossi stato vivo, Ugo marchese averesti in Fiorenza 50 veduto, un gran baron possente e divo. E se di lui vuoi piena sperienza, di quella avision fa che dimandi de la qual fe’ sí buona coscienza. E spiane ancora quel da’ Gangalandi, 55 quello de’ Pulci, Giandonati e Nerli,e molti, che per lui fun poi piú grandi. Or perché in te ogni mio dir s’imperli, qui t’ammaestro che non pigli briga con uom ch’abbia piú alto di te i merli. 60 Io dico che Crescenzio s’affatiga contro a lo ’mperio di far novo papa, onde Otto poi l’uno e l’altro gastiga. E voglio che ne l’animo ti capa che allora Ugo Ciapetta si fe’ vespa 65 e, per prendere il mele, uccise l’apa. Qui puoi vedere che cosí s’incespa qua giú la gente, come in pianta fronda: surge la nova e cade la piú crespa. In questo tempo mi vedea gioconda 70 e Italia mia tanto contenta, quanto colei che d’ogni bene abonda. Per questi tre signori vid’io spenta la tirannia di qua, sí che non c’era chi spaventasse com’or si spaventa. 75 Qui non si ponea dazio a la statera del pan, del vin, del mulino o del sale, che disperasse altrui com’or dispera; ma solo il censo al modo imperiale ciascun pagava e questo era sí poco, 80 che a niuno non dolea né facea male. Qui si potea d’uno in altro loco passar per le cittá a una a una, senza costar bullette un gran di moco; qui non temea la gente comuna 85 trovarsi nel tambur né esser preso per lo bargello, senza colpa alcuna; qui non temea che fosse difeso il mal fattor né tratto di pregione, né l’aver del comune essere speso 90per un uom sol, senza mostrar ragione.