Quid novi?

La Bella Mano (157-170)


La Bella Mano di Giusto de' ContiCLVIIDeh se Laura mi fosse sì suaveSempre com'ora, et amor sì benegno,Qual stato al mondo più gioioso e degnoFora del mio, et qual peso men grave?Ch'io miro gli occhi bei c'hanno le chiaveDel mio cor lasso e del debole ingegno,Nel qual consiste l'amoroso regno,E 'l sicur porto di mia fragil nave.Et ella che di ciò par si contenti,Poscia mi mostra la sua bionda trezaTessuta, oimè, dalla man che mi sface.Ivi mi specchio, indi prendo dolceza;Talché, per tema di futur tormenti,Vorrei morir finché 'l viver mi piace.CLVIIINon so se Laura, che il divin PoetaSospirando in bei carmi chiuse et strinse,Fu vera donna, o lauro et donna il finse,Ch'altri de suo desi' avesse più pieta.Questa vegg'io ch'è donna; amor nol vieta,Ché al primier guardo in mio cor la dipinseIn guisa, che da poi mai non si stinse;Sì fu sua vista allor dolce et quieta.Né maraviglia s'egli fu ferventeIn esaltarla in beltà e in maniera;Ché 'l più del tempo si mostrò benegna.Maraviglia è di me, che quest'alteraAscoltar non mi vuole, anzi mi sdegna,Et io sempre le son più obbidiente.CLIXSecco è il bel lauro, anzi è spenta sua foglia,L'aura, l'ombra, l'odor, che mentre visseParea che il mondo di beltà vestisse,Di fiori et d'erbe et d'amorosa voglia.Qui giace il tronco; et la miglior sua spogliaNel ciel tornò (benché al partire afflisseMe che di lei già sospirando scrisse)D'onde prega or via scacci ogni mia doglia;Et se pur pianger vuo', pianga me stessoRimaso in terra nudo, pien d'affanni,Senza sole, et in mar senza governo.Lei più non pianga, et il mortale eccessoChe le fu vita; ma vuol che mill'anniSua fama duri, et fia suo nome eterno.CLXL'albor sacro et gentile, in cui molti anni,Come in suo albergo il mio cor lieto giacque,Mentre a fortuna invidiosa piacqueAl mio mal sempre pronta et a' miei danni,Morte mi ha tolto co' suoi usati inganniPer farne il ciel più bello, ond'eterne acqueUsciran de' miei occhi, sì gli spiacqueVeder spento il riposo de' suoi affanni.Né spero mai finché mia vita dura,Che sarà breve, avere altro conforto,Se non di pianti et dolorosa guerra:Ch'io veggio il nostro vivere esser corto,Et morir pria i migliori, et sua venturaData a ciascun dal dì che nasce in terra.CLXIUn anno ohimè ! lasso oggi è ch'io perdeiMe stesso, ogni mio bene, et quel bel volto:In tal dì fui dal suo car spirto scioltoPer crudel morte, ond'io son pien d'omei.Et l'ombra dell'allor sotto cui feiDi pensieri et disii dolce raccolto,E il gentil nodo in ch'io ancor so' involto,Et sarò sempre fin ch'io sia con lei,Spenta vid'io; et l'albor da radiceEt svelto et secco et rotto, onde di dogliaFu quasi il cor dall'alma mia diviso,Et prego ognor da me pur che si togliaQuesto peso terrestre et infelice,Per gire a star con lei in paradiso.CLXIIBen fo neffando, infausto et mal[e] dectoEl dì primo ch'al mondo gli occhi apersi,Poy che, nascendo, di rei casi adversiEsser dovea preservato ricepto.Ben fo infelice il ventre, che, constrectoA·ppartorir un tal mostro, soffersiOrganiçarlo pria, se ad sì diversiAffanni, ire et sdegni era subgepto.Ma più infelice l'alma, che in quell'oraSì stratiabil corpo et inpudicoPer suo proprio destin prender convenne.Et se esser mixer debbo et pur mendico,La terra e i ciel perisca, et chi l'adora,Et chi m'ascolta, si non presta uno amenne.CLXIIIPerch'io pur pianga ognor con più dolcezza,Né mai senza sospir passi mia vita,Di nuovo Amor mi ha fatto una feritaDi suo stral d'oro, et pien d'altra vaghezza.Et la mia mente a contemplar s'avezzaUn'Angela dal Ciel scesa et partitaA darmi pace, ché, senz'ella, aitaEd ogni ben mondano odia et disprezza.In lei spero et mi specchio, et ciascun pioSuo atto amante io noto, e il dolce sguardo,Che fa di marmo chi gli s'affigura.Et perché indegno mi sento, et non tardoA tanta impresa, io vò con ferma curaPer ben far meritar quel che disio.CLXIVDolci capelli dolcemente scioltiDella dolce Aura al collo dolce intorno.Dolci et dolci occhi, anci dui sol, che giornoDolce fanno ad chi son dolci rivolti:Dolci coralli et perle, onde escon moltiDolci sospiri, e 'l parlar dolce e[t] adorno;Dolce è il bel vixo, ove a specchiar in torno,Pien di dolceçça, quando tu m'ascolti:Dolce, rotonde et candide mamelle,Dolce parte secrete, di che spessoDolcemente amor meco ne ragiona:Dolci mani et pulite, schiecte et belle,Che dolce offitio ad voi dolce è concessoPer più adolcir quella dolce persona.CLXVMirate, occhi miei vaghi, quel bel viso,Le maniere e i costumi di costei,Che averian forza a innamorar gli Dei,Et fargli abbandonare il paradiso.Mirate quel soave et dolce risoChe in parte è gran cagion de' sospir miei,Miratela dal capo insino a' piei,Che ogni membro è più bello et mè diviso.Ma son di più dolceza le parole;Che zucchero, armonia, mele et moscatoPar ch'escan dalle labbra di corallo.Qui nascono le rose et le viole,Qui si vede l'avorio et il cristallo,Quivi et no in Ciel poss'io farmi beato.CLXVICome tu fosti, benedetto insogno,Il primo a farla del mio amore accortaCon quel stretto abbracciar che mi conforta,Dolceza tal che vegghiando io m'assogno;Et come spesso non pur quand'io sogno,Ma in vera vision senz'altra scorta,Con soavi parole mi conforta,Onde allegrezza et disio rompe il sogno;Così ti prego che torni soventeA farla pia con quell'accesa face,Bench'esser soglia gentil cor clemente,La vita mia, che consumando sface,Talora muove da sì amare stente,Che sol di lei pensando ho tregua e pace.CLXVIIQuale ingiuria, dispetto, o quale isdegno,Finestre avare et pien di gelosia,Vi feci io mai, nol so: ma a chi ne spiaDirò, che mille da voi ne sostegno.Umil divoto et reverente vegnoA visitar voi no, ma quella miaNovella Donna, come Amor m'invia,Per farmi de' suoi servi il non men degno.Et voi trovo rinchiuse essere ognora.Non basta assai che per più mio tormentoAltissime et ferrate esser vi veggio?Che cascar possa fin dal fondamentoLa casa, et perir chi dentro dimora,Purché sia salva lei, che io bramo e chieggio.CLXVIIIFinestre mie, quand'io ve veggio aperte,Et posar sopra voi quel gentil viso,Parmi vedere aperto il paradiso,Et voi di rose et viole coperte.Et le bellezze a me dal cielo offerte,E i leggiadri occhi, et quel soave riso,Io mi fermo a mirarli intento et fiso,Per far mie voglie del suo ben più certe.Et veggio Amor con refrigerio starsi,Trastullando con lei, nel suo bel seno,Et accennarmi di su' aurato dardo.E il mio cor di disio dolce ripieno,Et più d'invidia, cerca di accostarsi,Per più dolcezza trar del suo bel guardo.CLXIXNon dolse più alla sventurata DidoQuando sentì partir l'ingrato amante,Né più alla dolente Ero, che già tanteVolte il suo vide tornare in Abido;Né più ad Arianna, che nel lidoLassata fu da quel che poco innanteScampato avea da morte, et trionfanteSeco sen gì lassando il proprio nido;Che a me la tua sì subita partenza,Donna mia cara: onde il mio afflitto core,Seguendo te, di sé m'ha fatto senza;Perché onestà non consente ad amore,Che come il cor, così la mia presenzaFosse con te per trarmi di dolore.CLXXAventuroso et più di me contento,Vago augelletto, che il tuo dolce amoreApri cantando il giorno a tutte l'oreCon sì soave e sì pietoso accento,Vorrei stato cambiar teco lì drento,L'amor non già, ma tua forma et colore;Ch'io sveglierei pietà forse nel coreDi tal, che s'ha piacer del mio tormento.Et quella man, da cui spero ancor pace,Che per prender di te lungo dilettoTi porge i cibi e a lusingar t'avvezza,Io pur la bacerei senza sospetto,Specchiandomi in quel viso che mi faceRider di doglia et pianger di dolcezza.