Quid novi?

Il Dittamondo (2-28)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXVIIIQuando intesi de l’ordine che tenne nel ritornar Farinata in Fiorenza, del buon Camillo antico mi sovenne: ché laddove io l’avea per sentenza sbandito, con vittoria a me discese, 5 di pace pieno e d’ogni provedenza. E quando udio che ’l partito si prese per ciascun di gittarla tutta al piano, e come a volto aperto la difese, qui mi sovenne del mio Africano, 10 che nel consiglio mi difese el solo col bel parlare e con la spada in mano. Ma ben mi maraviglio e parmi un duolo che i cittadini stati son sí crudi in quarto grado a’ figliuoi del figliuolo. 15 Nel tempo quasi, che or qui conchiudi, fu la battaglia, ove quel di Buemme a gli Ungar tolse archi, saette e scudi. E non fan sí gran numero trenta emme, quanti di quei vi funno morti e presi, 20 vincendo terra piú che sei Maremme. In questo tempo ragionare intesi d’un miracolo bel che fu in Parigi, lo qual vo’ noti sí com’io l’appresi. Dico, dov’era presso il re Luigi, 25 ch’un prete levando il corpo di Cristo tra gente assai di giovani e di grigi, che tra le mani un fanciul li fu visto, lo quale era sí bel dal capo al piede, che detto avresti: – sempre quivi mi sto –. 30 Ma nota ben d’un re verace fede: che i suoi ’l chiamâr che l’andasse a vedere; rispuose: – Quel ci vada che nol crede –. Piú per ingegno, che per gran podere, prese in quel tempo l’Aretin Cortona 35 e quella sfece e fenne al suo piacere. Per acquistar la Spagna e l’Aragona, quel di Morocco e di Bellamarina, di Tunisi, di Bugea e di Ippona, con altra gente tutta Saracina 40 e con tanti navili il mar passaro, ch’a vederli parea una ruina. La croce si bandio a quel riparo; poi, come piacque a Dio, funno sconfitti per modo tal, che pochi ne scamparo. 45 Qui bassa gli occhi e tienli vèr me dritti,che non turbin l’udir, ché l’uom che guata in qua o lá mal nota gli altrui ditti. Io dico che nel regno di Granata s’adora Macometto e ch’ello è tutto 50 di qua fra noi e l’Africa guata. Qui fa suo guarnimento e suo ridutto il Saracino e ’l paese poi corre e ’n questo modo l’ha piú volte strutto. Per cacciar questi e quel reame tôrre, 55 Chimento e Carlo non darebbe un grosso, se n’avesse ciascun piena una torre. Dei re e de’ signor che dir ti posso e de’ cherci, se non ch’egli hanno il volto dove gli antichi buon teneano il dosso? 60 Propio nel tempo, ch’io ho qui raccolto, fu per Fiorenza veduto un leone bramo e fiero andar correndo sciolto e prender questo un picciolin garzone e tenerlo abbracciato tra le branche, 65 com fa col cucciolin ne la pregione; e scapigliata e battendosi l’anche giunger la madre trista e vedovella e senza danno trargliel de le zanche. In questo tempo apparve la stella 70 che l’uom chiama cometa, con tal coda di fuoco, che parea una facella. Tra Asolo e Bascian, da quella proda un monte sta vedovo e orfanino, che del peccato altrui poco si loda. 75 Di lassú scese in quel tempo Azzolino, che fe’ de’ Padovan tal sacrifizio, qual sa in Campagnola ogni fantino. Partirsi ancor, nel tempo ch’io t’indizio, il re di Francia e quello d’Inghilterra, 80 di Navarra e di Puglia da l’ospizio. E vinto avrebbe Tunisi e la terra d’Africa il grande stuol, se non che ’l morbo fece lor peggio troppo che la guerra. E, ben che ’l male fosse grave e torbo, pur si vinceva, se Carlo non fosse, ch’ogni compagno suo quivi fece orbo. Io non so bene onde Romeo si mosse, quando in Provenza venne al buon Ramondo col mulo, col bordone e scarpe grosse. 90 Ma questo ti so dir: de’ ben del mondo tanto avanzar gli fece per suo senno, che fu per lui un Gioseppo secondo. Al fin gl’invidiosi tanto fenno, che Ramondo li domandò ragione; 95 e qual di Scipio, tal di lui t’impenno: che sol sen gio col mulo e col bordone.