Quid novi?

La Bella Mano (191-200)


La Bella Mano di Giusto de' ContiCXCIAhi tempo speso, ahi pronti pensier vani,Ahi lingua or muta, già sì ardita et franca,Ahi occhi, ahi core, a cui giammai non mancaPiangere et sospirar presso et lontani!Ahi lasso ingegno, ahi mie affannate mani,Ahi mente vaga, che ancor non sei stancaDi lusingar quella man bella et bianca,Et far quegli occhi pietosi et umani!Ahi passi sparsi tanto che i piè vostriInfermi sono, et l' alma in grande errore;Ahi penna, ahi carta, ahi mal locati inchiostri!Ahi fugace speranza, che n' hai mostreFallaci ciance, ahimè mio dolce amore,Perse son tutte le fatiche nostre.CXCIIIl dì sospiro, et le lacrime ch' ioPer vergogna nascondo, a mille doppieLa notte io rendo, perché il cor non scoppie,Che di dolersi ognor cresce il disio.Et se talora di porle in oblioCerco, et dentro le stringo a coppie a coppie,Di subito convien ch' io le raddoppie,Come il pensiero alla cagione invio.Onde il viver mi spiace per l' affanno,Né spero mai trovar cosa altra alcuna,Se non che a pianto et morir mi conforte.Et perché amando bene alma ciascuna,Ben more il corpo, anzi eterni si fanno,Ognor più bramo et più chieggio la morte.CXCIIIDoloroso mio cor, tu ti lamentiDi me senza ragione et di costei:Lamentati di te, poiché tu seiCagion tu sol di tutti i tuoi tormenti.Allor che da disio mosso consenti,Che gli occhi di costei per gli occhi mieiPenetrando là dentro ove tu sei,In te scolpiti ognor mi sien presenti.Che posso io poi, se non per maravigliaContemplar la incredibil sua bellezza,Che a noi fa spesso infino il sole oscuro!M' abbaglia sì della dolce vaghezzaQuando in me volge le radianti ciglia,Che bene ho paradiso; altro non curo.CXCIVAmor, tu vedi che costei mi sdegna,Et più non posso, et tu vuoi ch' io la segua:Deh non, per Dio! ma i suoi pensieri adeguaAll'animo suo altier dove disegna.Per me ferma il più bel volto tua 'nsegna;Di qui leva il mio cor che si dilegua,Né spera mai aver pace né tregua;Tanta superbia et crudeltà in lei regna!Vogli de' tuoi suggetti una fiataCrescendo il numer compiacer a doi,Et trar me et forse altrui di grave stento.Deh fallo, io te ne prego, ora che puoi!Et se il servir mio poi più non t' aggrata,Lassami in libertà, ch' io son contento.CXCVPassato è il tempo, Amor, che di me stratioPer contentar costei tu far solevi;Passata è la stagion che tu doveviFarmi beato, ond' io di te son satio.Passato è il tempo, anzi non hai più spatioAd effetto mandar quel che volevi;Persa hai la forza in me e 'l valor che avevi:Fammi il peggio che puoi, ch' io ten disgratio.Ch' io sono in libertà ; et quest' altera,Crudele, ingrata, falsa donna, a cuiDi volontà mi fei servo fedele,Rivolti ha i suoi pensier tutti in altrui,Di ch' io non curo: ché il mio core speraA miglior vento dirizzar sue vele.CXCVISpento è quel fuoco che sì lungamenteA poco a poco consumando m'arse,Et le bellezze che mi fur sì scarseForse dell' error suo tardi si pente.Però che una più dolce e assai più ardenteFiamma il benigno Arcier sopra mi sparse,Tal ch' io sentii di subito cambiarseNon pur mio volto, ma il core e la mente,E innamorarmi d' un più gentil fiore,Anzi d' un più bel viso et più perfetto,Che mai natura e il ciel mostrasse in terra:Apparso qui fra noi per mio rispetto,Com' anco spero a trarmi di dolore,Et pace darmi di sì lunga guerra.CXCVIILa donna ch' io già porto in cor scolpita,Che acceso di disio pregando adoro,E in versi e in rime a mio potere onoro,Per farla in l' amor mio ferma et gradita,Ognor più co' vaghi occhi m' invitaA seguir l' alta impresa e il bel lavoro,E il pronto lusinghier de' suoi stral d' oroRinfresca al cor la non mortal ferita.Ché a mal mio grado volentier comenzioA temer et sperar non so di cui,Et piangendo cantar miei dolci affanni.Che fia di me non so: sassel coluiChe tempra a' servi suoi mel con assenzio,Et cangia il viso e 'l pelo innanzi gli anni.CXCVIIICol viso bianco, anzi pallido et smortoVo pauroso ove i begli occhi stanno,Per fin che scorgo ben se a schifo m'hanno,E il capo basso di vergogna porto.Elli co 'l guardo benigno ed accortoPiù certo ognor del loro amor mi fanno,Tal che ho 'l cor pien di dilettoso affanno,Et di speranza tutto mi conforto;Ringraziando i cieli e la natura,Et più Cupido, et molto più ancor LeiChe si contenta che per Lei sospire.Languisca o mora, omai mio cor non cura,Purché rimanga il titolo a costei:Ché l'onor della vita è un bel morire.CXCIXCome in pigliarmi diversa manieraAmore oprò, così ancor nuova leggeUsa, ch'or m'ammonisce, or mi corregge,Or mi lusinga, or mi mostra aspra cera.Questa mia mansueta et vaga fera,Che sol co 'l guardo suo mia vita regge,Et di quaggiù non ha chi la paregge,Parmi ogni dì più grata et meno altera.Con tutto questo il cor non si assicura,Rimembrando fra sé prove altre molteDel mio Signor, che a nessun fede osserva.Fiamma amorosa in femina non dura,Anzi in un punto si cambia più volte,Se 'l tatto o il guardo almen non la conserva.CCQual chi mai cose insolite et stupendeSospeso guarda et poi si maraviglia,Et spia, cerca, dimanda, et s'assottiglia,Finché del suo disio parte comprende,Questo m'avviene ognora che si stendeMia vista in l'ombra delle vaghe ciglia,Onde il cor di lassarmi si consiglia,Et verso loro il cammin ratto prende.Poi si ritien, perché non è ancor fidoDi là benignamente essere accoltoChé vede usarsi al mondo di nuov'arte.Così dubbio di sé, legato, et scioltoTorna pien di vergogna al primo nido,Dove non sta volentier, né si parte.