Quid novi?

Il Dittamondo (2-30)


Il Dittamonadodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXXVacò l’imperio mio da Federigo secondo in fin al tempo che poi venne di Luzinborgo il magnanimo Arrigo. Di spazio due e sessanta anni tenne. Or puoi pensar sí come lunga etate 5 la parte sua e io pianger convenne. Tanto fu pien costui d’ogni bontate, che d’un piccolo conte fu eletto, senza quistione, a la mia dignitate. Oh di Bruciati, oh nato maladetto, 10 quanto facesti mal far contro a lui, benché la morte tua puní il difetto! Che se non fossi, montava costui, per lo suo gran valore, in tale stato, che fatto avria di sé segnare altrui. 15 Contro gli Orsini e contro l’ordinato poder del re Ruberto e la potenza de’ Guelfi fu per forza incoronato. Apresso, l’oste sua pose a Fiorenza; ma giovò poco e ritornossi a Pisa 20 e contro a’ suoi rubelli diè sentenza. Poi in vèr Puglia il suo cammin divisa e, giunto a Buonconvento questo Augusto, li fu per morte la strada ricisa. Qui dèi pensare e riducerti al gusto 25 che ’l ghibellino e io rimasi come mozza la testa poi rimane il busto. Di questo dolce e grazioso pome surgeron piante, per le quali ancora di qua l’aquila vive in pregio e in nome. 30 E quella, che altamente e piú l’onora, si è la Vipera: e certo ciò è degno, ché la rimise nel suo nido allora. Contro a Filippo e contro al suo gran regno e contro a quel di Puglia e di Caorsa, di sua grandezza è stata poi sostegno. Similemente si trovò soccorsa dal Cane e dal Mastin, contra ogni avverso, or con la spada e quando con la borsa. E l’oro e ’l nero listato a traverso, 40 che portan quelli a cui le piagge bagna Benaco, sempre li sono iti al verso. Il gran marchese, nato de la Magna, ch’alluma la balzana per le piaggi, rosso e bianco, per lei non si sparagna. 45 Di verso Massa di piú alti faggi un gigante appario, nel qual Marti grazia infuse co’ suoi forti raggi. Con la lepre marina e le sue arti, lungo il Serchio l’annida e la sostenne 50 in su la Nievol, dico, e in altre parti. E quella pietra, che piú tempo tenne il caval senza fren, giusto sua possa non le lasciò mancare al volar penne. Cosí dal veltro si vide riscossa, 55 che partorito fu da la pantera, quando ’l Guelfo a Gallena lasciò l’ossa. E la colonna con la fede intera sí ben co’ suoi seguaci l’ha difesa, che col mio leofante e meco impera. 60 E quel da Montefeltro, a cui la spesa il piú del tempo al gran volere manca, quanto può guarda che non sia offesa. E la cittá, che tiene in man la branca verde, la qual poco si vede in pace, 65 per lei guardar mai non si vide stanca. Morio il mio signor tanto verace nel mille con trecento tredici anni e men di due fu meco e in Pisa giace. Poi, dopo tanto lunghi e gravi affanni, 70 di Baviera Lodovico seguio che mal guardar si seppe da gl’inganni. Con pace venne dentro al grembo mio nel mille trecent’otto e apresso venti e venti visse poi, per quel ch’i’ udio. 75 Io non so ben perché con gravi stenti prese il Visconte e cacciò di Melano, ma presso fu ch’allor non funno spenti. Io non so la cagion perché il Pisano le porte chiuse e negogli l’onore, 80 benché in men di due mesi l’ebbe in mano. Un pastor fece questo mio signore, lo qual guardasse il luogo di San Pietro, dove quel di Vignon poco avea il core. E se state non fossono di vetro 85 l’altrui promesse, ito sarebbe innanzi, dove ingannato si ritrasse a dietro. Ma tal si crede far di ricchi avanzi per ingannare altrui, che matto e stolto si truova, pria che ’l pensier vada innanzi. 90 Al tempo suo, senza titolo tolto, passò quel di Buemme in Lombardia, dove da piú cittá fu ben raccolto. E, senza fallo, in gran poder venía, se non fosse ito a torneare in Francia, 95 quando fermar dovea la signoria. Non de’ il signor tener le ’mprese a ciancia, ma seguitarle in sino a la radice col senno, con la borsa e con la lancia: ché tu sai bene che ’l proverbio dice 100 che chi due lievri caccia, perde l’una e l’altra lassa e rimane infelice. Così a questo re fe’ la fortuna: per seguire altra traccia e lasciar noi, di qua non gli rimase cosa alcuna. Carlo, il figliuolo, incoronai da poi in nel mille trecento cinquantuno e cinque piú; e questo vive ancoi. Ma vedi il cielo ch’è stellato e bruno e vedi me, c’ho finito il mio dire, 110 e vedi l’erba fresca e senza pruno". Per ch’io l’intesi e puosimi a dormire.