Quid novi?

Il Dittamondo (2-31)


Il Dittamonadodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XXXIGiá sentivamo su per gli albuscelli gli usignoli cantare intorno intorno con dolci versi e i piú altri uccelli, e l’oriente lucea tutto adorno dai raggi bei de l’amorosa stella, 5 ch’annunzia in primavera sempre il giorno, quando con chiara e polita favella ella mi disse: "Or su che ’l dí è giunto, che comprender potrai quanto fui bella". Ond’io, che dal disio era sí punto 10 che mi parean mill’anni essere mosso, leva’mi in piedi, ch’io non stetti punto. E, per quello ch’ancor ricordar posso, noi ce n’andammo senz’altro sermone in fin ch’io vidi come fosse un fosso. 15 "Ecco la fibbia ch’è senz’ardiglione, ecco la ricca e bella mia cintura, che per gli antichi sí cara si pone. E perché sappi il ver di sua misura e notilo a la gente pellegrina, 20 venti due miglia certamente dura. Un’altra n’ebbi in cittá Leonina e ’n Trastever la terza: entrambe tali qual’è quest’una, ch’è tra noi vicina. Omai vien oltre e potrai veder quali 25 funno li miei castelli e l’alte torri e i gran palagi e gli archi triunfali. E dico ben che, se tu non trascorri, maraviglia sará se, riguardando, la mente in tante cose non abborri". 30 Io la seguio secondo il suo dimando, tanto che giunti fummo al pie’ d’un monte, dove salí e io per suo comando. "Le cose quinci ne saran piú conte", mi disse e additommi un gran palagio, 35 ch’era dinanzi da la nostra fronte. E sopragiunse: "Pensa s’io abbragio: dentro a quel vidi re e piú baroni tutti albergare e bene stare ad agio. E vidil pien de le mie legioni, 40 posto per segno in me di monarchia, in quella parte ove ’l bellico poni. E guarda dove per gran profezia poner giá fece una statua d’oro colui che mi nomò e sposò pria. 45 E guarda lá, ché lí fece dimoro in colle Quirinal, coi suoi, Pompilio, benché, per lunga etá, manchi il lavoro. E guarda in Velia, perché lá Ostilio dificò l’altro e poi riguarda ancora 50 in Esquilin, ché lá visse Servilio. E guarda l’arco onde Decio s’onora, quel di Camillo, di Fabio e di Scipio e dove Paulo e Pompeo dimora. Vedi il luogo de’ Sergii, ch’al principio 55 ch’Enea passò di qua, venne con lui l’antico lor, giá stratto d’alto incipio. Lá si noma lo ’nferno e lí giá fui per Marco Curcio dal fuoco difesa, come t’ho detto e puoi saper d’altrui. 60 E benché a ricordarlo ancor mi pesa, d’essi scese colui, per cui disfatta Fiesole fu e io sovente offesa. Da me sbandita, udii poi che sua schiatta ad abitar si mise sopra l’Arno, 65 in nel piú alto ove Fiorenza è fatta". Solin non prese le parole indarno, ma, rivolto in vèr me, mi fece un riso tale, che l’atto ancor nel cuore accarno. "Vedi lá il pome, ove ’l cener fu miso 70 di colui che fe’ giá tremare il mondo piú ch’altro mai, secondo il mio aviso. Vedi come un castel, ch’è quasi tondo: coperto fu di rame, ad alti seggi dentro, a guardar chi combattea nel fondo. 75 E perché piú ciò ch’io dico vagheggi, vedi i cavai del marmo e vedi i due nudi che ’ndivinâr, come tu leggi. E vedi l’altro lá, dove sta sue quel gran ricciuto presso a Laterano, 80 ch’uom dice Costantin, ma quel non fue. Vedi lá dove parve a Ottaviano veder lo cielo aperto e un bel figlio una Vergin tener ne la sua mano. Vedi lá dove a l’olio die’ di piglio 85 in Trastever qualunque aver ne volse, quel dí che nacque de la Rosa il Giglio. Vedi l’arco di Prisco, onde giá tolse Costantino i cavalli, allora ch’ello, lasciando me, a Bisanzo si volse. 90 Vedi Termi Dioclezian sí bello e guarda in Albeston e Settesoglio, li quai fun tali, ch’ancor ne favello. Vedi l’antico e ricco Campidoglio: quello era il capo mio e dir potrei 95 del mondo tutto l’altezza e l’orgoglio". Qui si taceo e io, posto a’ suoi piei, dissi: "Madonna, quanto son contento del vostro ragionar dir non saprei. Omai, quando a voi fosse in piacimento, 100 volentieri ritroverei la via per la qual viver, morendo, argomento". Ed ella a me, con voce onesta e pia: "Non ti dispiaccia far lo mio cor sazio del nome tuo e dove vai in pria". 105 "Madonna, rispuos’io, l’antico Fazio, conte di Pisa e nato di Gherardo, del qual voi dite che Carlo fe’ strazio, mi die’ il suo nome e, benché ’l tempo è tardo, mosso mi son per veder pellegrino 110 del mondo quanto il sol n’ha al suo riguardo. L’antico mio fu vostro cittadino, Uberto Sergio". Ed ella: "Or va con Dio, ché lui conobbi e giá ’l vidi orfanino". E cosí, lagrimando, mi partio. 115