Quid novi?

Rime inedite del 500 (XXVII)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XXVII[Di Antonio Cinuzzi]O d'Helicona dee, che dall'oscuroSepolcro e dall'oblìo cieco et eternoTraete l'uomo e lo serbate in vita,Date favore al mio disire interno,Riscaldatelo voi, fatel' sicuroAl poggiar di quest'alta, erta salita;Bench'io facessi già di voi partitoMolti anni sono, non vi sdegnate ch'ioTorni, almen questa volta, al vostro albergo,Poi ch'io le carte vergoPer onorar quasi un terreno dioIl gran Cosmo d'Etruria oggi gran Duca,Il cui chiaro valor lungi risplendeSopra gl'altri di questa, o d'altra etate.Io chieggio a' gravi affanni libertate,E pace, onde dir possa quel ch'intendeL'ascoso mio pensiero, e lo riducaIn chiare note, e a lieto fin' conduca.Datemi voi lo stile, e dolci e tersiSien per voi questi accenti e questi versi.L'alto re de le stelle, e gran motore,Che fe' ciò che si vede, e lo mantieneSenz'altro mezzo e sol co 'l suo volereA tutto quel di su scende e vîeneDel suo spirito infonde e del suo amore;Ma dove meno, e dove più sincereMostra le forze sue possenti e vere,Quindi è ch'or' questo, or' quel mortal si scorgePer fatti egregi sopra il mondo alzarsi,E grande, e chiaro farsi,Tanto che maraviglia al mondo porge.Quindi gl'Ercoli al cielo e gl'alti AugustiSaliro, ch'ebber luogo in fra le stelleMercurio, Marte, Apollo et altri molti,De' quai da questa vil carne discioltiNon fia per l'opre lor' tante e sì belleChi giamai del liquor di Lethe gusti.Hor fra quelli onorati, e fra quei giustiSarete, Cosmo, voi, poich'in voi semprePiù largo è Giove ognora in varie tempre.Ecco in segno di ciò con la coronaReal di grande il degno nome in donoOggi vi dà chi tien di Pietro il manto,Chi presso e lungi fa sentire il suonoDell'alta sua bontà. Tutto EliconaDovrebbe qui voltar le rime e 'l canto.Egli, che 'l folle e 'l rio del saggio e santoScernendo col giudizio suo divinoDà premio a' buoni, e dà castigo a' reiFra gli altri semideiHa visto voi, più raro e pellegrino,Pien di casto pensier, d'alto costume,Ornato e pronto d'animo e di forzaA la difesa di sua santa sede.Questa donque e maggiore a voi mercedeConvien, come a chi sempre al ben si sforza,A ciò che voi fuor d'ogni uman costumeA la cieca età nostra un chiaro lume.Siate, onde poi ognuno al ben s'appigliNel dir, nel fare, a voi si rassomigli.Tra quanti mai natura e 'l ciel crearoUomini glorïosi, uomini illustri,Che furo a li scrittori ampio soggetto,Stati son mai in tanti e tanti lustriChe del nome di grande, e d'altro chiaroSegno onorati sieno, e ognor nel pettoDessero a gran' pensieri alto ricetto.Fra questi pochi, o onor dell'età nostra,O di valor, di vera gloria tempio,O di ben fare esempio,Splendete voi per l'alta virtù vostra.Quindi è che 'l Pio pastor tanto corteseNon sol fu a voi di cotal' don; ma ancoraA quei che sono e che giamai sarannoEredi vostri, e 'l scettro in man terranno.E ben conviensi, poi che già dimoraQuell'ardente virtù, per cui paleseFate veder' vostre onorate impreseNel vero successor del sangue vostroDegno d'ogn'alto e ben lodato inchiostro.A lui 'l governo avete dato in manoDi città e di provincie, e mari, e porti,Giovane ancor, ma sopra gl'anni saggio.Egli discerne le ragioni e i tortiCon vista grave, e con sembiante umanoDel nobil sì, come del vil lignaggio,Simil'al sol, che luce col suo raggioIn basso e in alto, e in ogni parte scalda.Quest'orme son de la paterna altezza,Ove ha la pianta avvezzaDi posar come in base giusta e salda,Del regnar' questi son gli accorti esempiI quai maraviglioso il mondo ammiraCon bella invidia, e con soave scorno,Et a ragion; poscia che quanto intornoDistende l'ocean le braccia e giraNon fu mai ne' moderni e antichi tempiChi 'l rio più distinguesse dal sincero,E meglio conoscesse il falso e 'l vero.La dotta Grecia, che si vanta e gloriaDi tanti savi suoi, che con le leggiA molte patrie procacciar' salute,S'avesse hauto voi dentro a' suoi seggi,Dopo non l'era far d'altri memoria,Ché di tutti è maggior vostra virtute,In cui mirando, immantinente muteRestan le lingue. Or non avete voiCreato mille leggi, e dato normaD'onesta vita, e formaA varie e strane genti, non ch'a noi?Non piglian Francia e Spagna e Italia tuttaDa voi consiglio, sì com'anco aiuto?Non porgete voi loro armi e tesoro?E Roma u' lascio e 'l suo purpureo coro,Che s'è spesso per voi salvo renduto?Nel qual' vittrice in la terrena luttaSplende la stirpe vostra, che conduttaVedremo un giorno, spero, a tanto pregioCh'avrà de' sacri onori il sommo fregio.Fur' gli avi e padri vostri illustri e degniD'ogni eccelsa fortuna; ma promessoAvean tal' dono a voi stelle fatali,A voi, signore, han tanto ben concessoNell'età nostra quei celesti segniPer far che noi levassem' suso l'ali.De' pensieri a bell'opre et immortali,Che l'impara da voi chi ben le stima,In voi fan le virtù vago drappello,E com'in questo, e quello.Una n'appare, o due; onde ben primaTornarà l'Arno vostro al proprio fonteChe manchi il vostro nome, o che s'estinguaTutti quei che fur' mai pregiati e rari,O che saranno fien' di voi men' chiari.Deh! avess'io come il mio voler' la lingua,E le voci, e le rime ardite e pronte,Che risonar farei la valle e il monteDi vostre lodi; ma mia sorte vuoleCh'io le mormori in semplici paroleDirei di voi fin' dalle fascie comeDal padre vostro in voce alta chiamatoRicolto fusto nell'ardite mani,Né stelle fisse allor, né largo fatoTenne cura di voi dal pie' alle chiome;Ma chi 'l ciel regge; onde non pur fe' vaniCol suo poter, ma discacciò lontaniTutti i perigli ch'a le picciol' membraNé ferme ancor nuocer potevan forse,Quando da sì alto scorseIl corpo vostro, orrore a chi 'l rimembra.Direi del grato conversare, onestoNegl'anni giovenili, e dell'ingegno.Del cuor sdegnoso d'ogni cosa vile,E che 'l più generoso e più gentileNon vide il sol, né giunse alcuno al segnoDove giugneste voi, che sempre destoFoste ad opre onorate, e pronto, e presto,Indicij certi di trovare il guado,Di passare ove or' sete a tanto grado.Io cantarei che 'l quarto ancor finitoLustro non era, che lo scettro avesteDe la bella città, che l'arno inonda,E come la giustizia in man prendeste,Prima il governo, e cominciaste arditoAver per lei al navigar secondaQuell'aura, ch'or' vie più che mai v'abbonda,E se, come sovente fa fortuna,Che con virtù mal' volontier s'accorda,Cieca ai buon' sempre e sordaGravi ingiurie v'ha fatto, e non pur' una,L'alta vostra virtù, che fin' al cieloAlzar vi vuol tutte l'ha rese vane,E resolute in fumo, in nebbia, in polve,E seguirei com'ora il crine avvolveA la man vostra per seguir' lontaneLe vostre imprese con ardente zeloFin' al caldo maggiore, e al maggior' gelo.Or se in voi con virtù fortuna è insieme,Convien che 'l mondo v'ami e di voi trieme.Signor, io lodarei l'ordini e i modiCh'avete dato, e con divin giudizioPer fare altrui ragione al vostro tempo,Per lo cui mezzo d'ogni inganno e vizioAltri si tolga, si ritenga, e snodi,Che fien' laudati infin che sarà 'l tempoRaccontarci com'anco in breve tempoRidotto avete ad ogni piccol cennoVia più bella milizia, e d'ogni sorte,Nobile, saggia, e forte,Che quei di maggior stato unqua non fenno,La qual' non loda pure il re de' fiumi,Che sì superbamente come al mare,E quel già sì possente antico Tebro;Ma Eufrate ancora e Tana, et Histro et Hebro,E vostre forze omai son note e chiare,Vivi del vostro onore altieri lumi,A colui che i Cristiani e i lor costumiCotanto offende, e per voi resta indietroChe non soggioga Italia, e Roma, e Pietro.Contra questo tiranno, che la santaNostra legge disprezza, e che sol viveDi rapine, superbo et orgoglioso,Fondato avete in su le belle riveDell'arno e posto l'onorata piantaDel tempio al santo martir glorïosoDella chiesa di Dio, già in terra sposo,La cui religïon di croce rossaPorta per voi alla e verace insegna,Che di lei solo è degna.Quella virtù che far vermiglio possaDel suo sangue per Cristo il mare e i liti,E mille suoi forti guerrier già indietroRespingon le rie genti, e ne fan preda;Onde convien' ch'egli si roda e ceda,Lassando d'ogni parte il mar quïeto.Questi signor con voi si stanno uniti,Ch'un vostro cenno che li chiami e invitiFaran veder che l'Otomanno voltaLe spalle, e sua virtù resta sepolta.Ma non potrei già dir con mille penneQuanta industria, quant'arte e quanta curaNe' superbi edifitii ognor si veggiaOnde vostra memoria oblio non curaQuel grande Augusto, che l'imperio tenneAnni cinquantasei ne la sua reggia,Con tanta gloria appena vi pareggia.Ordinar veggio alti disegni et opreOvunque io miro, ovunque il passo muovo,Per cui più ognor di nuovoL'alto vostro saper maggior si scuopre.In opra vostra son ben mille Apelli,Mille Lisippi, e mille Fidii e milleInventor d'arti nobili e famose.Questi le più segrete e più nascoseOpre degne ch'il cielo all'uom instilleFanno palesi, questi con pennelliRendon viva, e con punte di scarpelliL'imagin vostra, e li scrittor' l'internaVirtù, ch'assai più val, faranno eterna.D'imagini ornan' molti l'ampia sala,Camere e loggie, e di mirabil fregiSì ben che nulla al ver' più s'assomiglia.Miransi in maestate i volti egregiDe' vostri antichi, e come in alto saleDe' Medici la nobile famigliaCh'Italia e 'l mondo empie di maraviglia.Fra l'altri illustri ivi si vede il vecchioCosmo, dal popul richiamato e accoltoCon dolce e lieto volto,Far de la sua bontà lucente specchioAncora agli empi e fieri suoi nimici,Onde Arno poi ne la grat'urna scrisse;(Bel don), ch'ei fu de la sua patria padre.Fur' infinite l'opre sue leggiadre,E saggio sempre in ciò che fece e disse,Ebbe, siccome voi, possenti amiciE fur' chiamati i giorni suoi felici,A Dio pe' tempi infin' là dove atroceMorte sostenne il Signor nostro in croce.Quel gran saggio Lorenzo, e tanto fidoA la sua patria che d'andare elesseDel re nimico in forza per salvarla,Quivi com' uom' si vede a cui porgesseE lode e premio da ciascun suo lidoItalia tutta, poi ch'in consigliarlaSi mostrò padre; onde ogni storia parla,Splendonvi ancor per vie più alte insegneE Clemente e Leon', con mitre e chiavi,E con modi alti e graviLa via del ciel par che ciascun' insegne;Ma qual fulmine appar, qual vivo fuoco,Qual nuovo Achille, anzi qual vero MarteIl gran genitor vostro, altiero, invitto,Cui cedon tutti quei di cui fu scritto,Tanto alto in greche, od in romane carte.Ahi! morte rea, che se tardavi un pocoNon era Italia e Roma preda e giocoDel barbarico stuolo, e non sentivaTante percosse questa tosca riva.La tosca riva, che per voi le piagheSue antiche ha poi saldate, oggi quietaVi rende e dona eterne grate e lode,Né pur ella è per voi gioconda e lieta;Ma tutte l'altre rive amene e vaghe,Che l'uno e l'altro mar vagheggia e gode,Sentito il gran romor ch'intorno s'odeOvunque andate: ecco, ognun lieto grida,Ecco il gran Duca di Toscana, et eccoParla e risponde ecco;Ma in voce tal che par che canti e rida.Austria gioisce, e si rallegra Spagna,Francia fa festa, con le cui corone,Col cui sangue real congionto siete.Or' ogn'altro pensier tuffate in Lethe,Che sol di gioia ognor non vi ragiona,Dentro al petto nissun v'odia, o si lagnaDi voi, se dal ver (dir) non si scompagna,Sepolta è omai l'invidia e ognuno a garaV'ama, v'ammira e ad onorarvi imparaChiunque alberga dal mar' Indo al Mauro,E dall'onde più fredde a le più caldeViene a rendervi onor, viene a lodarve;Né son' queste, signor, fint'ombre, o larve;Ma vere glorie vostre, intere e salde,Degne d'esser accolte in bel tesauroDegne di qual più sia pregiato lauro;Onde non pur Gran Duca; ma vi chiamaGran Re già il mondo, e tal' v'aspetta e brama.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)