Quid novi?

Il Dittamondo (3-04)


Il Dittamonadodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO IVGiunti in Melan cosí, volsi vedere a Santo Ambruogio, dove s’incorona qual de la Magna è re, se n’ha il podere. Ercules vidi, del qual si ragiona che fin ch’el giacerá come fa ora, 5 lo ’mperio non potrá sforzar persona. Poi fui in San Lorenzo piú d’un’ora, vago di quel lavoro grande e bello, per ch’esser mi parea in Roma allora. E veder volsi ancora il degno avello, 10 nel qual Protasio e Gervasio ciascuno fenno d’Ambruogio come di fratello. E fui ancora dove insieme funo Ambruogio e Agustino, in loco antico, per disputar di Quel ch’ è trino e uno. 15 Poi, come l’uom dimanda alcun amico, se ’l truova, quando giunge in una terra, fec’io un mio al modo che qui dico."Dimmi, diss’io, per cui s’apre e serra questa cittá, che vive sí felice con fede, con giustizia e senza guerra". Ed ello a me: "Se ciò che se ne dice de’ suoi antichi e come funno stratti d’alta, gentile e nobile radice, dir ti dovessi, io te vedrei ne gli atti 25 maravigliare, come Edipus fece quando Iocasta li scoprí i suoi fatti. Ma qui discenderò da cento a diece, per parlar breve, e conterotti a punto di quel ch’io vidi e che piú dir mi lece. 30 Non è il centesimo anno ancora giunto, ma presso v’è, che quello de la Torre cacciò il Visconte con ogni congiunto. E se saputo avesse modo porre a regnar bene co’ suoi cittadini, 35 mal li si potea poi la cittá tôrre. Morto Tebaldo fuori a le confini, Maffeo ne fece sí alta vendetta, qual sanno i diece, i guelfi e i ghibellini. Qui cadde il Torresan con la sua setta; 40 onde Maffeo, per l’Arcivescovo Otto, prese il dominio con senno e con fretta. Un’altra volta ancor tornò di sotto dico il Visconte, per invidia propia, la quale a molti ha giá il capo rotto. 45 Or qui, per darti ben del mio dir copia, s’allor non fosse quel di Luzinborgo cercar poteano l’India e l’Etiopia. Tornati qui, al tempo ch’io ti porgo, preson la signoria per que’ bei modi, 50 che si vuole a tener cittade o borgo. Ben penso che tu leggi spesso e odi di que’ cinque figliuoi ch’ebbe Priamo e che le lor virtú nel core annodi.E penso ancor che giú di ramo in ramo 55 tu hai veduto in fine a Matatia il Genesi, che comincia da Adamo. Costui ancor cinque figliuoli cria, che fun poi tali e di tanta possanza, ch’assai multiplicaro in signoria. 60 Cosí Maffeo fu d’una sembianza co’ due ed ebbe sí cinque figliuoli, che fun co’ diece d’una somiglianza. Chi ti potrebbe dir con quanti stuoli e con che nuova gente per piú anni 65 combattero, vincendo insieme e soli? Galeazzo fu l’un, l’altro Giovanni, Luchino, Marco, Stefano e ciascuno per gran valor sofferse gravi affanni. Tutti questi son morti, fuor che uno, 70 cioè Giovanni, e costui ci conduce sí ben, ch’al mondo non so par niuno. E non pur sol del temporale è duce, ma questa nostra chericia dispone come vero pastore e vera luce. 75 Or t’ho risposto a la tua intenzione; ma son sí ora dal voler sospinto, ch’oltre vo’ seguitar col mio sermone. Dico del primo, del terzo e del quinto rimasen giovanetti e ciascun tale 80 qual par Sansone o Ansalon dipinto. Piange il guelfo la vergogna e ’l male ch’ad Altopascio e sopra la Scoltenna li fe’ giá l’un sentir grave e mortale. Parlasi ancora e scrive con la penna 85 del pregio e del valore, che acquistaro li due in Francia, tra Rodano e Senna". Qui si taceo e io, che aperto e chiaro compreso avea il suo largo dire, tutto il notai ove m’era piú caro. 90 Ma perché disiava ancor d’udire, de’ cinque il domandai, acceso e vago, che piú m’aprisse il valore e l’ardire. Rispuose: "A Bassignana, u’ fen giá lago del sangue de’ nemici, ne domanda, 95 a Vavari, a Moncia, a Parabiago e qui ne’ borghi; poi, da l’altra banda, a Genova, a Tortona e ’n su la Scriva, se contentar ti vuoi di tal vivanda". E io, che volentier parlare udiva 100 le cose antiche, il dimandai ancora Melan chi fe’ e ’l nome onde deriva. "Colui la fe’ che disfè Roma, allora che solo il Campidoglio si difese, come per Livio è manifesto ognora. 105 Per una porca, che in questo paese apparve, questa terra edificando, mezza con lana, questo nome prese". Udito ch’ebbi il perché e il quando, li dissi: "Amico mio, sempre son tuo. 110 Píú star non posso; a Dio t’accomando".Ed ello a me proferse sé e ’l suo.