Quid novi?

Rime inedite del 500 (31-32)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XXXI[Di Salomone Usquè]Di Salomone Usquè hebreo in morte di Carlo Quinto.Erga il gran figlio al maggior padre augusto Di gemme ornato il globo della terra Perché alle imprese sue in pace e in guerra Le piramidi fien sepolcro angusto,Ponga sé stesso poi lo Scita ingiusto Dall'alta mole, e chi la Gallia serra Pieghi gli omeri e 'l pondo chi l'atterra Col gelato Germano e l'Indo adusto.Siano i trofei non forti usberghi o dardi; Ma scettri e mitre e dell'invitto Alcide Sopra le mete i lumi atri e funesti.Cinga un breve poi l'urna e dica questi, O vïator, che qui rinchiuso guardi Ha per sepolcro ciò che vinse e vide.XXXII[1 Di Orazio Ariosti]Dialogo nelle nozze del Principe di Stigliano e della signora Isabella Gonzaga figlia del Duca di Sabioneta.GiunoneScendi, meco, reginaDel terzo cielo, scendi,E la tua face accendiDel foco ch'il più casto amore affina.VenereScendo e ben son presaga,O moglie del gran Giove,Che fian le nostre proveContra fugace verginella e vaga.GiunoneGià vinta, più non fuggeDal mio giogo soave;Ma sol teme ella e paveQuel cui pur desïando si distrugge.VenereOpra de l'arte miaFia d'affidar sua tema.GiunoneDeh! senza timor sia,O nel profondo core almen lo prema.VenereCedi, casta Isabella,Al tuo gradito sposo.GiunoneNon sia 'l tuo cor ritroso.VenereIn virtù d'esta mia sacra facella.Giunone e VenereCedi, e di SitiglianoE Sabbioneta i regiPer te lor chiari fregiUniscan col lor sangue alto e sovrano.Cedi, né i tuoi sospiri e i mesti sguardiO 'l tuo pianto ritardiQuella beata proleCh'esser de' al mondo più chiara ch'il sole.[2 Di Orazio Ariosti]Dialogo nelle nozze di Carlo Duca Di Savoia e di Catterina figlia del Re di Spagna (1585).ImeneoPerché tua tromba taceMessaggera del tutto?Perché, Amor, l'arco tuo lento si giaceIn tanta occasïon senza alcun frutto?Amore e FamaPerché con lieti cantiE con tua chiara faceTu i nostri offici d'adempir ti vanti?ImeneoNon son tai sposi questiChe loro esser poss'ioAmor, la fama, e delle nozze il dio?AmoreTu dunque in modi onestiGli aggiungi et io farò poi co' miei straliNei mortai petti lor piaghe immortali.FamaEt io lasciando che tu canti soloCarmi di gaudio in mezzo a lieto stuolo,Portarò i nomi loroA lo Scitha, a l'Hibero, a l'Indo, al Moro.ImeneoAnzi poscia che l'aliTutti egualmente abbiamoCantando in un gli andiamoFin che lor gloria sovra il ciel ne sale.Fama, Amore, ImeneoO Carlo, o Caterina, o Dora, o Tago,Vostri cari legami ognuno intendaE' vostri nomi apprendaEssa di celebrarmi ognor più vagoTutte le cetre a voi siano converseDi pretïosi inchiostriE tutti a voi, Parnaso, apra i suoi chiostri.[3 Di Orazio Ariosti]Orazio AriostiPer sanar del mio cor l'indegna piaga L'alma ogn'arte, ogni sforzo insieme aduna E di ciò ch'il ciel porti, o la fortuna Di far rimedio al suo dolor s'appaga.Né perché ognor dolce memoria, e vaga Nequitosa l'alletti et importuna Quel lume che la scorge, a lei s'imbruna Né del suo buon voler punte si smaga.Lume del ciel la scorge, e nobil sdegno La move, sdegno che i sopiti sensi Suole eccitar coi generosi gridi.Ma s'è debol lo spron, fral di sostegno, La scorta è quella, ond'a beati lidi Per chi la segue in questo mar pur viensi.[4 Di Orazio Ariosti]Del medesimoBen vedi con quant'arte, anima trista, Tenti d'entrar pietà nel nostro seno, Pietà di lei ch'il suo natìo veleno Coprendo appar tutta dogliosa in vista.Voce di pianto e di sospiri mista Ah non ti mova, ah in te non venga meno Quel rigor che distrutto in un baleno Per forza Amor ne' cori imperio acquista.Degna è di Dio costei ch'odiò noi sempre, E s'ella ben mostrò gradirne un tempo Fel per far poi maggior nostro dolore.Ahi d'un mostro pietosa, al nostro onore, A te nimica, ohimè! tutto il tuo corpo Fia che vilmente ornando si distempre.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)