Quid novi?

Il Dittamondo (3-06)


Il Dittamonadodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO VI Nobile e grande è la cittá di Genova e piú sarebbe ancora, se non fosse che ciascun dí per sua discordia menova. Per la rivera a levante si mosse la guida mia e io apresso a lui, lasciando Bobio a dietro e le sue fosse. Io vidi, presso al luogo dove fui, i monti dove Trebbia e Taro nasce, secondo che ’nformato fui d’altrui. E vidi uscir la Magra de le fasce del giogo d’Apennin ruvido e torbo, che de l’acque di Luni par si pasce. "Non vo’, disse Solin, che qui passi orbo: da questo fiume Toscana incomincia, che cade in mare al monte del Corbo. E vo’ che sappi che questa provincia da venticinque vescovati serra: terren non so del tanto che la vincia. Dal mezzogiorno la cinge e afferra lo mar Mediterano; poi Apennino di vèr settentrion chiude la terra. E da levante com va pellegrino Tevere in mar, che surge in Falterona, compie Toscana tutto il suo cammino. Lo giro suo, per quel che si ragiona, è misurato settecento miglia e Roma è quell’onor che la incorona". Così parlando come il tempo piglia, vedemmo quel paese a oncia a oncia, Verde, la Vara, Vernaccia e Corniglia. Lussuria senza legge, matta e sconcia, vergogna e danno di colui che t’usa, degno di vitupero e di rimproncia, noi fummo a Luni, ove ciascun t’accusa che per la tua cagion propiamente 35 fu ne la fine disfatta e confusa. E vedemmo Carrara, ove la gente trova il candido marmo in tanta copia, ch’assai n’arebbe tutto l’Oriente; e ’l monte ancora e la spilonca propia 40 lá dove stava lo ’ndovino Aronta, ch’a Roma fu quand’ella cadde inopia. E poi passammo ove si mostra e conta il Salto de la Cervia e par la forma nel sasso e come per lo monte monta. 45 Cosí, ponendo il piede dove l’orma facea il mio consiglio, passai il Frigido con altri fiumi, ch’io non pongo in norma. Mugghiava il mar, ch’era ventoso e rigido, e l’aire con gran tuoni, per che noi 50 fuggivam piú che ’l passo quello strigido. E passato Mutron, giungemmo poi a la bella cittá, c’ha per insegna l’arme romana, sí che par de’ suoi. Del nome suo, donde ch’e’ si vegna, 55 è quistion: ché alcun dice da Piso, ch’ al tempo de’ Troiani quivi regna; e altri creder vuol che li fu miso, ché Roma, al tempo antico, ne facea porto a pesare il censo suo tramiso. 60 Ed è chi conta che fu detta Alfea prima d’assai; ma Solin mi disse che Pisa nome da Pelope avea. Visto sopr’Arno il duomo, non s’affisse, ma disse: "Vienne, ché lo star soperchio 65 e perder tempo è fallo a chi l’udisse. Andando, noi vedemmo in piccol cerchio torreggiar Lucca a guisa d’un boschetto e donnearsi con Prato e con Serchio. Gentile è tutta e ben tratta a diletto 70 e piú sarebbe, se non fosse il pianto che quarant’anni e piú le ha stretto il petto. Io vidi Santa Zita e ’l Volto Santo e udii come al prego di Frediano il Serchio s’era volto da l’un canto. Io fui in su la Ghiaia, ove ’l Pisano sconfisse il Fiorentin, quando fu preso Giovanni de’ Visconti capitano. Questa cittá, di ch’io parlo testeso, Aringa o Fredia nominar si crede 80 al tempo, dico, che per vecchio è meso. Ma perché illuminata da la fede fu prima ch’altra cittá di Toscana, cambiò il suo nome e Luce li si diede. E Sesto, Massaciucco e Garfagnana, 85 la Lima vidi e, andando a Pistoia, la Nievole, la Pescia e la Gusciana. Dubbio non è, ch’ è scritto in molte cuoia, che per la gran battaglia, che fu quando Catellina perdeo grandezza e gioia, 90 che assai fediti e molti ch’avean bando nobili assai de la cittá di Roma si raunâr, l’un l’altro perdonando. E come gente ch’era stracca e doma si puoser quivi, e per la pistolenza 95 Pistoia questa cittá allor si noma.Indi partimmo per veder Fiorenza.