Quid novi?

Rime inedite del 500 (XXXVIII-1)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XXXVIII[1 Di Ferrante Gonzaga]AretiaEra nella stagione Che impallidir le chiome Si veggon de le piante e gli augelletti, Che van fuggendo il gelo Passar di là dal mare A più temprato cielo: Già dell'agricoltor le mani avare Tolte aveano alle viti Il lor dolce tesoro Che parea in vista o di Piropo, o d'oro Pria che Venere bella In oriente splendea Risorto era Tirinto, E la sua viva fiamma A l'ombra della notte umida e bruna Sfogava con le stelle e con la luna E per quei campi errando Soletto alfin pervenne All'albergo d'Aretia, alloraquando Parea del dì nascente Gravido l'orïente, Et ella innanzi al sole Veggendolo apparira Pensoso con le luci al cielo affisse, A lui rivolta disse:AretiaBen m'aveggio, Tirinto,Qual cagion qui t'ha spinto;Non son retti da te questi tuoi passi,Ch'i tuoi vari pensieriCome vanno il tuo amor volgendo teco,Così t'aggiran secoPer distorti sentieri;Ma sia pur stata elezïone, o sorteVieni sotto quest'elce in grembo a l'erba,E meco ragionando del tuo statoL'interna pena sfoga, e disacerba,E l'affatto petto in un restauraA lo spirar soaveDi questa matutina e placid'aura.TirintoIo vengo, e qui m'assido;Così avesser riposo i miei pensieriCom'hanno queste membraChe dall'ora ch'io vidiIl viso di coleiCh'ha tutti in sé raccolti i desir miei,(Con sospir mi rimembra)Non ondeggia sì il mareDove dicon che AtlanteBagna li orridi pie' nell'onde amare,Come fa la mia menteOra lieta, or dolente.AretiaDimmi, t'è dato maiDi scovrirle i tuoi guaiCon la tua propria bocca, o con l'altrui?O pur solo con gli occhiMessaggeri del coreLe mostri il tuo dolore?TirintoHier' mi fu in sorte datoGiorno per me beato,Io la vidi e l'udiiParlando sospirare,E de' suoi lumi ardenti il vivo soleAccese in me l'ardore,E l'aura de le sue dolci paroleE 'l vento de' sospiriSpiraron nell'incendio e 'l fer' maggiore,Né 'l fuoco scemerà ch'ora in me duraO variar d'etate, o di ventura.AretiaPoiché già sì d'apresso ella ti mira,E tu la miri et odi,Godi, Tirinto, ardendo,E de' pensieri acqueta le tempeste,Che qual terrena rosa,Alla rugiada a l'oraDe la nascente auroraNon apre vergognosaIl suo vermiglio ed odorato seno;Ma poi che più vicino il caldo senteDel gran pianeta ardenteApre languendo le purpuree spoglieE 'l bel raggio del sole in grembo accoglie.Così la verginellaAi pianti ed ai sospiriDi novello amator che lunga miriChiude il ritroso petto,Ma poi che s'avvicina il vivo ardoreD'un amoroso aspettoLanguendo apre la via per gli occhi al coreE nel virgineo sen riceve amore.Ma come t'udì CloriQuando le apristi le tue pene ascose?E come ti rispose?TirintoElla, cortese in vista, e vergognosaDi purpurei color tinto il bel voltoTalor il dolce sguardo in me volgeaE poi gli occhi chinava;Ma quando chiuse a la mia voce il passo,L'affetto che volevaTutto in un tempo uscire in me gli affisseE sospirando disse:Tirinto, t'amo, ed amerò mai sempreQuanto più cosa al mondo amar conviensi:Però de la mia fe' vivi contento,Se pur ti poss'io dar gioia e tormento.AretiaVero è quel che si diceCh'infinita è la voglia degli amanti,Tu mostri essere dolente e sei felice.TirintoA tai parole sì cortesi e careD'amorosa baldanza il cor ripieno,Mossi per gira a lei,Né però m'appressai, ch'in un balenoVidi nubi di sdegno il bel serenoDel volto aver coperto, e vidi uscireDa' begli occhi lucentiFolgori d'ira ardenti;Indi fe' segno di partirsi alloraIn atto supplichevole e tremante:Non sol, dissi, tu puoi, anima fiera,Levare a questi miei languidi lumiIl lor più caro obietto;Ma questo afflitto cor trarmi dal petto.Non farai già, mentre avrò spirto e core,Idolo mio crudel, ch'io non t'adore.Deh! torna a me, deh! torna; e qui mancommiLo spirito e la voce e del mio aspettoGli atti languidi e mesti, indi le feroA temprare il mio duol pietoso invito.Allora ella si volse,E serenossi in vista,E i bei pietosi lumi in me converse.Ben vidi in quel momentoIl bel d'ogni altro bello in me rivoltoSì bella è la pietà nel tuo bel volto.AretiaCaro, e soave sdegnoChe sol mostrossi ne' begli occhi armatoPer esser poi da la pietà fuggito.TirintoFu forza alfin partire,E vidi il mio bel visoAsperso già di rose,Smarrirsi in un pallor leggiadro e mistoDi vïole amorose,E di bianchi ligustri;Onde non fia già mai ch'io non ritegnaNe la memoria impresso e l'atto e 'l loco.AretiaQuest'è segno maggioreDi vero ardente affetto;Sparsi di tal coloreVanno i servi d'amore,Godi dunque, Tirinto, e vivi lieto,Che qual giovane piantaSi fa più bella al soleQuando meno arder suole;Ma se fin dentro senteIl vivo raggio ardenteDimostran fuor le scolorìte spoglieL'interno ardor che la radice accoglie.Così la verginellaAmando si fa bella,Quando amor la lusinga e non l'offende;Ma se 'l suo vivo ardoreLe penetra nel core,Dimostra la sembianza impalliditaCh'ardente è la radice de la vita.TirintoSe sperar del mio amor tanto mi lice,Incendio mio felice,Non sarà sasso che non arda meco,Né fia caverna, o specoChe con me non risuoni il caro nomeIl suo bel volto e le dorate chiome;Né sarà selva, che con le fresch'ombreNon m'inviti a sfogar l'alma mia fiamma,Né sarà pianta che non mostri espressoEl mio gioir nella sua scorza espresso;Né sarà augello in questi verdi ramiChe non sembri con me cantando dire:Clori, non fia che non t'adori e t'ami;O soave languire,Felice me, s'io vivo in questo stato,Beata lei ch'altrui può far beato!AretiaOr m'ascolta, Tirinto,Poiché la bella CloriOnor di queste selve,Fiamma di mille cori,Ad ogni altro pastor ritrosa e dura,A te sol dona il core, agli altri il fura,Donale la tua fede,E degna la mercedeSarà dell'alto don che si fece ella,Se sì fido sarai com'essa è bella.TirintoCome, Aretia, potrai non esser fido?Troppo fu dolce la catena d'oroCon che a la tua beltade Amor m'avvinse.Troppo il bel nodo strinseCh'unito è sì col nodo della vitaChe scioglier non si può se non per morte.Troppo aperte del cor furon le porte;Quando la bella imagoA lui pervenne in prima,Ed or non è sì vagoCh'ad ogni altra le serra:Onde non sarà mai bellezza in terraChe in sé rivolga, o renda meno ardenteIl bel desio dell'invaghita mente.AretiaMa se talor la tua leggiadra ninfaVeggendoti da molti esser amatoDi pallido timor tingesse il volto,Temendo che d'altrui non le sii tolto,Lascia pur ch'ella tema, e ch'altri t'ami;Ché l' gielo del timore il foco affinaNegli amorosi petti;Ma non esser cagion della tua temaE sembra nel sembianteCortese a tutti e di lei solamente;Né far giammai de la sua fede prova;Poiché nulla ti giovaSe bene a te paresse,Come credo che sia,Più salda che colonna;Mai non si dee tentar la fe' di donna.Alfin d'esser rammentaTimido di paroleSeco e d'affetti audace,E sappi che non fu mai senza guerraIl dolce fin d'una amorosa pace.Ma ecco colà veggioVenir in vista lieti e vergognosiCalisa e 'l suo Rutillo, amanti e sposi.Felice coppia, a cui concesse amoreRefrigerio soaveDel loro onesto ardore.TirintoAdrio di là se n' vieneForse da me per sfogar meco parteDelle sue dolci ed amorose pene.AretiaDunque vanne, Tirinto, e lui consola;Poiché sei consolato,E lieto vivi, e godiDelle tue fiamme e ne' tuoi cari nodi.TirintoLe grazie ch'io dovrei,Aretia, non ti rendo,Ben te le rendereiSe parlassen per me gli affetti miei.Rimanti dunque, ed importuna guerraDi noiosi pensieriNon turbi mai la tua tranquilla pace.Destro a te giri il cielo,Ti dia frutti la guerra,Né pioggia accolta in gieloGià mai t'abbatta i campi,Né mai folgori, o lampiCadano giù della gran madre in grembo.Ti sia l'aer sereno, e largo nemboDi dolcissima manna e di rugiadaPiova in questa felice alma contrada.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)