Quid novi?

Rime inedite del 500 (XXXVIII-2)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XXXVIII[2 Di Ferrante Gonzaga]Strambotti cantati a don Ferrante.Dio ti salvi e mantenga a le sue speseCh'a le nostre ci è poco di rinvito;Ché gli è disfatto già tutto el paeseE savio è el contadin che se n'è ito;Aspecta una semana, aspecta un mese,Farassi accordo, e non ci vien' novelleNoi siam disfacti e non haviam cavelleIo so' venuto per imbasciadoreDe' contadini e d'ogni male stante,Vorrei parlare un poco a quel signoreTon Ferraio, Ton Ferrotto, o Ton Ferrante;Raccomandarli un poco el nostro onoreChe sta sotto a le donne tutte quante,La roba no, che come l'è imbruscataDicon che giustamente è guadagnata. La lettera è di poi, che tutti quanti Al prete ferno far quei contadini Non so se di credentia, o di contanti. Contanti no, perché non han quattrini, Che li hanno dati tutti a' vostri fanti, Acciocché a fatto e fin non si assassini, E perché niuna cosa ci han lasciata Vi arreco solo un poco d'insalata. Fatemi poi serbare i miei panieri; Ma hor che viene l'erba tutta via Ve ne darem più, credo, volentieri, Senza denari, in pretta cortesia, Se già per forza non mi fa mestieri Pascere l'erba per malinconia; Ché sono persi tutti i nostri buoi, In cambio loro andremo a pascer noi. Notola non mi derno in nissun modo; Ma una n'ò fatto io co le mie mani, Eccola qui d'un legno buono e sodo, Col buco e coll'auto da cristiani. Suggiel non hebbi per paur' del frodo; Ma suggelli non mancano a' villani, Eccone uno un po' trassomigliato, Che 'l fumo de le brache lo ha imbrattato. S'i' non sapessi dir né più, né meno Prego per discrition che m'intendiate, Perché non ho studiato, e non ho pieno El capo d'altro che di pappolate: Le mie parole quel che le si sieno A male in corpo non ve le pigliate; Pigliate sol la buona fantasia Chi non la piglia el mal che dio li dia. Misser Ferrante, siate el ben trovato, Ch'alfine avete viso d'uom da bene, Dio salvi voi e 'l vostro baccinato, Che di casa Zoncaga nascie o viene; Da poi che dio vi ha tanto inalzato Che fra le man vi moggia ogni suo bene, Sievi raccomandato a fatto e fine, E contadini, e le lor contadine. Sievi raccomandati e povarelli, Che non han sal, né olio, vin, né grano, Non han calze, camicie, né mantelli, Ch'a questa volta sono tutti a un piano, Qualcuno hebreo in mano n'ha granelli, Che li Spagnuoli tiransi con mano, Che lusenge di moglie non li vale A far che si rincrechi l'animale. E povari vi sien raccomandati, Ché le lor' mogli stanno in orationi; Non più tormenti, ché son tormentati,, Faccin che a far figlioli rimangan buoni. Deh non più stratii, e se pur son stratiati, Salvin le brache con le lor ragioni, Ché chi el capo non ha troppo leggieri Più che la vita ha car la coda e i geri. Vi raccomando e povar contadini, Che n'andarebber tutti a l'ospedale; Ma l'ospedal non ha né pan, né vini, Ch'ogni cosa n'è ita a ita n'è male, Non havian pane, e non havian quattrini, Morian di fame el dì di carnasciale, (E) senza che niun di noi niun mal vi faccia Come a li lepri ch'è dato la caccia. Poiché la guerra ancor non è bandita, E dite che per nostro ben ci state, Persa la robba, salvisi la vita, E lavorar le terre ci lasciate. El contadin che el verno non s'aita, Non ricoglie né 'l verno, né la state; Ma se a le vigne star ci lascierete Vi darem ber, se un dì ci passerete. Ecci certi paesi rovinati Ch'altro non ci è rimasto che letame, E' povar contadin ci son restati Per lavorare e muoionsi di fame; Son presi per far taglia da' soldati, E non hanno altra taglia che 'l forame, Et doggeva servirli per patente Essar restati a secco senza niente. E el mio communo ancor vi raccomando Che a fatto e fin non si distrugga e spenga, Che vi si possi star lavorachiando, E per preda, o prigion non vi si venga; Ché ogni cosa è ita a strilla e bando, Che 'l Castelnuovo de la Belardenga; Ma v'è certi stiattoni e certe dame Da farvi l'appettito senza fame. E in quel comun vi raccomando poi Imprima prima me, se gli è dovere Che vi possi tornar le donne e buoi, E vòne lavorar più d'un podere, Che si(a) visto sicur da li Spagnuoli Tre figliuoli a un corpo voglio avere; Ma ch'i priori non si cura e s'oda, Se rompe el capo, non rompa la coda. Vi raccomando ancora el mio padrone, Che 'l suo poder m'à dato a lavorare, Che m'à fatto anzi tanta exclamatione Ch'i' volo a voi un po' raccomandare. E perché gli è un certo burbarone Non potrò far di non lo biasimare; Non mi mira mai dritto lo sciaura', Perché gli è guercio e strambo di natura. Se quelle salvaguardie che voi fate Le salvassi per noi e non per voi, La salvaguardia prego mi facciate Per me, per porci le pecore e buoi. E 'nfin vi prego che ci liberiate Da la paura di vostri Spagnuoli, Che ci chiaman signor per cortesia, E poi voglion per lor la signoria. E non mi doglio di Spagnuoli solo, Che parlan per signor e per germano, Ché ci è qualcun che dice: io so' Spagnuolo Enbrusca a la Spagnuola et è Taliano, Non è sicuro il babbo dal figliuolo Tanto s'è 'nbastardito ogni cristiano, Et se vale a far sempre a questa forgia Tutti diventarem popon da Chioggia. O potta, non vo' dir del cacamoro, Se gli ànno diferentia e cittadini E non sanno accordarsi infra di loro, O ànnola patir e contadini? Noi siam tutti contenti che costoro Governin drento e fuor' grandi e piccini. Noi a zappar le vigne e campi esodi, E poi chi può godersi più si godi. Ma scambio del goder, noi tribuliamo Come cani assassini e rinnegati, Da dritto e da rovescio ci logriamo, Tanto tra le due acque siamo stati. Hor'è fatto l'accordo, hor ce n'andiamo Fra fame, sete e freddo tribulati; Chi perde e buoi, chi l'asino e 'l mulo, Talché per povertà mostriamo el culo. Se non si accordan questi cittadini, Che non vedete se voglion lassare, Altro e tanto il governo a' contadini, Et ensegnaregli forse a governare. Certi ve n'è di noi tanto assassini, Che, se potesse, li farei arare, Che per cavarsi l'anno le sue voglie Al primo tratto c'impregnan la moglie. Ho decto, decto, e non ho facto niente. E farò qualche cosa, se volete; Fate, o non fate voi vostra patente, Ché voi solo aiutar sì mi potete. Spesso l'amico è meglio che 'l parente, E potrei farvi quel che non credete; Ché, se non altro, e polli portarei Con fedeltà che non li mangiarei, Che dome fuora, se vi affadigasse, Chi potesse menare a casa i buoi, Et hor che non v'è nulla lavorasse Senza sospecto haver de li Spagnuoli, Che sareste cagion, se voi m'aitasse, Che non morrien di fame i miei figliuoli, Et evvi una stationa di lesei Da mettere a cavallo i fatti a piei. Arèi da dire un anno de' miei guai; Ma non vorrei tediar; né dispiacere: Veggo che ci è faccenda pur assai Ch'è d'importanza più che 'l mio podere, Boccon di pane a casa non lassai E bisogna tornare provedere Che moglima im procaccio n'andarebbe E più fave che pan procacciarebbe. E chi sarebbe ancor che per parere Che qualche imbasciador vi fusse accepto Farli, si vel chiedesse, un bel piacere Come i' vi chieggo questo che ha l'effetto Di poter lavorare el mio podere, E non haver de li Spagnuoli sospetto, Che fa el sospetto ai vostri Spagnuoi Venir lo serzo agli uomini e a' buoi. La ne va rapazoni a la sicura, O dice che va 'l pane a procacciare; Ma non haver de li Spagnuoli paura. D'altro che pan mi ci fa dubitare, Io so che la n'è ghiotta per natura E sì si va de la stiza a cavare; Ma so dir certo, se l'affrontaranno, Se fusser cento, non la stracharanno. Hor s'i' non ho saputo raccontare Quel che mi è stato imposto e comandato, Prego che mi deggiate perdonare, Ch'io non ho letara e non ho studiato; So' contadino, avezzo a lavorare, Entendomi d'un giogo e d'un arato, E s'i' mi trovo co' le donne a solo M'intendo d'integliar qualche figliuolo. Una cosa vo' dir, se m'ascoltate, Con questo che la vaglia a perdonare; Dico che 'l vostro nome vi mutiate Se vi doveste un dì ribattezzare; Però che Ton Ferrante vi chiamate Come se fuste un uomo da ferrare. Sete signor co' paggi e co' lo scalco E il nome avete poi di maniscalco. Perché voi mi parete dabbenaccio, Signor mio caro, i' non mi so partire; Ma per paura di non darvi impaccio Fatevi adio, in fin me ne voglio ire; Ma vi prometto, s'i' pesco, o s'i' caccio, S'i' piglio apostor, qui ci vo' venire. Hora vi lascio in questa conclusione,Dio ci dia pane e pace di Marcone.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)