Quid novi?

Il Dittamondo (3-08)


Il Dittamonadodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO VIIIQuel tenero pensier, che nel cuor nacque partendo dal piacer, ch’ognor disio, s’ascose, come a la mia guida piacque. Poi, per non perder tempo ed ello e io, andando il dimandai se Italia mai per altro nome nominar s’udio. Ed ello a me: "Se cerchi, troverai, occupata da’ Greci, la gran Grecia esser nomata ne’ tempi primai. Saturno ancora, dopo molte screcia fatte con Giove, fuggendo s’ascose di qua, dove ’l suo senno assai si precia. Costui, essendo re, fra l’altre cose, Saturnia la nomò". In questa guisa Solino a la dimanda mi rispose. Poi sopragiunse: "Figliuol, qui t’avisa ch’a pena so provincia, a cui non sia cambiato nome, cresciuta o divisa. E questo è quel che l’animo disvia, quando nuove scritture di ciò leggi da quelle de gli antichi e da la mia. Or perché chiaro in questa parte veggi, sí come le province qui d’Italia le piú hanno mutato nome e leggi, dico che Scozia si scrisse, giá balia di Giano, e, da’ suoi monti, è Rezia prima e la seconda s’intendea con Galia. E come l’Eridan giú al mar dilima, Emilia e Liguria bagna sempre: l’una di lá, l’altra di qua si stima. Lungo ’l mare Adrian par che s’assempre Flaminea, dico, e Picena ancora e che ’l giogo Apennin quell’aire tempre. E fu Toscana, dove noi siam ora, Umbria giá detta, non tutta, ma parte, 35 per gran diluvio che quivi dimora. Quella contrada, dove con sue arte, morto il figliuolo, Medea stette e visse, Valeria o Marsia è scritta in molte carte. Messapia o Peucezia si disse 40 l’altra, ch’è lungo il mare, ove si crede che Silla in mostro giá si convertisse. E non solo in Italia si vede i nomi rimutati a le province, ma sí in piú parti del mondo procede. 45 Or tu, che dèi notare quindi e quince li nomi de’ paesi, tienti a quelli c’hanno piú fama per diverse schince: dico co’ vecchi e quando co’ novelli". E cosí la mia scorta ragionando, 50 passammo molti borghi e piú castelli. Noi eravamo sopra l’Era, quando mi fu mostrata un’acqua e per alcuno contato, a cui di novitá domando: "Usanza è qui tra noi che ciascheduno 55 che fa cerchi da vegge, ivi gl’immolla e che sempre, di diece, ne perde uno. E niuno può veder chi questo tolla: l’un pensa ch’ è ’l dimonio che l’afferra, l’altro ch’ è il lago, che da sé l’ingolla". 60 Apresso questo, trovammo Volterra sopra un gran monte, ch’ è forte e antica quanto in Toscana alcun’altra terra. Si disse Antonia e, per quel che si dica, indi fu Buovo, che per Drusiana 65 di lá dal mar durò molta fatica. Per quella strada, che v’era piú piana, noi ci traemmo a la cittá di Siena, la quale è posta in parte forte e sana. Di leggiadria, di bei costumi è piena, 70 di vaghe donne e d’uomini cortesi, e l’aire è dolce, lucida e serena. Questa cittade per alcuno intesi che, lasciando ivi molti vecchi Brenno, quando i Roman per lui fun morti e presi, si abitò prima; e altri è d’altro senno, che dice, quando il buon Carlo Martello passò di qua, che i vecchi suoi la fenno. Io vidi il Campo suo, ch’è molto bello, e vidi fonte Branda e Camollia 80 e l’ospedal, del quale ancor novello. Vidi la chiesa di Santa Maria con gl’intagli del marmo e, ciò veduto, in verso Arezzo fu la nostra via. Non è da trapassare e farsi muto 85 de l’Elsa, che da Colle a Spugna corre, ché, senza prova, non l’avrei creduto: io dico che vi feci un legno porre lungo e sottile; e, in men che fosse un mese, grosso era e pietra, quando il venni a tôrre: 90colonne assai ne fanno nel paese.