Quid novi?

Rime inedite del 500 (XXXIX-1)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XXXIX[1 Di Latino Latini]Signor, che colmo d'alte voglie, ardentiL'animo avete e di virtù sì rare,Seggio d'onor, di lode altiere e chiare,Albergo u' son gli umani affetti spenti.Talché sopra natura e gli elementiVi siete alzato, ond'oggi in voi traspareRaggio divin, che vi farà adorareDa spirti più leggiadri ed eccellenti.Quanti veggio, signor, lodati inchiostriPer voi destarsi, e 'l bel romano cleroQuanto da voi riceverà splendore.Ché se fortuna i chiari merti vostriVorrà gradir, e s'io predico il vero,Della chiesa di Dio sarai pastore.[2 Di Latino Latini]A messer Vincenzo Divi col disegno per messer Giovanni Battista Spirito.Se coll'alto valor, col chiaro ingegnoVostro, signor, con cui l'età novellaDi magnanime imprese è ricca e bellaRendete e voi d'immortal gloria degno,Discorrendo di quei lochi il disegnoCh'agli antichi roman furno castella,Quando contro di gente empia e rubellaSfogar' col ferro in man l'ira e lo sdegno,V'invaghiste sì dentro al bel lavoroChe con picciola schiera incontra a moltiDifender la fortezza aveste ardire.Col don date ai feriti alcun ristoro,Che per non si curar restan sepoltiSpesso anzi al giusto termin del morire.[3 Di Latino Latini]Signor, già con leggiadre e forti penneSolea sì in alto il mio pensier levarsi,E tanto al bene eterno avvicinarsiCh'ogni cosa mortale a schivo tenne.Poscia che occultamente al cuor mi venneL'ingorda sete di ch'io già tutto arsi,Ogn'onesta mia voglia in ria cangiarsiSentì, sì che di sen nulla ritenni.Onde non che più al cielo alzare i vanni,Ma non pur li potei levar dal fangoU' senza vergognarmi un tempo giacqui.Or che per te, signor, scorgo i miei danniChe ti chieggo perdon, che 'l fallir piangoTornami tal qual tua mercè rinacqui.[4 Di Latino Latini]A pie' de' monti, ove or tranquilla pasceL'eletta da Dio greggia erbette e fiori,Quella di latte pieno, esse d'odoriFonte di chiare e salubri acque nasce. A cui fa in alto giro ornate fasce,Porfido vivo sì ch'uscir di fuoriDi là non puote; intorno olivi, allori,E palme il sant'umor nudrisce e pasce. Quinci e quindi del fosso in su le spondeSta vigil serpe, acciò che dagli oltraggiD'invide voglie il buon signor difenda. Tempo sia che dai verdi alteri faggiLa greggia sitibonda al pian riscendaU' el buon pastor l'invita alle sacre onde. [5 Di Latino Latini]Se per vago, leggiadro e grato aspettoD'amorosetta donna, o cortesiaRara ver' me s'aprì unqua la viaA fare accesa per scaldarmi il petto;Trovò però sì chiuso il calle e strettoCh'al cor profondo mio gelato inviaCh'estinta al tutto et agghiacciata priaRestò, che giunta al destinato affetto.Non altrimenti che veggiam noi farsiIl lumicin in vaso ampio e profondoPer stretta intrata alcun di porlo affretta;Che pria spento riman, che entro inviarsiPossa, così mai non arriva al fondodel petto mio d'amor calda saetta. [6 Di Latino Latini]Come nella stagion ch'a giuochi e festeCol nuovo suo liquor Bacco n'invita,E che la pianta abbastanza nodritaPerde col digiunar la bella veste.Pomo non può nato d'albero alpestre,Se ben maturo par, senz'altra aìtaD'alquanto tempo e d'arte insieme unitaCangiar in dolce il sapor duro e agreste.Così, se dall'inculto aspr'AppenninoIl frutto, ch'or vi mando, è mal maturoSicché col succo acerbo il dente annoda,Maturatel con arte in loco oscuro,Finché sia tal che 'l gusto se lo goda,O l'alber trasferite in Aventino.[7 Di Latino Latini]Al signor eletto di Cesena quando andò a Siena.S'a quel desir, ch'in voi sovente accendeViva ragion, divino alto intellettoNon fia per nuova voglia unqua ristrettoIl freno, anzi al bel fine ov'egli attende, Vedransi opre sì degne, e sì stupendeUscir dall'onorato e sacro pettoChe di vostra virtù fia sempre dettoOve il sol poco, ove molto risplende. Però, signor mio caro, all'alta impresaChe può farvi fra gli uomini immortaleEt al superno ben larga ampia porta Raccendete di nuovo ognor l'accesaVoglia, s'a voi di voi medesmo cale,Ch'altro ben d'esta vita uom non porta.[8 Di Latino Latini]Di se stesso a m. Camilla.Tenesti, Amor, gran tempo in man le chiaviDel mal'accorto mio tenero cuore,Quando in sul primo giovenil erroreParvermi i lacci tuoi dolci e soavi.Ma poich'in me sospir penosi e graviFra le varie speranze e 'l van timoreCreasti, disleale, empio signore,Odiai il tuo falso ben, che mi mostravi. Ond'io ringrazio quel motor superno,Che creò questo e quell'altro emisfero,Che da' tuoi duri lacci il cuor mi scinse. Errarno ben col tuo cieco governoI sensi, e l'occhio mai non scorse il vero;Ma voglia in me ragion giamai non vinse. [9 Di Latino Latini]Almo pastor, la cui pietà infinitaHa del comune ben zelo e del mio,E di tirarne al ciel tanto desìo,Che perciò prendi e poi lasci la vita, La cara pecorella tua smarritaOggi ritrovi e fai, signor, sì ch'ioRiceva il don, che solo vien da Dio,A cui s'inchina l'alma e chiede aita. Così risorgo, e dentro al cuore sentoNuovo pensier: quei mi conforta e spronaA seguir oltre, ond'io m'affretto e scaldo.Quinci chi può ridir qual sia il contentoCh'ognor s'accresce all'alma, che poi saldoOpra tessendo in ciel giusta corona? [10 Di Latino Latini]Poiché d'alpestre e rapido torrenteIn mar tranquillo e ben spalmata barca,Di ricca merce, e saggio nocchier carcaE col favor d'un placido ponente,Scorgo che il signor mio felicemente,Solcando l'onde inanzi agli altri varca,Mercè del sommo e provido monarcaCh'abbandonar sua gregge non consente.Dico fra me: felice e ben nat'alma,Che del primo pastor l'afflitta naveGuiderai fuor di perigliosi scogli;Prendi or' in pace desïata et almaD'argento l'una e d'or fin l'altra chiaveE con vera pietà ne lega e sciogli. [11 Di Latino Latini]O città, che del mar reina sei,Che l'alma Esperia il destro fianco bagna,E schermo pio, non pur figlia o compagnaSempre fosti di Pietro ai santi piedi.Perch'or lo strazio e 'l duol non odi e vediDella sposa di Cristo, che si lagnaNon men di te, che di Germania e SpagnaCui lei preda badando esser concedi? Torna almeno a te stessa, e nell'altruiDanno, il tuo posto ancor chiaro vedraiSol con quest'arti il suo valor s'atterra. Coi gigli d'oro e cogli azzurri omaiSpiega il Leone alato incontra a luiChe combattendo altrove a te fa guerra. [12 Di Latino Latini]Signor, ch'omai tre lustri interi aveteNel santo e ben locato offizio vostroA tutto il mondo apertamente mostroQuale in voi senno e carità chiudete; Dico le stelle grazïose e lietePreste a tanto serbarvi in questo chiostroUman quanto a voi basti al terren vostroRender la desïata sua quïete, E 'l far che l'alma vostra sposa caraL'empio settentrion chieda perdonoE tributo le dian Turchi, Indi e Persi, Dunque non sian vostri desir diversiDa quei del ciel, che preparati sonoQuinci a donarvi gloria eterna e rara.[13 Di Latino Latini]Siena, è stato capriccio della sorteEt una come te porro influenzaIl sinistro che par ch'abbia FiorenzaLe mura tratte giù non delle porte.E il caso a Chiusci dalle fusa torteTrionfante chimera in apparenza,Ch'in verità la neutral prudenzaMiglioramento il tien della sua morte.O in fatti e in detti legitima schiava,E in fatti e in detti libertà bastarda,Non esser così pazza e così brava. Poveraccia da bene, il fine guardaChe la promessa colla qual si chiamaIl Turco epidanissimo è bugiarda.