Quid novi?

Il Dittamondo (3-10)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XCosí passammo in fine a l’altro giorno,cercando la contrada e dimandandos’alcuna novitá v’era d’intorno. Noi eravamo sotto un poggio, quando Solin mi prese e disse: "Qui t’arresta". E io fermai i piedi al suo comando. Poi sopragiunse: "Leva su la testa e nota ciò ch’io ti disegno e dico, perché da molti autor si manifesta. Tu dèi saper che in fine al tempo antico quella cittá, che vedi in su la costa, fu fatta un poco poi che fosse Pico. Apresso Turno, a cui caro costa Lavina e di Pallante la cintura, la tenne e governò tutta a sua posta. Costui l’accrebbe di cerchio e di mura e del suo nome Turnia la chiama, che poi il nome piú tempo li dura". Cosí parlando, la mia cara brama mi disse: "Vienne"; e trassemi in vèr Chiusi, come andava la via di lama in lama. Quivi son volti pallidi e confusi, perché l’aire e le Chiane li nemica, sí che li fa idropichi e rinfusi. Questa cittade, per quel che si dica, fu molto bella e di ricchezza piena; in fin che venne Gian si crede antica. Qui governava il suo regno Porsena, quando cacciato fu Tarquin Superbo, che con lui seco a oste a Roma mena. Di qui mosse colui, che, col suo verbo e poi con l’argomento del buon vino, Brenno a Roma guidò fiero e acerbo. Molto è ben conosciuto quel cammino,bontá del vertudioso e santo anello 35 ch’ a conservar la vista è tanto fino. Carcar passammo e Rodo, un fiumicello, attraversammo per veder Perugia che, com’è in monte, ha il sito buono e bello. Persus, che quivi sbandito s’indugia 40 per li Romani dopo molta guerra, la nominò, s’alcun autor non bugia. Lo suo contado un ricco lago serra, lo quale è sí fornito di buon pesce, ch’assai ne manda fuor de la sua terra. 45 Per fiume alcuno che v’entri non cresce; l’acqua v’è chiara come di fontana, e non si vede ancora donde ella esce. La cittá d’Orbivieto è alta e strana; questa da’ Roman vecchi il nome prese, 50 ch’ andavan lá perché l’aire v’è sana. E poi che di lassú per noi si scese, vedemmo Toscanella, ch’ è antica quanto alcun’altra di questo paese. Seguita or che di Viterbo dica, 55 che nel principio Vegezia fu detta e fu in fin ch’ a Roma fu nemica. Ma, vinta, poi a li Roman diletta tanto per le buone acque e dolce sito, che ’n Vita Erbo lo nome tragetta. 60 Io nol credea, perch’io l’avessi udito, senza provar, che ’l Bulicame fosse acceso d’un bollor tanto infinito. Ma gittato un monton dentro, si cosse in men che l’uomo andasse un quarto miglio, 65 ch’altro non ne vedea che propio l'osse. Un bagno v’ha, che passa ogni consiglio, contra ’l mal de la pietra, però ch’esso la rompe e trita come gran di miglio. Dal tus a Tuscia fu il nome messo, 70 perché con quel gli antichi, al tempo casso, sacrificio facean divoto e spesso. Qui lascio la Toscana e ’l Tever passo per trovare il Ducato di Spoleti con la mia guida, che da me non lasso. Vidi Todi, Foligno, Ascesi e Rieti, Narni e Terni, e il lago cader bello, che tien la Leonessa co’ suoi geti. E vidi a Norcia ancora un fiumicello: questo sette anni sotto terra giace 80 e sette va di sopra grosso e bello. Il ponte di Spoleti ancor mi piace. Qui mi disse Solino: "Omai ben puoi a le confin d’Italia poner pace". E io a lui: "De’ termini suoi 85 e del giro e del mezzo e la lunghezza udir vorrei, com’era ne’ dí tuoi, e chi la tenne in prima giovinezza e s’altra novitá a dir vi sai, ch’io ne tocchi, e di ogni sua bellezza". 90 Ed ello a me: "Tu m’hai parlato assai; ma, perché men ti noi la lunga via,dirò sí come giá la terminai".E ’n questo modo incominciò via via.