Quid novi?

Il Dittamondo (3-12)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XIICosí andando e ragionando sempre, giungemmo al mar, nel quale a chi non l’usa pare che, quando v’entra, il cuor si stempre. Sopra una nave grande, ferma e chiusa, entrò Solino e con benigna voce mi disse: "Vien, ché qui non vuole scusa". Allor mi feci il segno de la croce; indi la vela aperta vento prese, che fuor tosto ne trasse de la foce. Lo primo porto e 'l primo paese fatato a noi fu l’isola de’ Corsi, dove Solino, e io apresso, scese. Questa può esser per lo lungo forsi venti e sessanta miglia e gli abitanti acerbi e fieri son, che paion orsi. Vini v’ha buoni e sonvi ronzin tanti, che gran mercato n’è; ma chi su monta vie piú che i Sardi par che ’l cuor gli schianti. E secondo che per alcun si conta, Corso, che ab antiquo fu lor duca, del nome suo quell’isola impronta. E altri vuol che questo nome luca da una donna, che Corsa si disse, cui trasse il toro fuor de la sua buca. E per Vergilio Cirnea si scrisse, ché Cirnes, navicando per quel mare, quivi arrivato, giá signor ne visse. Sol la pietra catochite mi pare, tra quante novitá di lá si trova, che sia piú degna da dover notare. Veduto Capo Corso e dove cova Laiazzo, cosí fui del loco sazio, ché stare indarno a chi dee far non giova. E poi che giunti fummo a Bonifazio, fu il nostro passo diritto in Sardigna; tosto vi fummo, ché v’è poco spazio. Molto sarebbe l’isola benigna piú che non è, se, per alcun mal vento che soffia, l’aire non fosse maligna. Lá son le vene con molto ariento; lá si vede gran quantitá di sale, lá sono i bagni sani come unguento. Non la vidi, ma ben l’udio da tale a cui do fé, che v’era una fontana ch’a ritrovare i furti molto vale. 45 Un’erba v’é spiacevole e villana: questa, gustata, senza fallo uccide; e s’ella è rea, ancora è molto strana, ché in forma propia d’uomo quando ride li cambia il volto e scuopre un poco i denti: 50 sí fatto morto giá mai non si vide. Sicuri son da lupi e da serpenti. La sua lunghezza par da cento miglia e tanto piú quanto son venti e venti. Io vidi, che mi parve maraviglia, 55 una gente che niuno non la intende né essi sanno quel ch’altri pispiglia. Ver è, s’alcun de le lor cose prende, per cenni cambio in questo modo fanno: ch’una ne tolle e un’altra ne rende. 60 Quel che sia cresma o battesmo non sanno; la Barbagia è detta in lor paese; in sicure montagne e forti stanno. Quest’isola da Sardo il nome prese, lo qual per sé fu nominato assai, 65 ma piú per lo buon padre onde discese. Un piccolo animal quivi trovai: gli abitator lo chiaman solifughi, perché ’l sol fugge quanto può piú mai. E pognam che fra lor serpe non brughi: 70 pur nondimeno a la natura piace che chi lá vive alcun vermo li frughi. Sassari, Bosa, Callari e Stampace, Arestan, Villanova e l’Alighiera, che le sei parti e piú dentro al mar giace. 75 Quest’isola, secondo che s’avera, Genova e Pisa al Saracin la tolse, la qual sortiro con l’aver che v’era: lo mobil tutto al Genovese colse e la terra a’ Pisani e funno quivi in fin che ’l Ragonese ne li spolse. Invidiosi, infedeli e cattivi i piú vi sono e però chi v’è donno guardar convien da que’ ch’egli ha piú privi. Crudei non son, se non quando non ponno; 85 lanciano i dardi di nascosto altrui e uccidono talor, s’el giunge al sonno. In Arestan, dov’è la tomba fui di Lupo mio e feci dir l’offizio con que’ bei don, che si convenne a lui. 90 Compiuto il caro e santo sacrifizio, pensoso stava, onde Solin mi disse: "Figliuol, lo ’ndugio spesso prende vizio". Indi partio, ché piú non s’affisse, e io apresso lui, cercando ognora 95 se nova cosa alcuna ci apparisse. Parlare udimmo e ragionare allora che v’è un bagno, che, qual vi ripara, ogni osso rotto salda in poco d’ora. Cosí cercando la mia guida cara, 100 che non guardava festa né vigilia,trovammo una galea a Carbonara,dove salimmo per trovar Cicilia.