Quid novi?

Il Dittamondo (3-16)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XVITrattato del secondo sen, che serraItalia, segue che dir mi convenedel terzo, che la Grecia tutta afferra. Io dico che, seguendo, la mia spene m’incominciò a dir: "Tu se’ in Dalmazia: 5 per che con senno andare si convene, ché questa gente, per la lor disgrazia, benché sian nati del sangue di Dardano, pur non di men del mal far non si sazia. Son come tigri, ché par che sempre ardano 10 per uccidere altrui e per rubare e poco a Dio e meno ai Santi guardano. Una cittá fu giá qui lungo il mare, che diede il nome a questo paese ch’ è grande, onde per noi fa l’affrettare". 15 Cosí andando e parlando, discese in Epirro, che dal figliuol d’Achille, secondo ch’io udio, lo nome prese. Noi trovammo, cercando quelle ville, una fontana, dove l’acqua scende 20 fredda e sí chiara, che par che distille. Quivi, se l’uomo una facella prende accesa e ve la tuffa dentro, spegne; poi, se lungi la gira, si raccende. E perché chiaro ogni luogo disegne, 25 i Molosi son qui che da Moloso, figliuol di Pirro, il nome par che tegne. Non è qual fu di forma Oreste ascoso nel paese di Sparta e di Laconia, li quai cercammo senza alcun riposo. 30 Un monte v’è, il cui nome si conia Tenaro, ed èvi ancora lo spiraglio d’Inferno e qui si credon le dimonia. Per questi luoghi dandomi travaglio, presso a Patrasso nove colli vidi, 35 ch’ombra v’è sempre e non di sole abbaglio, Taigeta e ’l fiume; e di lá li piú fidi fan fe’ del prelio, che fu anticamente tra i Laconi e gli Argivi, e de’ micidi. Noi fummo dove andar solean le gente 40 al tempio di Castore e Polluce, ben ch’ora è tal che poco si pon mente. La galatica pietra quivi luce, utile a quella che ’l figliuol nutrica, ché natura ha ch’assai latte produce. 45 E, per quel che di lá par che si dica, Antea, Leuttra, Teranna e Pitina, ciascuna fu famosa e molto antica. Dal re Inacus il nome dichina d’Inaco fiume, che pare uno strale: sí corre, quando pioggia vi ruina. Vidi in Arcadia Cilleno e Minale: questi son monti e passammo Liceo, acerbo molto a colui che vi sale. Ancor notai il fiume Erimanteo, 55 cosí nomato da Erimanto duca, che per udita quivi si perdeo. L’albeston lí natura par produca, che a Giove in contro al padre fu difesa, sì come in molti versi par che luca. 60 La pietra è tal, che, poi ch’ella è accesa, mai non si spegne e somiglia a vederla di ferrigno colore e grave pesa. E come fra noi è nera la merla, candida è sí di lá, che par pur neve: 65 dolce a udire e bella a tenerla. Fama è quivi da gente antica e breve che Arcas ad Arcadia il nome diede, figliuol di Giove: e cosí l’hanno in breve. Io ti giuro, lettor, per quella fede 70 ch’io trassi de la fonte, che sol quello ti scrivo, che per piú autor si crede. Assai mirai, ma non vidi, il castello di Pallanteo, per quel che fece a Roma Evandro col figliuol, che fu sì bello; 75 ma pur tra quella gente vile e doma la fama è morta, sí ch’io dico bene che qual ne parla quello indarno noma. La vera Grecia fu dov’è Atene, la qual cittade giá si scrisse alonna 80 di ciascun ben, ch’a buon regno convene. Questa si disse sostegno e colonna d’ogni arte liberal, questa si tennedi filosofi antichi madre e donna. Ellenadon Deucalionis venne 85 re del paese e da costui poi move che la contrada Ellas dir si convenne. Qui vidi cose molte, antiche e nove; ma, per amor di Teseo, notai sassi Scironia prima che altrove. 90 Cinque monti con Icario trovai: Ebrieso, Egialo, Licabetto e Imetto, degno piú degli altri assai. Giunti a un sentiero solingo ed istretto d’un gran monte, Solin mi disse: "Vienne, 95 ché buon per noi è far questo tragetto". Grave era il poggio a salir tanto, che nne fece posar piú e piú volte; in prima tremâr le gambe e riscaldâr le penne,che noi fossimo giunti in su la cima. 100