Quid novi?

Il Dittamondo (3-18)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XVIII"Forse quaranta miglia son per terrada Atenes a Tebe e poi per marecento e cinquanta insieme non le serra: (sí incominciò la mia scorta a parlare) e però noi farem questo traverso 5 ch’è meno e poi ha piú cose a notare". "Andiam, diss’io, ché tu sai dov’è il verso". Per che si mise a scender giú del monte per un sentier, ch’era molto diverso. Giunti in Boezia, trovammo una fonte 10 che a qual ne bee sí la memoria tolle, che non s’ammenta dal naso a la fronte. Qui la natura argomentar ben volle: ché un’altra v’è, che tosto gliela rende, pur che ’l palato e la gola ne molle. 15 Ancora udio, e ciò non si contende, ma per ciascun del paese s’avera, che per quella contrada un fiume scende, lo quale è tal, che se pecora nera di quello assaggia, in bianca si trasforma: 20 dico, se l’usa da terza e da sera. Un altro v’è, che tiene un’altra norma: che del color, che, bevendo, la vesti, di tale il suo figliuol prende la forma. Lo lago maledetto, dopo questi 25 truovi, lo qual, bevendo il suo licore, uccide altrui, ch’atar non nel poresti. Un altro v’è, lo qual le membra e ’l core a colui che ne bee tanto avalora, ch’accende e ’nfiamma nel disio d’amore. 30 Qui Aretusa ci si vede ancora, e Cheriscon con altri fonti assai di fama antichi, ma non sen parla ora. Ismeno, Edipodea ci troverai Psamate ed Aganippe e Ippocrina, 35 che dritto son per la via che tu vai". Cosí tra quella gente pellegrina andando, dimandai lo mio conforto: "Tebe dov’é? È lungi o è vicina?" "Questo cammino, per lo qual t’ho scorto, 40 mi rispuose, ci mena a le sue rive ed è lo piú diritto e lo piú accorto, benché or quivi è la cittá di Stive, e de’ Teban la fama tanto spenta, che piú non se ne parla né si scrive". Poi, com’uom che volentier s’argomenta d’altrui piacer, mi disse a parte a parte quanto lá vive la pernice attenta, la sua sagacitá, gl’ingegni e l’arte, le gran lusinghe, i nidi forti e fui, 50 appunto come l’ha ne le sue carte. "Ma guarda fisso in que’ nuvoli bui: lá son faggi che ’n contro a ciascun morso di serpe san guarir, col tatto, altrui. Piú lá son quelli che dánno soccorso 55 sol con lo sputo a simili punture, pur che ’l velen non sia dentro al cuor corso. E perché chiaro Boezia affigure, in lei son Pelopesi e di Laconia come vedi in un corpo piú giunture. 60 E sappi c’hai passato Calidonia, dove fu la gran caccia ch’io t’ho ditto, Corinto, Sparta con Lacedemonia. Ma guarda in verso il mare, com’io, dritto: un’isoletta v’è famosa e sana, 65 la qual truovi per Varro altrove scritto. In questa, prima, fu filata lana per le femine, nobile e sottile, tessuta a punto e da lor tinta in grana. Aulide guarda ancor per quello stile 70 onde il grande navilio si partio, che sopra ogni altro fu ricco e gentile. Poi mira a destra il mal fatato e rio campo Matronio, dove il crudelissimo prelio fu, come giá dire udio. 75 E guarda un monte sterile e nudissimo: di lá da quello Olimpo troveremo, che par che tocchi il cielo, tant’è altissimo". E io a lui: "Quando veder potremo il Parnaso, del quale ho tanta brama, 80 che quasi a questo ogni pensier m’è scemo?" Ed ello a me: "Se cotanto t’affama di ciò la voglia, vienne pur, ché ’n brieve prender potrai il frutto de la rama". "Va pur, diss’io, ché tanto sono lieve 85 giá fatto udendo le parole tue, che ormai lo stare mi parrebbe grieve". Cosí parlando andavamo noi due per quel paese povero e diserto, che per antico tanto degno fue, 90che innanzi agli altri si scrivea per certo.