Quid novi?

Il Dittamondo (3-19)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XIXSí come il pellegrino che si fida per buona compagnia d’andar sicuro, andava io apresso a la mia guida. Ma però ch’io vedea diserto e scuro, come ho detto, il paese d’ogni parte, 5 ch’era giá stato tanto degno e puro, feci come uom, che volentier comparte l’andar con le parole, per men noia e per trar frutto del suo dire in parte. E cominciai: "Nel bel viver di Troia, 10 e prima ancora e lungamente apresso, si scrive che qui fu valore e gioia. E io mi guardo e giro intorno adesso e veggio la contrada tanto guasta, ch’io ne porto pietá in fra me stesso. 15 E questo ancora al mio pensier non basta; ma io truovo la gente cruda e vile, ch’esser solea gentile, ardita e casta". Cosí parlai e la mia scorta umile rispuose: "Come di’, pien di vertute 20 fu giá questo paese e d’alto stile. Ma se or vedi le cittá abbattute e coperte di verdi spini e d’erba, e le vertú ne gli uomini perdute, imagina che parte è per superba 25 e imagina che ’l ciel, che qua giú guata, niuna cosa in sua grandezza serba. Pensa ov’è Roma, che fu allevata con tanto studio, e com’è ita giuso quella che in Caldea ancor si guata. 30 Questa ruota del mondo l’ha per uso, cioè di far le gran cose cadere e le minor talor di montar suso". Cosí, prendendo del parlar piacere, un poggio mi mostrò e disse: "Vedi: 35 quivi è la via che ci convien tenere". E io a lui: "Va pur, come tu credi che ’l meglio sia, ch’io ti sono a le spalle, ponendo sempre, onde tu levi, i piedi". A la man destra lasciammo la valle 40 e prendemmo a salir la grave pieggia, per uno stretto e salvatico calle. Saliti su ne la piú alta scheggia, mi vidi sotto cosí gli altri monti, come una cosa un’altra signoreggia. 45 Noi tenevamo in verso il mar le fronti, quando mi disse: "Qui m’ascolta e mira, se vuoi di quel che cerchi ch’io ti conti. Al tempo d’Agenor, di Libia tira per questo mare, anticamente, Giove 50 la bella Europa, cui ama e disira. Con molti ingegni trasformato in bove, condusse lei dov’io t’addito e guato e rifé sé ne le sue membra nove. Poi, per dar pace al bel volto turbato 55 d’Europa, il terzo del mondo per lei volse che fosse Europa chiamato. D’angoscia e d’ira pien, pensar ben dèi, col precetto del padre si divise Cadmus solo per ritrovar costei. 60 L’ardito serpe sopra l’acqua uccise; poi, da l’idolo suo presa risposta, a fabbricare una cittá si mise. Guarda a sinistra a piè di quella costa, ché quivi è ora la cittá di Stive, 65 lá dove Tebe fu per costui posta. Vedi Asopo ed Ismen, de’ quai si scrive che facean correr piangendo le genti, quando ebri si gittavan per le rive. Vedi quel bosco, ove partio i serpenti 70 Tiresia, quando cambiò le membra, per che piú tempo poi fuggì i parenti. Vedi lá il mar (non so se ti rimembra che mai l’udissi dir) lá dove insana s’annegò Ino col figliuolo insembra. 75 Piú qua, in quella selva, è la fontana dove Atteon si trasformò in cervo, per guardar le bellezze di Diana. E vedi dove l’uno e l’altro servo lassâr colui, che de’ fratei fu padre, 80 legato sí che poi si parve al nervo. E vedi i campi, ove l’aspre e leggiadre battaglie funno e dove Anfirao visto fu ruinare in corpo de la madre. E vedi il fiume, ove rimase tristo 85 Ippomedon, e il mal passo da spino, dove Tideo fece il bel conquisto. Di lá da quello si trova il cammino onde passaro Adrasto e Capaneo, quando Isifil trovaro nel giardino. 90 Di lá è il bosco, ove Partenopeo il serpe uccise, per tôr l’ira a quella che ne la culla il suo figliuol perdeo,come si scrive e di qua si novella".