Quid novi?

Rime di Celio Magno (8)


Rime di Celio Magno8Sopra una fortuna di mare navigando in Soria l'anno 1562Sacro e possente dio,a Giove egual, che 'l salso umido regnocon l'acuto tridente avesti in sorte,perché d'ira or sì pregnover me ti scorgo? E sì turbato e riod'ogn'intorno minacci oltraggio e morte?Che bel vanto od onor fia che t'apportevincer debil nocchier, che, sol rivoltoa pianger meco, umil prega mercede?È questa, ohimè, la fedeper te già data in sì benigno volto?Deh, se 'l rigor non haide' tuoi più duri scogli al cor raccolto,desto a pietà di tante angosce e guai,cangia sì lunga guerra in pace omai.Ma tu più sempre feropur cresci, e fremi per gran rabbia insano,e sordo i prieghi miei commetti al vento.O desir cieco e vano,o senza freno errante uman pensiero,ad opre sol di sua ruina intento!Ben ogni dritto lume in lui fu spentoallor che pria con fragil legno audacedel pelago tentò le sirti e i mostri.Non era assai ne' nostridanni fortuna, ohimè, pronta e sagace,s'ancor nov'armi e possanon le giungea solcando il mar fallace?Né bastavano i campi a le nostr'ossa,senza a morte anco aprir sì larga fossaSpiega in alto dal lidogiovene incauto le gonfiate vele,da sete avara o stolta voglia spinto.E 'n se stesso crudele,adietro lascia il dolce, antico nidoe 'l caro padre, omai dagli anni vinto;ch'anzi 'l partir, di morte il viso tinto,mesto l'abbraccia, e da l'amato aspettotorcer gli occhi non sa, languidi, immoti.Poi, mentre al ciel fa votiper lui, sola sua e suo diletto,ecco sommerso, ahi lasso,l'ode: e 'l crin bianco squarcia, e batte il petto,e dov'ei move i suoi lamenti e 'l passo,seco ogni fera piange, ogni aspro sasso.Ben con util consigliovietò Natura, in tutto accorta e pia,per cercar l'acque abbandonar la terra,quando in propria e natiastanza assegnolla al suo più nobil figlioscevra dal mar, che la circonda e serra.Volse anco allor ch'ai lidi eterna guerrafesser l'onde nemiche, acciò più saggio,del lor odio e furor temenza avesse.Ma quel, tai leggi oppresse,fece i pini troncando ai monti oltraggio;e, quasi nove penne,remi e vele spiegando al suo viaggio,con le mal nate e temerarie antennesopra i liquidi campi il volo tenne.Novo Perillo, ed empio,misero auttor del tuo medesmo essizio,poiché l'ingegno a sì crud'opra armasti.Ma tu, sol d'ogni vizioradice e fonte d'ogni infame essempio,cieca avarizia, tu da pria formastil'uman tormento, e tu la via mostrastid'accrescer anco il mar col nostro pianto;Tu con tal dono impoveristi il mondo.Così giù nel profondode l'Oceàno, al nocchier primo a canto,fosse già di tal arteteco sommersa e la memoria e 'l vanto:ch'io di quest'onde in preda or non vedrei,giunti a notte sì amara, i giorni miei.Dolci contrade amiche,cui bagna il Sil co' suoi puri cristalli,ov'indarno il desio, lasso, or m'invita;riposte, ombrose valli,verdi e bei colli, e liete piagge apriche,rifugio usato a la mia stanca vita:quanto errai, stolto, a far da voi partita,cangiando l'erbe e i fior, l'adorne rive,con l'alga e i sassi e con le nude arene,e con quest'onde piened'orror, fontane rilucenti e vive!Ma s'a voi mai ritorno,non fia più che di voi mi spogli o prive;tra voi sia la mia pace e 'l mio soggiorno,e chiuda lieto in voi l'ultimo giorno.E voi de lo mio corefiamma gentil, sostegno amato e caro,donna, specchio di fede ardente e pura,a cui pianto sì amarocadde sul mio partir dagli occhi fore,augurio ben di mia morte futura;se pur mia stella invidiosa e duravuol che lontan dal volto almo e sereno,qui, lasso, io pera in così verde etade,vostra usata pietadevivo ognor nel pensier mi serbi almeno,e col cor vostro insiemespiri eterno il mio nome entro 'l bel seno.Mia fede il merta: e con si dolce spemeio ne vo me n' dolente a l'ore estreme.Canzon, ben ti puoi dir parto infelices'a pena in luce giunta, or meco in questialti monti di mar sepolta resta.