Quid novi?

Rime di Celio Magno (9)


Rime di Celio Magno9In morte del signor Marc'Antonio Magno suo padreSorgi de l'onde fuor pallido e mesto,faccia prendendo al mio dolor simìle,pietoso Febo, e meco a pianger riedi:questo è 'l dì ch'a rapir l'alma gentiledel mio buon padre, ohimè, fu 'l ciel sì presto,restando gli occhi miei di pianto eredi.E ben lagnar mi vedia gran ragion: poiché sì fida e carascorta a l'entrar di questa selva errantein un momento mi spario davante.Cruda mia sorte avarache la mi tolse; e 'n questa pena acerbamostra a quant'altre ancor mia vita serba.Da troppo dura, ingiuriosa partever me fortuna incominciò suo sdegnoe da tropp'erto monte al pian mi stese;ch'in un punto a' suoi colpi esposto segnome scorsi, al vento mie speranze sparte,con troppo debil petto a tante offese.Dir si potea cortesesua crudeltà d'ogn'altro acerbo danno,senza il sangue bramar di questa piaga:o, s'era pur d'uccider lui sì vaga,per temprar il su' affannofar ch'ei vedesse innanzi a l'ore estremea vicin frutto in me fiorir sua speme.Avea duo lustri, e 'l terzo quasi, il solevolti dal dì ch'a la sua nova lucenudo parto infelice uscir mi scorse,che ti partisti, o mio sostegno e duce,da me: tu 'l sai, e forse ancor te n' dole,ché ciò grave ferita al cor ti porse.Né meno al duol concorse,lasso, che meco ad un tre figli tuoi,che chiedean latte ancor nel sen materno,abbandonavi per essilio eterno;de' quali una dapoi,pura angioletta con veloci penne,al ciel per l'orme tue lieta se n' venne.Oh lei felice, oh dipartir beato!ché 'n quella età né sua miseria scerse,né fu serbata a sì penosi guai.O mie gioie e speranze, ora conversein doglia e pianto! O caro allor mio stato,ché ne la vita tua me stesso amai.Chi più tranquille maivoglie o dolci pensier chiuse nel petto?Chi provò de la mia più lieta sortefinch'a me non ti tolse invida morte?Ma tal pace e diletto,lasso, ebbi allor, perché più grave posciagiungesse al cor la destinata angoscia.Semplice augello in fortunato nidomi giacqui un tempo a la tua dolce cura,e sotto l'ali tue contento vissi.Quanto ebbi l'aria allor grata e sicura,mentre innanzi spiegando il volo fidot'ergevi al ciel, perch'io dietro seguissi;ed io, gli occhi in te fissi,volar tentava, il tuo camin servando.Né perch'io rimanessi assai lontanoeran le penne mie spiegate invano:ché più sempre avanzando,in me di pur salir nova vaghezza,in te sempre crescea speme e dolcezza.Ma mentre è tutta in noi tua cura intenta,e in grembo a tua pietà nostri desirigodean tranquilla e riposata pace,ecco che, qual arcier ch'ingordo miria nova preda, in te suo strale aventae ne t'uccide morte empia e rapace.Né 'n ciò pur si compiacel'ira del ciel, ché la tua fida moglie,dolce a noi madre, in cui sola s'accolsela nostra speme, ancor per sé ritolse.Ahi, che giamai non coglied'un sol colpo fortuna ove fa guerra,e sol pianto e miseria alberga in terra!Che dovea far? Donde sperar pietade?Donde attender soccorso, orbato e solode l'uno e l'altro mio dolce parente?Io, che bisogno avea di scorta al volo,l'altrui regger convenni, e 'n verde etadevestir, puro fanciul, canuta mente.Onde le luci intenteportai sempre a fuggir le reti e 'l visco;e s'a lor pur piegai, grazia celestemi fe' l'ali a scamparne accorte e preste,membrando in ogni riscoquel che tu presso a morte in me sì piogià per norma segnasti al viver mio.Giacevi infermo e per gravarti il cigliostendea morte la man l'ultimo giornoche pose fine a la tua degna vita.Tacita e mesta al caro letto intorno,priva d'ogni speranza e di consiglio,stava la tua famiglia sbigottita;tu, che di tua partitaalto martir premei nel saggio core,con fermo viso in parlar dolce accortopregavi al nostro duol pace e conforto.Indi con santo ardorela tua pietate, in me le luci fisse,queste parole in mezzo 'l cor mi scrisse:— Figlio, se questo è pur l'estremo passode la mia vita, ond'io son sazio e stanco,se non per voi, miei cari pegni e spene,cedi al voler divin, cedi al crin bianco;e morte scusa in me se 'l corpo lasso,vincendo omai l'usato stil, mantiene.Ecco pronta al tuo beneper me la madre tua fidata e pia:tu fa del suo voler legge a te stesso,volto sempre al camin per cui t'ho messo.E poi che l'alma fiasciolta da me, di puro ardor ripienoprega il Signor, che la raccolga in seno. —Ciò detto a pena, a la già fredda linguaeterno pose, ohimè, silenzio; e i lumi,per non aprirgli più, mancando, chiuse.Fia mai giusto dolor, ch'altrui consumi,del mio più acerbo? O lume altro s'estinguadi chiare doti in più degn'alma infuse?Caro a Febo, a le Muse,caro de le virtuti al santo coro,spirto d'ogni valor ricco e fecondo,or del cielo ornamento, e già del mondo.Ahi mio nobil tesoro,ché 'l soverchio mio duol tronca il tuo vanto,ma sempre almen t'onorerò col pianto.Canzon, vattene in cielosu l'ali che 'l desio veloce spiega;e ricercando infra quei santi cori,tranne il mio genitor col guardo fuori.Poi riverente il pregache del duolo ond'io sento il cor piagarmi,scenda in sogno talora a consolarmi.