Quid novi?

Il Dittamondo (3-22)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO TERZOCAPITOLO XXIIPoi ch’io ebbi compreso a parte a parte le sue parole e vidi che si tacque, un letto feci de le fronde sparte. Del luogo degno, de’ pomi e de l’acque, ch’io vidi e assaggiai, al sommo Padre 5 grazia rendeo, sí ciascun mi piacque. Dopo la cena, piú cose leggiadre mi disse ’l mio conforto, essendo stesi sopra ’l gran petto de la nostra madre. Sí per lo suon de l’acqua, ch’io intesi, 10 e sí per le parole belle ancora, soave sonno e riposato presi. E fui cosí in fino che l’aurora trasse gli augelli fuor de’ caldi nidi, a cantar per lo bosco che s’infiora. 15 Quivi udio versi, ma gli uccei non vidi, con tanta melodia, ch’io potrei dire che quei di qua fra lor parrebbon gridi. Lo vago imaginar, lo dolce udire sí mi piacea, ch’io tenea l’occhio chiuso e non dormia e fuggia di dormire. "Non pur giacer, mi disse, ma sta suso, la buona scorta mia; ché la pigrizia non men che per natura s’ha per uso. Pensa quant’è il cammin di qui in Sizia 25 e girar poi sotto tramontana e veder Tile e passare in Galizia, e cercare Gaulea e Mauritana, Libia, Etiopia e, dopo Gange, l’isola Crise, Argire e Taprobana". 30 Cosí come donzella, a cui l’uom tange parole proverbiose, quando falla, rossa diventa e ’l fallo in fra sé piange, tal divenn’io, fuggendo in vèr la spalla il volto, e mormorai: "Ben falla troppo 35 qual per diletto in grande affar si stalla". Indi si mosse e io li tenni doppo pur per lo giogo in verso un altro spicchio, che n’era per la strada di rintoppo. Quivi mi disse: "Ascolta dove io picchio: 40 sappi ch’al tempo d’Ogigio diluvio non arrivò qua su pesce né nicchio: io dico quando fu sí grande il pluvio, che bestial sacrifizio, incenso o mirra, valse che il mare e ciascun altro fluvio 45 non soperchiasse Licabetto e Cirra, onde per tema sopra questo corno Deucalion fuggio con la sua Pirra. Di questi sassi, che vedi d’intorno, per consiglio di Temis nacque poi 50 la gente, che ’l paese fece adorno". E io a lui: "Rivolgi gli occhi tuoi dove t’addito, ché io vorrei udire che mura fun, che veggio presso a noi". Ed ello a me: "Per certo ti so dire 55 che lá fu Cirra ed Elicona è detto quel monte per lo qual ci convien ire. E quel che vedi, che ci è di rimpetto, è Citerone; e quivi fu giá Nisa, la quale è or, come questa, in dispetto. 60 Ma quanto puoi oltre quei colli avisa: di sotto a essi move una fontana ed èvi una cittá, che ha nome Pisa. E benché la novella suoni strana, giá fu chi creder volle, senza scusa, 65 che ’l nome desse a quella di Toscana. La fonte, ch’ io ti dico, chiusa chiusa, cacciata per Alfeo, per gran caverne va sotto il mare e sorge a Siracusa. Ma perché l’occhio tanto non dicerne 70 e cercar non si può, conviensi al tutto che le parole mie ti sian lucerne. Per questi luoghi, donde io t’ho condutto, si trovan laghi e assai fonti e fiumi belli a vedere e che son di gran frutto. 75 Spercheo v’è, lo qual de le sue schiumi lo nome prende e, s’altro non l’inghiotte, non par che nel cammin mai si consumi. Mezzo scornato e con le membra rotte per la battaglia sua corre Acheleo, 80 bagnando Epirro e le sue belle grotte. Degno di fama vi passa Peneo, se pensi che per tema non mai Danne né per lusinghe castitá perdeo. Non molto lungi a quello un altro vanne 85 che Siringa cacciò, che vinta e lassa venne palú, del qual sonâr le canne. Eveno ancor per la contrada passa, famoso piú però che quivi Nesso, per suo gran fallo, il bino corpo lassa. E benché tu non li vedessi adesso, Ismeno, Ilisso e la Castalia fonteveder potei, ché assai vi fummo presso".Cosí parlando, discendemmo il monte.