Quid novi?

Rime inedite del 500 (XLV)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XLV[Di anonimo]Perugia a papa Pavolo.Saggio et almo signore, io son coleiChe tu di morta hai ritornata viva,Quella a cui tu più vero padre seiDi quel che mi fondò in questa riva:Ché per li racquistati onori mieiDi ch'altri già m'avea gran tempo privaDi te desìo con bassa voce umileDir quel che converebbe a miglior stile. Dammi, prego, gli accenti e le parole Atte a vestire il mio nobil concetto; Che se tu porgi, quasi un vivo sole, I chiari raggi tuoi dentro al mio petto, Altro Apollo, il cor mio non brama, o vuole, Che l'insegni ad ornar tanto soggetto, Che tu con tua presentia e tua virtute Dolci e chiare far puoi rime aspre e mute. Deh! reggi, signor mio, questa tremante, Questa mia roca voce e paurosa Ch'anzi al conspetto tuo tue lodi sante Senza tua aita incominciar non osa; Ma già sento nel cor timido, errante Da te muover virtute in ch'ei si posa E fa con tal favor sperarmi ch'io Possa in parte acquetare il desir mio. Volgendo gli occhi il re del cielo in terra Ebbe pietà delle sue afflitte gregge, Ch'altre da lupi aver vide aspra guerra, Vide altre errar smarrite e senza legge, Altre, oh! chi ci apre il nostro ovile e serra, Chi ci conduce ai paschi, e chi ci regge? Pigri pastori, neghittosi e lenti Odi gridar con voci alte e dolenti. Onde elegger volendo un pastor fido, D'alta fortezza, pieno e di consiglio Aggirò dall'ardente al freddo lido Tre e tre volte il venerabil ciglio, Indi fissollo al tuo bel patrio nido Per levarne d'uno stranio e gran periglio, E fra cento ti scelse, al quale ei diede Di Pietro manto, mitria, e verga, e sede. Queste dicendo sì onorate e gravi Non son d'altri omer' some che dai tuoi, Tu solo con maniere aspre e soavi La bella schiera mia difender puoi: Altri a cui dia non so queste alme chiavi Per liberarla dai nemici suoi, Che da quel ch'io da le reti chiamai Simil guardian fin qui non ebbe mai. E ben sortiro i desir sommi effetti Tosto ch'in mano il santo peso avesti, Che sotto i provvidi occhi tuoi ricetto Securo e fermo a noi misere desti, E se non eri al gran bisogno eletto Forse ai barbari in preda or ne vedresti. Tu ne campasti da presunti affanni Provvedendo ai futuri, aperti danni. Tu chiudesti le porte al bel paese Che 'l mar circonda e l'Alpe, Apennin parte, Fuori spingendo a far loro altre imprese E per terra e per mar Bellona e Marte, E dove or dall'ispano, or dal Francese Travagli avea da empir fin mille carte, Italia, col favor della tua stella, Rendesti più che mai serena e bella. Ecco col tuo soccorso e tuo consiglio Carlo spiegar le sue cristiane insegne E contra Affrica armare il fiero artiglio, Sì che l'orgoglio all'avversario spegne. Ecco Tunisi preso, e di periglio Tratte mill'alme di catene indegne, E i legni prima timidi in quei mari Securi or da pirati e da corsari. Che se non era quella santa impresa, Quel sì lodato e glorïoso acquisto Cotanto ardir, tanta arroganza presa Avea 'l nostro nemico, anzi di Cristo, Di Europa tutta, nonché Italia accesa Veder sperava, e forse avea provisto. Quella perdita sola lo ritenne Ch'ei non ponesse al fier desìo le penne. E se non che nodrito è 'l suo furore Dalla discordia ch'or regna fra dui, All'arrabbiato Can non darìa 'l core Forse di contrastare oggi con nui, Benché altri speri dopo un gran sudore E dopo molti aspri viaggi tui Concordi alfin vedere ambi i cognati, Lor danni e loro antichi odii scordati. Che sì dannosamente non contese L'ultima volta contra Grecia Xerse, Poscia che 'l saggio e forte Atheniese Far la sua patria serva non sofferse; Ma prima volse in cambio dell'offese Morir, che darla in preda a genti Perse Come costui, se in sì lodevol lite Sono lor forze al tuo valor unite. Quanto in questa tua età senile e lenta, Che più al riposo ch'ai negotii inchina, Quanto affatichi perché in questa spenta Sia l'ira ch'esser può nostra ruina. Te non caldo, né gelo alcun sgomenta, Anzi come ver' auro il fuoco affina, Più nei disagi si mantien natura Perché di te pietà celeste ha cura. Ora a Bologna somma diligenza Per accordarli il tuo camin dirizza Et hor per tal cagion verso Provenza U' trovi Carlo el re de' Franchi in Nizza, Ora a Lucca ti volge, ora a Piacenza E d'estinguer fai prova ov'altri attizza, Né per quattro viaggi, né per sei Indarno fatti unqua men forte sei. Ma come vero padre intorno ai figli Ch'all'arme vede e ripararvi tenta, Ora ai preghi ricorre, ora ai consigli, E non è mai chi si ritiri o penta, Benché invano or li preghi, or li consigli Finché nei petti lor la fiamma ha spenta, Così né tu cessar, Padre almo, puoi Finché in pace non vedi i figli tuoi. E per poter estinguer più d'un foco Che l'occhio d'un tutto veder non puote, Mentre provedi altrove in altro loco Mandi ora l'uno et or l'altro nipote, Ai quali sono, e parmi dirne poco, Tutte le virtù in prezo, e tutte note; E ben conviensi a nobil piante ornate Non tralignar dal ceppo onde son nate. Né questi sol ch'ànno dominio in terra, Cerchi d'unir con salda pace insieme; Ma d'ogni tua città, d'ogni tua terra Delle fazioni sterpi il tristo seme, Le quali armate a civile aspra guerra Vider gli altri anni, di che ancor si geme Solo spegnendo col tuo gran valore Quel che non valse ogni tuo antecessore. Astrea non è che sforzi a gir lontano A rigar di dolor la bella guancia; Poi che fece ritorno, e ch'ebbe in mano, Tua mercè, la sua spada e la bilancia, Il suo valor non più riesce vano, Non è più 'l nome suo favola o ciancia Com'era quando in ogni tua cittade Reggean di pari forza e crudeltade, Che poco, o nulla, potria dirsi vario Dalli passati iniqui giorni nostri Quel tempo in che a vicenda or Scilla, or Mario Dei miseri proscritti empierò i rostri E quanto ebbe più d'altra il ciel contrario E più dentro il mio sen nodrirsi mostri Tanto più deggio a te, per lo cui dono Son d'aspri guai ridotta a quel ch'io sono. Quante fïate i miei figli perversi Mentre io vivea sotto la cura altrui Hanno in lor stessi i ferri lor conversi Di durezza vincendo i regni bui! Talché del sangue lor potea vedersi Carca la terra, et io tinta ne fui Il viso e 'l petto, e con acerbi affanni Questi or per tua cagion candidi panni. E questo sol perché le sacre leggi Vedeano invece lor la forza e l'armi, Tu ben ch'or me con le sorelle reggi Conoscesti la via di risanarmi; Perciò li erranti miei figli correggi E loro mostri più clemenza, parmi Che posto gli hai de la ragione il freno Quando altri di lor empie voglie è pieno. Tu m'hai riscossa da la morte insieme Rifatta più che mai bella e lucente, Et alfine un rettor che s'ama e teme Datomi saggio, fido e diligente, Sotto cui altri non m'ancide e preme Tal che dir posso ormai lieta e ridente: Altri non m'aiutar giovene e forte, Questi in vecchiezza mi campò da morte.Tratta da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)