Quid novi?

Rime inedite del 500 (46-49)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)XLVI[Di anonimo]Voi, che spendete in gl'onorati e santiStudï dell'età vostra il più bel fiore,Volendo uscir di tenebre e d'erroreE sforzar i contrari segni erranti, Ponetevi di me l'esempio inanti, Che delle sante leggi il gran valore Gustand'il tempo mio spesi e l'amore In lor sì ch'altri non si puon' davanti, Non giovenil pensier, non van' desìo, Che spesso ingombra il cuor a molti sciocchi, A me poté giamai piegar il petto. Vissi felice, or me n' vo lieto a Dio, O cari amici, nel celeste tetto.Così diss'il Berò, poi chiuse gli occhi.XLVII[Di anonimo]Del tuo arenoso letto le gran' sponde Coprir di ricche gemme e vaghi fiori Hor puoi, figlio diletto, e dar maggiori Tributi al gran signor delle sals'onde; Poscia ch'en le tue parti più gioconde Splendono i pregi e i valorosi onori Del signor' Adrian, gesti e valori, Fama, nome, virtù chiare e faconde, Di cui privato il Tebro già famoso, Senza il suo antico orgoglio corre irato, E pien' d'invidia al procelloso regno; Così mostrando di letizia segno, Di verdi fronde il regal fianco ornatoDiss'al Ren picciol l'Appennin silvoso.XLVIII[Di anonimo]Un arbuscel, che in solitarie rive Verso il ciel spiega i rami orridi et hirti, E d'odor vince i pin, gl'abeti e i mirtiE lieto e verde al ghiaccio e al caldo vive Il nome ha di colei, che mi prescrive Termine, e leggi ai travagliati spirti, Da cui seguir non potrian Scille, o Scirti Ritrarmi, o le brumali ore e l'estive: E se benigno influsso di pianeta Lunghe vigilie e più amorosi sproni Potran condurmi ad onorata meta, Non voglio, e Febo e Bacco mi perdoni, Che lor' frondi mi mostrino poeta;Ma ch'un ginebro sia che mi coroni.XLIX[Di anonimo]La bella man, con che 'l cor mi stringete, Donna, è cagion ch'altro non è che pianto Mia vita, e se talor io rido, o canto Facciol' per non mostrar quel che voi siete. S'io scuoto per slegarlo, raccendete L'altero sguardo et abbruggiate quanto È in me di forza e si raddoppia intanto Mia pena, e del mio mal, empia, ridete. E così stando ne' bei lacci avvolto Ognor s'affligge, e s'io mi sforzo trarlo De la potente man, mi strugge 'l sguardo. Mi pento, ahimè!, ben che 'l pentir sia tardo, Ch'i' non dovea ne le man vostre darlo,D'onde, se non per morte, mai fu sciolto.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)