Quid novi?

Rime inedite del 500 (L-4)


Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)L[6 Muse padovane]Muse padovane.(seguito)Questa è la bella Borromea ch'i ghiacciArde co' suoi begli occhi freddi pettiCon le chiome dell'oro in mille lacci;Tien mille amanti incatenati e stretti,E benché nel suo ardor ciascun si sfacci,Né mai rimedio alla sua piaga aspetti,Ogni alma sol di lei servir s'appaga,Dolce ardor, dolce nodo, dolce piaga. Qual nell'aprir de' mattutini ardori La vaga dea ch'a Febo è scorta e duce Apparir suole, o rugiadosi fiori Spargendo inanzi alla novella luce, Tal dalle grazie cinta e da gli amori La belle Giulia dotta splende e luce. Oh felice Titon, Titon beato, A cui sì bella Aurora siede a lato! Come i famosi nomi a' morti involi E serbi (disse Apollo) eterni in vita, Portando lume al tempo oltr'ambi i poli, Mentre schivi la via dal volgo trita Convien che da voi prenda et vostri soli Numi felice chi tesser gradita Istoria brama, sì che luogo in terra Non sia che 'l suo splendor inchiuda e serra Ultima vien, ma prima di bellezza, La Pappafava Nicolosa, in cui Pose natura quanto di vaghezza In mille anni dovea mostrar fra nui; Gira i begli occhi, con tanta dolcezza Che potrebbe d'Amor ne' regni bui Destar desiri, e alle maniere accorte Accender Pluto e tutta la sua corte. Oh! quanto giova d'aver bella madre, Che di grazia e bellezza i figli formi Sin' entro all'alvo sempre rende et adre Madri produsser mostri orrendi, informi Per lo contrario poi belle e leggiadre Fecero i parti sempre a sé conformi. Così, Samaritana, hor v'assomiglia La non men' grazïosa e bella figlia. Ordisce Amor nel suo crin d'oro i nodi, E nelle ciglia tempra le saette, Nelle guance ha sua sede, e 'n mille modi Dalle vermiglie labbia e perle schiette Invesca l'alme, e tesse inganni e frodi. Dal dolce viso piovon grazie elette, Dal bianco marmo e dalla bella gola, Nel sen d'avorio Amor scherzando vola. In picciol vetro chiuder tutte l'onde, Annoverar le stelle potrei prima Che le bellezze a null'altre seconde Potessi a pien' giamai chiudere 'n rima. Creder si de' che quel ch'a noi nasconde Non sia di minor prezzo e minor stima, E che 'l bel crin, la bocca, gli occhi, 'l viso Adegui l'altro ascoso paradiso. A guisa di canoro, bianco cigno Volando dall'atlante a' lidi Eoi Con chiaro carme e stil dolce, benigno Gli invitti semidei, gl'invitti eroi, Difenderà dal morso empio, maligno Del tempo edace e dagli artigli suoi Dell'alber mio cingendosi le chiome Chi pregia poetando 'l vostro nome. Cotal dono alla bella Pappafava Fece mercè della mia chiara fiamma Chi tolto negro manto oscura e cava Vesta, ancor cela i raggi onde m'infiamma. Ella (con nostra pace) riportava Il primo onor, se Febo la sua fiamma Veduta avesse, e 'l giallo, è 'l rosso, e 'l verde Con cui l'oro, i smeraldi e l'ostro perde Come dolce mia fiamma in ciel la luna Le stelle di splendor vinse d'assai, E come quella appresso 'l sol s'imbruna, Né ardisce dopo lui mostrarsi mai, Così ogni bella divien fosca e bruna All'apparir de' vostri ardenti rai, Ché voi potete 'l ciel torbido e negro Rasserenar cogli occhi e fare allegro. Ma che vi giova che nulla s'agguaglia Al vostro alto valor, vostra beltade, E che nessuna a tanta gloria saglia, Se nimica d'Amore di pietade Di qual pietra più rigida s'intaglia Avete 'l cor in questa verde etade? Ahi lasso! io lo so ben che 'l provo e veggio Ch'indarno d'hor in hor mercè vi chieggio. Deh! non vedete voi, se 'l cor s'infigne, Dolce mia fiamma, o veramente langue; Non v'accorgete al volto e a chi 'l dipigne Del color di sé stesso smorto, esangue? Come, dolce mia pena, bagna e tigne Amor lo stral dorato nel suo sangue, Onde note ne son tutte le vene, Né del miser ancor pietà vi viene. Deh! volgete 'l pensier, che tanto adugge Gli amorosi piacer, dalla via torta, Mirate come 'l tempo vola e fugge E ciò che è qui di bel seco se n' porta; Già cotesta beltà ch'or mi distrugge Vinta dagli anni fia pallida e smorta, Ch'ogni cosa consuma e guasta il tempo E 'l pentirsi da sezzo non è a tempo. Come d'Aprile, allor' ch'i' vaghi augelli Sciogliono a ragionar d'amor le lingue Di verdi erbette, frondi e fior novelli Primavera le piazze orna e distingue, E come spoglia il verno gli arbuscelli Delle lor veste, e i fior ne' prati estingue; Così beltà vi dona la natura E breve tempo la si toglie e fura. Però godendo 'l ben fugace e lieve Cercate farlo incontra 'l tempo eterno, Questo sol fia se chi v'ama riceve Ugual mercede al grave ardor suo 'nterno; Ch'insin d'ond'il sol nasce, u' lui la neve Vince, per man d'amor la state e 'l verno Vi terrà viva in queste e quelle rive Non men che Febo le Castalie dive. Se qual', poi ch'ebbe scelte, squarciò 'l velo Con che soleva agli occhi altrui celarse, E ciò che di mortal' era nel stelo Delle nove già muse subito arse, Tutte d'ambrosia l'unse, e un dolce zelo Gli accese a' cori, e del suo spirto sparse Scintille ardenti, e 'l suo nume gl'infose Nelle menti, ond'uscir mirabil' cose. Subito al verde lauro, che nel prato Quinci e quindi le braccia stende e spiega Ciascuna corre, e un ramo n'ha levato Con che la fronte e 'l crin si cinge e lega, E ballando e cantando, dolce, ornato, Soave stil, u' Febo stassi, piega Il camino, indi tutte 'l circondàro E seco ver' Parnaso s'enviàro. Giunt'ove 'l sacro umor con larga vena Fa rigando l'erbetta e 'l prato molle, Voi (chiese Apollo con fronte serena) Il chiaro fonte e bipartito colle Guardarete e 'l bel lauro, e quanto frena Il mio nume fìa vostro; indi s'estolle In ciel; ma pria del santo luogo esclude L'antiche donne, or fatta inette e rude. Sante Muse d'Euganea, ch'or' ne' colli Di Pindo, di Parnaso e d'Elicona Ite errando or ne' seni dolci e molli Di Permesso e d'Eurota, ove risuona L'aer di cigni; hor pe' candidi colli Spargete i crin bagnati nella buona Onda Castalia, hor' v'assidete a l'ombra De l'alber, che 'l valor d'ogni altro adombra. Hor' sotto ombrose quercie e alti faggi, Con le grazie tra fior' vermigli e gialli, Difese dai più caldi, ardenti raggi Al suon de' chiari, liquidi cristalli, Senza temer d'altrui ingiurie e oltraggi, Ite per questi prati e queste valli Cantando in sì soavi, dolci accenti, Ch'intorno ad ascoltar traete i venti. Ispirate al mio dir sì dolce canto Che la fiamma gentil, che 'l cor m'accese Co' suoi bei raggi squarci il freddo manto, Che di scaldarsi 'l cor aspre contese Face a sé stessa, o gli aggradite intanto (E mi fia assai) le mie amorose imprese Che 'n la più bella fiamma arde 'l mio core Che 'n terra mai fiamma accendesse Amore.[7 Di Jacopo Perusini]Di m. Jacopo Perusini da San Genese.Nimphe leggiadre dell'Euganee rive,Hor di Pindo, Helicona, e del bel monteParnaso fatte, e del Castalio fonte,Come piacque ad Apol' signore e dive;A chi sol di voi pensa, parla e scriveAltieri versi, elette rime e conte,Cingete l'onorata, altiera fronteD'edere, mirti, allori e bianche olive.Volgete solo al Negosante i raiDe' bei vostri occhi, et a lui sol rendeteSì che 'l gran merto agguagli alta mercede.E acciò suo chiaro stil non manchi mai,Col vostro almo liquor grate spegneteL'ardor che 'n le sue asciutte labbia siede.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)