Quid novi?

Rime di Celio Magno (26-28)


Rime di Celio Magno26 Vinezia prepara a guerra cento galere in soli otto giorni; e processioni, cessato il bisognoVidi questa del mar reina alteraportar di ferro il petto e 'l fianco adorno,et ad un cenno a' liti errar d'intornocopia d'armati legni invitta e fera.Vidi poi dietro a lei divota schieradi quanti in Adria fan dolce soggiornodoppiar con sacre faci il lume al giorno,cinto il cor d'umiltate e fede vera.Così Giove talor dopo il balenoe l'alto suon de l'armi sue tremendeempie d'ardenti stelle il ciel sereno.Quinci il suo gran poter, quinci s'intendesuo santo zelo: e l'uno e l'altro a pienopregiata al mondo e cara a Dio la rende.27In morte della signor Irene delli signori di SpilimbergoGiacea presso al suo fin, languida e vinta,la bella Irene, e sconsolato Amoremorir ne' vaghi lumi anch'ei parea.d'intorno a lei le Muse egual dolorescoprian con faccia di pallor dipinta,per cui rigando il pianto in sen cadea.E di lor una: — Ahi vergine — dicea,— degna sol per virtute ardente e chiara,il numero adeguar di nostra schiera;qual cruda stella e ferail commun danno nel tuo mal prepara?Qual destin vuol che 'n così verde etade,in sì bel corso di tua gloria manchi?Or quando fia che 'l mondo si rinfranchidel mal che sovra lui sì acerbo cade?Ahi non sia più ch'aggradeviver qua giù: poiché morte aspra e duraogni ornamento, ogni piacer ne fura. —Ciò detto, ecco che 'l gir più innanzi a l'opradel suo filo vital prescrive il Fato:onde la Parca già secarlo intende.ma, come agricoltor che 'n verde pratol'adunca e sottil falce in giro adopra,e de' suoi ricchi onor vedovo il rende,s'allor che per ferir il braccio stendefior vede adorno di bellezze nove,a cui fin su dal ciel Venere aspira,s'arresta, e mentre il mira,non usata pietà nel punge e move;tal essa, per tagliar la mano alzandoquel degno stame e 'l fior d'ogni virtute,ritarda il colpo; e le non più vedutegrazie in altra giamai fiso mirando,ed al suo fin pensando,nel cor sì duro, inespugnabil pria,sentì pietade entrar per larga via.Sentilla ancor; previsto il duro casocon le sorelle, il dì che 'l parto elettoprima i begli occhi in questa luce aperse;e de l'orto felice infra 'l dilettoprovaro il duol del suo futuro occaso;or di dolce, or d'amaro i cori asperse.indi lo spazio a misurar conversech'al suo viver segnava il cielo avaro;s'assiser presso a la gradita cuna.La conocchia avea l'unadi stame avolta prezioso e raro;l'altra con la sinistra indi traevaa parte a parte il ricco vello in giuso,e con la destra infra le dita il fusorotando in presto giro il fil torceva;la terza in man tenevaper troncarlo al suo segno il ferro crudo,e far d'ogni bel pregio il mondo nudo.Queste di sacro spirto accese in vistanascendo Irene incominciar tal cantodescritto negli eterni alti decreti:— Oh quanta grazia or dal ciel piove! Oh quantooggi per cotal parto il mondo acquistade' suoi doni più cari e più secreti!Fronte serena, occhi soavi e lieti,bocca e guance di rose e chioma d'oro,e d'ogni parte in lei beltà divinafarà dolce rapinaDi ben mille e mill'alme a gloria loro;né per altra giamai di più bel lacciocon onestate amor fia giunto insieme,o ricorrendo a sue forze supremerenderà stanco in più ferite il braccio.né fia che 'n foco e 'n ghiaccioaltri più dolcemente si consumidinanzi a due più vaghi e chiari lumi.Per sì leggiadro in lei corporeo velotrasparerà l'interna alma bellezza,qual per puro cristallo ardente luce.Di senno, di valor, di gentilezzafia chiaro specchio: e nel camin del cielocaste voglie e sant'opre avrà per duce.Che più? Quando le fronde altri produce,questa, come ben culto arbor fecondo,maturar si vedrà suoi dolci frutti.Per costei riconduttifian d'Aracne e d'Apelle i pregi al mondo;questa giungendo al dolce canto il suono,potrà far molle un cor di dura pietra:ond'una in mille a prova eletta cetraFebo a lei serba in prezioso dono,e già sacrati sonolauri e palme in Parnaso al suo bel nome,ch' aspettano d'ornarle ancor le chiome.Cresci dunque a fermar ne' nostri petticotanta speme, o fortunata prole,scopri i novelli rai del volto adorno;cresci, parto gentil, qual novo sole,e porta al mondo i suoi veri diletti:apri a tante sue notti un chiaro giorno.Già festosa t'annunzia d'ogn'intornodel tuo bel dì la desiata aurora,tal che ne rende il ciel puro e serenoe d'allegrezza pieno:e già del tuo splendor l'arde e innamora.Ecco che sparge il tuo lieto oriented'incenso e croco e mirra un largo nembo,e ti dispiega il suo purpureo gremboogni rosa, ogni fior vago e ridente;e salutar si senteil nascer tuo di sopra gli arboscellida ben mille canori e lieti augelli.Ma perch', ohimè, del ciel contraria vogliasul più bel folgorar de' raggi tuoia duro occaso ti destina e sforza?Perché del viver tuo l'arbitrio in noialmen non lascia? Acciò che mai nol togliadal suo corso felice etate o forza? —Così del Fato aprir la chiusa scorzale sacre dive, e 'l fero altrui palese;a che poi chiara prova il tempo aggiunse,finché lo stame giunseove l'amica dea la man sospese.Essa, che 'l tronchin, le sorelle prega,ma lor trova di sé non men pietose.tre volte il duro officio il ciel le impose,tre volte ella prestarlo indugia e nega;al fin, perché la piegal'immutabil destin, l'opra recise,e l'alma dal bel corpo in un divise.Ahi nemico destin, destin rapace,destin crudele e rio, poiché sì tostodi tanto ben ne spogli e di duol gravi!Dunque a sì degna vita hai pur fin posto?Dunque il sol di virtute estinto giace,per cui tu mondo, or cieco, alter andavi?E voi, già d'amor nido, occhi soavi,esca gentil di mille fiamme sparte,morte, ohimè, pur v'ha chiusi in sonno eterno.Anzi, se 'l ver discerno,desti or v'aprite in più beata parte:ivi pur giunti, al fin di vostra spene,de' rai del sommo sol lieti godete,e 'n atto d'umiltate a lui rendetegrazie, ché v'alzò tosto a tanto bene.Nova dea fatta è Irene,nova Pallade il ciel l'addita e chiama,e de l'altra non men la pregia ed ama.Se desio di veder, canzon, ti punge,qual doglia e pianto a tutto 'l mondo apportesì dura, acerba, intempestiva morte,segui ovunque di lei la fama aggiunge;ché non fia gente così alpestra e lungedal nostro mar che non ne pianga al grido,né fera in alcun lidosì cruda a cui pietà nel cor non passi:e vedrai forse ancor piangerne i sassi.28Al clarissimo signor Giorgio Gradenico fu del clarissimo signor AndreaA che la vostra bella alma sirena,che 'l cor vi prese col suo dolce canto,pur chiamate nel mar del vostro piantoe 'n questa valle di miserie piena?Ella or suoi giorni in ciel felici mena,con l'immortal cangiato il fragil manto,e voi del vostro amor scemate il vantocogliendo del suo ben lagrime e pena.Ben dava indicio in lei divino zelo,beltà divina a divin senno aggiunta,ch'era indegna sua stanza il mortal velo.Né dite: — Irene è tosto al suo fin giunta —;ch'anzi pur tardi ognor per girne in cieloda questo incarco vil l'alma è disgiunta.