Quid novi?

Il Dittamondo (4-05)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUARTOCAPITOLO VCercato il monte alpestro e romito con le mie guide, cosí per quei sassi discesi giuso, ond’io era salito. E poi ch’al piano con que’ due mi trassi, dimandai lor: "Quale è la nostra strada?", senza dar posa a’ membri, ch’eran lassi. E colui ch’era nosco: "Se vi aggrada d’essere in Tracia, questa da sinestra tien dritto lá sí come un fil di spada. E quest’altra, che ci è da la man destra, va in verso Acaia ed è piú presso al mare e l’una e l’altra è sicura e maestra". "Questa, disse Solin, si convien fare". E io a lui: "Poi che far si convene, qui non bisogna, omai, di piú pensare". Allor si mosse la mia cara spene e l’altro e io seguitavamo il passo, istretti sempre dietro a le sue rene. Io andava col capo un poco basso, ascoltando que’ due che dicean cose belle e antiche, che a scrivere qui lasso. E poi che fin ciascuno al suo dir pose, trovammo un fiume, che gran letto stende, grave a guadar per le pietre noiose. "Solin, diss’io, questo fiume onde scende?" Ed ello a me rispuose: "Del monte Ida surge una fonte, onde il principio prende. A volte, come l’uom la ridda guida, passando se ne vien per Macedona, in fino che nel mar Egeo s’annida. Partus ha nome, del qual si ragiona che Io, per li poeti, fu sua figlia, per la quale Argus perdeo la persona". E io: "Dimmi, il guado ove si piglia?" Ed ello a me: "A la nave si varca, ch’esser suol presso qui forsi a tre miglia". Cosí su per la ripa, che s’inarca, andavam ragionando, in fin che noi giungemmo ov’era a la piaggia una barca. Passati lí, disse ’l nocchier: "Se voi ite in Acaia, di salir la collina e di tenere ad austro non vi noi". Per quella via solinga e pellegrina, che ci additò il nocchier, andammo in fine che ci vedemmo intorno la marina. 45 "Qui, disse Solin, sono le confine d’Acaia, che da Acheo prese il nome, che re ne fu in fino a la sua fine. E guarda ch’ella è tutta nel mar, come isola fosse, salvo che la terra, 50 dove noi siamo, la tien per le chiome. Ricca è per pace e forte per guerra per lo buon sito e per la molta gente e perché ’l mar, come vedi, la serra. Ma passiam oltra e, andando, poni mente, 55 perch’è piú ver ciò che l’occhio figura, che quel che s’ode o imagina la mente". Secondo che mi disse, io ponea cura or qua or lá, ciascuna novitade addimandando, quando m’era oscura. 60 Io vidi e fui ne l’antica cittade che ’l nome prese dal figliuol d’Oreste e dove Polo di fama non cade. E vidi Stix che move le rubeste e grosse pietre con tanto furore, 65 che pare, a chi vi passa, che tempeste. E vidi dove surge ed esce fore Alfeo del nido e come la sua via va dritto al mar Cerauno, dove more. Vidi Chiarenza e vidi Malvasia 70 famosa e nominata piú al mondo per lo buon vin, che per cosa che sia. Cosí, cercando per quadro e per tondo questo paese, Inacus trovai largo di ripe e cupo nel fondo. 75 "Da poi, disse Solin, che veduto hai questa provincia, è buono d’aver copia come confina, ché altrove non l’hai. Lo mar Cerauno a levante s’appropia, dal mezzodí lo Ionio e da ponente l’Africo giunge e l’isola Casopia. Ma vienne omai e troviamo altra gente". E io: "Va pur, ch’i’ sono a la tua posta e ogni indugio è grave a la mia mente". Allor si mise propio per la costa, 85 ché noi venimmo in vèr settentrione, lá dov’io dico che la terra è posta. A la man destra, senza piú sermone andava io diretro a le mie guide, in fin che fummo al fiume di Strimone. 90 "Ecco l’acqua ed il ponte che divide – disse Antedamas e fermò il passo –Macedona da Tracia", come ’l vide. "Qui rimango io e qui è ’l vostro passo": onde Solin la man li porse allora, 95 dicendo: "Amico mio, a Dio ti lasso". E cosí li feci io e dissi ancora.