Quid novi?

Rime di Celio Magno (29-32)


Rime di Celio Magno29In morte della clarissimo signor Elena Mazza, madre del clarissimo signor Orsatto GiustinianoChi di lagrime un fiume agli occhi prestae mille lingue, onde si lagni, al core?Chi segue il mio dolorea celebrar la nobil donna estinta?Versi, meco piangendo, eterno umoreil ciel, con faccia nubilosa e mesta;sia di lugubre vestal'aria, l'acqua e la terra intorno cinta;pianga ogni alma gentil, dal dolor vinta;in pietà si distilli ogni aspro petto;piangan le fere ancor, piangano i sassi;ed ogni stil trapassiil mondo, in segno dar di tristo affetto:ché, se di tanto ben morte lo spoglia,dritt'è che senza fin pianga e si doglia.Era quella il suo lume, e 'n questa etated'antico onor nova Fenice apparse;ch'in altra mai non arsedi più saggi desir più nobil mente.Seguian suo volo, in larga schiera sparte,innanzi iva onestate,e cortesia, per farle scorta intente;nel mezzo ella poggiando alteramentecon umiltà compagna ir si vedea,pien di gioia e splendor l'aere d'intorno.Indi nel rogo adornodel cor, dove pensier santi l'accogliea,ai rai del sommo sole ardendo il velo,si rinovava ognor più bella al cielo.Con l'alma, in lei, de la corporea scorzala grazia tanto e la beltà rilusse,che qual più chiara fusse,mentre verdi fur gli anni, in dubbio pose.Amor suo seggio in lei dal ciel ridussecon l'arco sol, ch'i cor leggiadri sforza;e la più nobil forzadel foco suo nel bel volto ripose:ove fiorian ancor sì fresche rosenel verno di su' età, ch'in privilegiolor, del tempo parea ferma la rota.Ma, qual in parte ignotaben ricca gemma altrui cela il suo pregio,o fior ch'alta virtute ha in sé riposta,visse nel sen di castità nascosta.In sua virtute e 'n Dio contenta visse,lunge dal visco mondan che l'alme intrica;e se provò nemicafortuna, in vincer lei sue palme accrebbe.Ma bastò ben che le concesse, amica,parto gentil, per cui ricca se n' gissee gioia ognor sentisse,quanta forse per figlio altra non ebbe.Ch'eterno vanto a lui non men si debbe,di senno e di valor raro e sovrano,specchio d'ogni real, santo costume.Da cui splende tal lumedi mente pia, ch'abbaglia ogni occhio umano,poich'a lei, che 'l creò, l'aspra infelicemorte ancor fe' sembrar dolce e felice.Premea, d'inferno uscita, orrida pestedel bel sen d'Adria la cittade altera,spargendo, in vista fera,a lei dentro e d'intorno, e tosco e morte.Cadean l'afflitte genti in folta schiera,fremendo il ciel di pianti e voci meste;e le bare funesteporgean spavento ad ogni cor più forte.Oh quanti, chiuse a la pietà le porte,fuggian la patria e ciò ch'avean più caro,giunti fra via dal loro empio destino!Quanti vide il mattinosalvi, ch'a sera poi l'alma spiraro!Tutto era strage, e di pallor dipinti,pareano i vivi, a par de' morti, estinti.Mentre in sì strana guisa il crudel anguefa la rabbia sentir del suo veleno,ecco che 'l casto senodi lei ch'or piango, ahi duro fato, impiaga.L'abbandona ciascun, di tema pieno;sol resta il fido parto ov'egra, esangue,la genitrice langue;e di seco morir l'anima ha vaga.Sol ei, pronto a curar l'orribil piaga,porge l'invitta man, pietoso e grato,al dolce petto, onde già 'l latte prese.Fa quella alte contese,pregando s'allontani il pegno amato;l'un di suo ben oprar morte procaccia,l'altra cui più desia da sé discaccia.— Deh non voler che ti dian morte, o figlio,queste poppe — dicea, — che ti nodriro.Non far doppio il martiro;che vita avendo tu, nulla m'annoia.Io più nel tuo che nel mio petto spiro,e te veggendo almen fuor di periglio,chiuderò lieta il ciglio;salva in te la mia speme e la mia gioia.Là son già corsa ove 'l gir oltra è noia,e felice per te, mentre al ciel piacque,vissi; e per tua pietà, felice or moro.Sol la mia sorte i' ploroche d'altro morbo il mio mortal non giacque:ch'in queste braccia, ov'or per te ne temo,ti darei de' miei baci il pegno estremo. —Vita ricusa il nobil germe, e molleil materno rigor col pianto rende.A prieghi, a forza scende,sì ch'al fin amor vinto ad amor cede.Ahi, che tutto a suo scampo invan si spende,e contra morte ogni riparo è folle!Ma già non ti si tolle,del magnanimo cor ch'in te si vede,raro spirto, d'onor larga mercede.Fama inalza il Troian perch'ei, dal focofuggendo, se n' portò l'antico padre;tu per salvar la madretra le fiamme il perir prendesti in gioco.Ma fece forza al ciel tanta virtute,morte cangiando in tua gloria e salute.E tu che te n' volasti, alma gradita,da le tenebre nostre al sommo sole,ch'or visibil si coleda te, non più tra nebbie in fragil manto;pregalo umil ch'a la tua dolce proletempri l'aspro dolor di tua partita,e così degna vitadifenda ognor sotto 'l suo scudo santo.Acciò il valor di lui, ch'in pregio tantogià s'innalza e fiorisce, a la dilettapatria per lunga età risponda il frutto;e poscia, in ciel ridutto,n'abbia il premio divin ch'ivi l'aspetta:onde ambo, al fin del desir vostro giunti,pace eterna godiate in un congiunti.Canzon, su verde riva un sacro tempioin onor del materno amato nomeerge il pio figlio a chi trovar fu degnala gloriosa insegnache di morte per noi le forze ha dome;colà te n' vola, e ne' bei marmi impressa,alme sì degne ornando, orna te stessa.30In morte di madama Margherita di Francia, madre dell'altezza del signor duca di Savoia vivente, introducendo i suoi popoli a parlareMira dal ciel dove beata or vivi,alma real, del tuo funesto giornola mesta pompa al sacro busto intorno,e de' nostr'occhi i lagrimosi rivi;mira com'or di te, sua luce, privi,il tuo gran sposo e 'l tuo bel parto adornoin tenebre di duol faccian soggiorno,celebrando tuoi pregi alteri e divi.tu prega Dio ch'almen, se te piangemo,a lor, poiché 'l ben nostro in lor si serra,prolunghi oltra mill'anni il giorno estremo:perché qual di fortuna ingiuria o guerratemer si può, s'a nostra guardia avremote in ciel co' preghi e lor col senno in terra?31Sopra la sceleratezza machinata già molt'anni in Verona contra la persona dell'illustrissimo signor allora vescovo ValieroChe ponno armi e furor d'uman consiglise Dio n'ha in guardia? In sacro, occulto locoscoprio sol egli il cavo ferro e 'l focomortali insidie al suo diletto figlio.Turbò l'Adige l'onde al gran periglio,ché fu dal crudo fin lontan sì pocolui salvo, poscia, il duol rivolse in gioco,qual se da morte a vita aprisse il ciglio.Ma tu, ch'ignoto a tanto mai t'ingegni,com'è che 'l tenti? E sì fero desiocontra innocenza in uman petto regni?O nefand'opra, o secol empio e rio!Poiché d'uccider tenti i suoi più degnie cari figli insin nel grembo a Dio.32All'illustrissimo e reverendissimo signor Leonardo Mocenico, per la morte del serenissimo principe di Venezia il signor Luigi Mocenico suo zio di felicissima memoriaGiacque il vostro grand'avo, e fu ben drittolargo pianto versar d'acerba doglia;ma tempo è omai che 'l fren ragion raccolga,né varchi il senso oltra 'l camin prescritto.L'aver perpetua a noi stanza è interdittodentro a questa mortal, caduca spoglia;né più bel vanto avien ch'altronde uom cogliache dal pugnar con rea fortuna invitto.Chi può morte fuggir? Chi dar col piantoe co' lamenti al corpo esangue aita?Perché quel ch'a Dio piacque, aborrir tanto?Colma d'anni e di pregi al ciel salitaè l'alma, e gode, al suo fattor a canto,fuor di queste miserie, eterna vita.