Quid novi?

Il Dittamondo (4-11)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUARTOCAPITOLO XITu dèi creder, lettor, ch’io non iscrivo, in questi versi, cosa che non abbia verace testimonio o morto o vivo. Qui fui tra due confin, dov’è tal rabbia di genti, d’animai, d’acque e foreste, 5 che qual v’entra può dir ch’è in una gabbia. Qui vid’io tali che fan de le teste de gli uomin coppe e bevono con quelle come Albuino usava a le sue feste. Quivi udii io diverse novelle, 10 quivi cercai di strane regioni, quivi trovai di nove favelle. Io fui lá dove guardan li grifoni li nobili smeraldi e son come aspi, ti dico, fiere tigri over leoni. 15 Questi nemici son de gli Arimaspi che han solo un occhio e tolgon gli smeraldi, ché altra gente non v’è che quivi raspi. Dietro a monte Rifeo son questi spaldi, nuvolo e ghiaccio, ond’io non vi passai, 20 perché stella né sol par che vi scaldi. Ne la fine di Europa poi trovai gl’Iperborei, che hanno il dí sei mesi e sei la notte: e ciò non falla mai. Settanta miglia, per quello ch’io intesi, 25 erano o piú da lo golfo di Trazia a l’isola Apollonita, ov’io scesi. Qual vivo scampa a Dio de’render grazia, ché va per l’ocean settentrione, dove ’l mar Morto over ghiacciato spazia. 30 Ne l’isola Albacia son persone che vivon d’uova d’uccelli marini; e qui il mar Cronio e ’l Boristen si pone. Ne l’oceano, per quelle confini, in fra l’altre isole, una ve ne vidi 35 tal che, pensando, ancor ne arriccio i crini. "O luce mia, diss’io, che qui mi guidi, che gente è questa, c’ha piè di cavallo?" Ed ello a me: "Que’ son detti Ippopidi". "Questi non son, diss’io, d’andare a ballo; 40 e però quanto puoi pur t’apparecchia partir da loro e cercare altro stallo". Indi passammo a un’altra piú vecchia, dicendo: "Ecco i Fanesi, che le membra si veston, come vedi, con le orecchia". 45 "La gente di queste isole mi sembra che Dio e la natura gli abbia in ira, diss’io, né di piú trista mi rimembra." Ed ello a me: "Passa pur oltre e mira che, come son bestiali in apparenza, 50 cotai l’anime pensa che li gira". Presa di questi vera esperienza, tornammo a terra ferma, in su lo stremo silvano, freddo e con poca semenza. Si com’io il vidi, dissi: "Ecco lo scemo, 55 in fra me stesso, dove Lincus volse uccider, per rubar, giá Trittolemo". La guida mia, parlando, a me si volse: "Vedi ’l paese che la Fame graffia e donde l’Oreade giá la tolse. 60 E come leggi in molte pataffia, quest’è sí fuor d’ogni dolce pastura, che poco giova se pioggia l’annaffia". Cosí cercando la secca pianura, ed eravamo volti in verso sera, mi ragionò del cervo la natura, la vita e la beltà de la pantera, e quanto i pardi e i tigri sono destri, secondo che nel libro suo gli avera. Usciti fuor di quei luoghi silvestri, 70 venimmo in Dacia, ove gli uomini vidi piú belli, piú accorti e piú maestri. Esperto de’ costumi e de’ lor nidi, passammo in Gozia, dove l’oceano da tre parti percuote ne’ suoi lidi. 75 De le Amazone funno, al tempo strano, mariti e da Magog il nome scese; piú regni acquistâr giá con la lor mano. Imperando Valente, del paese Gotti, Ipogotti, Gepidi e Vandali 80 passâr Danubio con poche difese. Poi, dopo gravi affanni e molti scandali, presono Italia e in Africa ancora entrâr con navi, con galee e sandali. Sotto la tramontana, ov’ero allora, 85 vidi Isolandia, de la qual mi giova che memoria ne sia per me ora, sí per lo bel cristallo, ch’uom vi trova, sí che i bianchi orsi sotto il ghiaccio sale pescano in mare il pesce che vi cova. 90 Io non vi fui, ma per certo da tale autor l’udio, che senz’altro argomento lo scrivo altrui e far non mi par male: io dico lungo il mar, che qui rammento, uomini e femine magiche sono 95 ch’a’ marinai col fil vendono il ventoe quanto piace a loro aver ne pono.