Quid novi?

Rime di Celio Magno (86-87)


Rime di Celio Magno86Trovandosi alla corte di Spagna l'anno 1576, secretario con l'illustrissismo signor Alberto Badoaro cavalier, allora ambasciator presso sua Maestà catolica, e soprapreso da una ferma imaginazione di dover morire in quelle parti, compose questa canzoneMe stesso piango, e de la propria morteapparecchio l'essequie anzi ch'io pera:Ch'ognor in vista feram'appar davanti e 'l cor di tema agghiaccia,chiaro indicio che già l'ultima seras'appressi e 'l fin di mie giornate apporte.Né piango perché sortelarga e benigna abbandonar mi spiaccia:anzi or con più che mai turbata facciafortuna provo a farmi oltraggio intenta;ma se in cotal pensier l'anima immersageme, e lagrime versa,e del su' amato nido uscir paventa,Natura il fa che per usata normal'imagine di morte orribil forma.Lasso me che quest'alma e dolce luce,questo bel ciel, quest'aere onde respirolasciar convegno; e mirofornito il corso di mia vita omai.E l'esalar d'un sol breve sospiroa' languid'occhi eterna notte adduce,né per lor mai più luceFebo, o scopre per lor più Cinzia i rai;e tu lingua, e tu cor, chi vostri laispargete or meco in dolorose note,e voi piè giunti a' vostri ultimi passi:non pur di spirto cassisarete, e membra d'ogni senso vote,ma dentro a la funesta, oscura fossacangiati in massa vil di polve e d'ossa.O di nostre fatiche empio riposoe d'ogni uman sudor meta infelice:da cui torcer non licepur orma, né sperar pietade alcuna.Che val, perch'altri sia chiaro e felicedi gloria d'avi, o d'oro in arca ascoso,e d'ogni don gioiosoche natura può dar larga e fortuna,se tutto è falso ben sotto la luna?E la vita sparisce, a lampo egualeche subito dal cielo esca e s'asconda?e s'ove è più giocondapiù acerbo scocca morte il crudo strale?pur ier misero io nacqui; ed oggi il crinedi neve ho sparso, e già son giunto al fine.Né per sì corta via vestigio impressisenz'aver di mia sorte onde lagnarme:ché da l'empia assaltarmevidi con alte ingiurie a ciascun varco.contra la qual da pria non ebbi altr'armeche lagrime e sospir da l'alma espressi;poi de' miei danni stessil'uso a portar m'agevolò l'incarco;quinci a studio non suo per forza l'arcorivolto fu del mio debile ingegnotra 'l roco suon di strepitose liti:ove i dì più fioritispesi; e par che 'l prendesse Apollo a sdegno,ché se fosser già sacri al suo bel nome,forse or di lauro andrei cinto le chiome.Ma qual colpa n'ebb'io se 'l cielo aversopar che mai sempre a' bei desir contenda?e virtù poco splendase luce a lei non dan le gemme e l'oro?Né quanto il dritto e la natura offendas'accorge il mondo in tal error sommerso;al qual anch'io converso,de le fortune mie cercai ristoro,benché parco bramar fu 'l mio tesoro,con l'alma in sé di libertà sol vagae d'onest'ozio più che d'altro ardente:resa talor la mente,quasi per furto, infra le Muse paga;che de' prim'anni miei dolci nodricifur poi conforto a' miei giorni infelici.Un ben ch'ogni mal vinse il ciel mi diede,quando degnò de la sua grazia ornarmil'alta mia patria, e farmiservo a sé, noto altrui, caro a me stesso.Onde umil corsi ov'io senti' chiamarmia più nobil camin volgendo il piede.Così a l'ardente fedepari ingegno e valor fosse concesso,o pria sì degno peso a me commesso:che saldo almen sarebbe in qualche partel'infinito dever che l'alma preme.Quinci in quest'ore estremeella con maggior duol da me si parte;ch'ove a l'obligo scior la patria invita,non pon mille bastar, non ch'una vita.Dunque s'ora il mio fil tronca la duraParca, quanti ho de' miei più cari e fidiAmor cortese guidial marmo in ch'io sarò tosto sepolto;e la pietà ch'in lor mai sempre vidi,qualche lagrima doni a mia sventura.E se pur di me curaebbe mai Febo, anch'ei con mesto voltodegni mostrarsi ad onorar rivoltoun fedel servo onde rea morte il priva;prestin le Muse ancor benigno e pioofficio al cener mio;e su la tomba il mio nome si scriva:acciò, se 'l tacerà d'altro onor cassola fama, almen ne parli il muto sasso.Andresti e tu, più ch'altri afflitto e smorto,a versar sovra me tuo pianto amaro,mio germe unico e caro,s'in tua tenera età capisse il duolo.Ahi, che simile al mio destino avaroprovi: ch'a pena anch'io nel mondo scorto,piansi infelice il mortomio genitor, restando orbato e solo.misero erede, a cui sol largo stuolod'affanni io lascio in dura povertade,chiudendo gli occhi, ohimè, da te lontano!Porgi, o Padre sovrano,per me soccorso a l'innocente etade,ond'ei securo da' miei colpi acerbiviva, e de l'ossa mie memoria serbi.Ahi, ch'anzi pur, Signor, pregar devreiper le mie gravi colpe al varco estremo;dove pavento e tremoda la giust'ira tua, mentre a lor guardo.Tu, cui condusse in terra amor supremoa lavar col tuo sangue i falli miei,tu che fattor mio sei,volgi ne l'opra tua pietoso il guardo.Ch'or è pronto il pentir, se fu 'l cor tardoper la tua strada e volto a' propri danni:e con lagrime amare il duol ne mostro.tu da l'infernal mostrol'alma difendi e da' perpetui affanni;tal che d'ogni suo peso e nodo scioltadi tua grazia gioisca in ciel raccolta.Là su, là su, canzon, la vera eternapatria n'aspetta: a Dio se n' torni l'almache sol bear la può d'ogni sua brama.E poiché già mi chiamaa depor questa fral, corporea salma,prestimi grazia a la partita innanzi:ch'almen qualch'ora a ben morir m'avanzi.87Tornando a Venezia dalla corte di SpagnaPur m'apri, o Febo il desiato giornoche del mio duro essilio il fine apporta;e la tua bella scortadi vaghe gemme e d'or t'orna il sentiero.Anch'io m'accingo a strada lunga e tortaper far ov'io lasciai l'alma ritorno,spargendo il cielo intornode le tue lodi e del mio gaudio intero.Felice dì, che ben vince il primieroquando questo mio fral nel mondo uscìo:ch'allor nascendo a le miserie venni;or del mal che sostenniesco; ed al fonte d'ogni ben m'invioch'addolcir può con sua gioia infinitatutto il martir de la passata vita.Rimanetevi in pace alme contradeche 'l nobil Ebro e 'l ricco Tago inonda;siate amica e giocondastanza altrui pur, che me l'albergo offende.E s'aere in voi vital, terra fecondadi quanto ad uman uso in mente cade,fra pace e sicurtaded'ogni vanto qua giù degne vi rende,ingrato però 'l sole agli occhi splendeove ha tenebre il cor; né può presentestato goder chi del futuro ha brama.Benché di chiara famanon men ricco il sen d'Adria esser si sente;dov'ogni don del cielo alberga, e dovebramo anzi morte aver, che vita altrove.Oh come ardente il cor t'ama e desia,dolce mia patria, a cui s'io vivo e spiro,s'in me pregio alcun miro,dopo Dio debbo il tutto, e 'l corpo e l'alma.Come, s'al tuo splendor il guardo giro,ineffabil divien la gioia mia!Tu giusta e saggia e pia;tu d'ogni alta virtù trionfo e palma;tu vergine e reina invitta ed alma,porto di libertà, specchio d'onore,e tal che chi di te nasce entro il seno,paradiso terreno,fa dubbiar qual sia grazia in lui maggiore:o 'l nascer uom nel mondo, o l'aver nidoin sì felice e glorioso lido.Vedrò del mar uscir lungi le cimede l'alte torri e de' superbi tettich'al ciel sembrano erettinon da mortal ma da celeste cura;vedrò 'l duce regal co' padri elettic'hanno il fren de l'imperio alto e sublime,ne la cui vita esprimeogni essempio di gloria arte e natura;vedrò de' cari miei la gioia puranel volto e ne' sembianti impressa e viva,dando anch'io de la mia lagrime in pegno.E quasi stanco legnoche da lunga tempesta in porto arriva,beato quanto cape in mortal veloscioglierò i voti, umìle, al re del cielo.Deh, perché mentre il fral corporeo incarcoporta destriero al mio desir sì lento,cangiar in quel noi sentoche d'Elicona il fonte aprio col piede?Che giunto a la mia pace in un momentola strada e i giorni accorcerei ch'or varco;e ben deggio esser parcod'ore che sì felici il ciel mi diede.Ma 'l pensiero, il cui volo ogni altro eccede,verso il bramato ben dispieghi i vanni,e l'abbia sempre innanzi, e 'l miri e 'l goda:Talché con dolce frodadel camin le fatiche e 'l tempo inganni;e perché del piacer non manchi un'ora,sogni dormendo i miei diletti ancora.Ma se forse, canzon, tra via n'aspettamorte, deh prega il ciel che la sospendasol tanto, e fia pietà di pochi giorni,che dove ho 'l core io torni,e 'l caro oggetto una sol volta rendadi quanto amo e desio lieto a quest'occhi;e poscia a voglia sua l'arco in me scocchi.