Quid novi?

Rime di Celio Magno (99-100)


Rime di Celio Magno99 In morte del clarissimo signor Domenico VenieroPien di lagrime gli occhi e 'l cor di doglia,avara, invida tomba, a te ritornoche del saggio Venier l'ossa rinchiudi,per rinovar nel suo funesto giornodebite essequie a l'onorata spogliafra pensier di sua morte acerbi e crudi.Qui Febo e 'l coro suo tutti i lor studipongano in celebrar l'amato nome,fatta di sé corona al mesto sasso;qui di letizia cassoil lauro sfrondi le sue verdi chiome;qui Venere e le Grazie e degna schieradi sacri spirti ad un pianga e si lagni,e in lodar lui la propria lingua onori.Vestasi il ciel, sì come i nostri cori,d'oscuro velo, e 'l mio pianto accompagni;pianga il figlio diletto in benda neraquesta d'Adria gentil reina altera:e 'l suon di così giusti, aspri lamentiportin pietosi in ogni parte i venti.Giunt'era ei già con gli anni a quella etateche più maturi e più perfetti rendede l'alme nostre in questa vita i frutti,quando più la ragion de' sensi prendel'imperio, e gode in propria libertatede' suoi desiri al vero ben ridutti;e colmo qui fra noi se n' gia di tuttiquei doni onde virtù beato uom facee di quanti bei fregi ornan la mente.Cor di bontate ardente,di Natura e di Dio fedel seguace;sublime ingegno, ti cui felice volodovunque giunger brama ha facil varco,tanto umil più, quanto più in alto sale;nobil costume a cui d'onor sol cale,d'ogni men degna e bassa voglia scarco;senno e valor nel mondo o raro o soloe di bell'opre un glorioso stuolo:furon doti di lui ricche e superbe;or con lui spente, a noi son piaghe acerbe.scorgeasi fuor dal suo benigno aspettoun vivo raggio del bel lume internoche d'amor riverente i cori empia;e da la dotta lingua un fiume eternod'alta eloquenza e di saper perfetto,che rendea sazia l'altrui sete, uscia.Gentilezza, modestia e cortesiaeran fide compagne al caro fianco:che non avean più dolce albergo altrove.Quando fia ch'uom si trovedi giovar più bramoso e meno stanco?Ben sapea che per farsi a Dio simìlenon tenta studio uman via più sicura,né che di questa più l'innalzi al cielo;ma ver la cara patria arse di zelotal, che sembra di ghiaccio ogn'altra cura,tutto a lei dopo Dio divoto umìle.O sol di scettro degna alma gentilee ch'aprissero a lei per gloria lorola terra e 'l mar tutte le gemme e l'oro!Chi poi spiegar poria le lodi a pienode' dolci carmi suoi senza il soccorsode la medesma sua famosa lira?Nacque in grembo a le Muse; e prese il corsolà 've Parnaso il proprio aspetto amenonel chiaro specchio del suo fonte mira;e giunto al colmo, ov'altri indarno aspira,de l'onde sacre ebbe; e lieto il lauropiegò suoi rami in premio al degno crine.Poi di lui le divinerime Febo raccolse, alto tesauro:le quai, se per temprar il duol taloradi sua perdita amara o legge o canta,via più 'l cor turba e 'l sen di pianto bagna.Né men tristo ad ogn'or per lui si lagnache già per quei più chiari, ond'ei si vanta,e che più 'l suo bel colle e 'l mondo onora.Questo don, per cui sol mirabil forail pregio suo, può dirsi un raggio in luiche fu sì chiaro sole agli occhi altrui.E benché a' piedi infermi: aspra, importunadoglia la notte e i dì facesse oltraggio,che per tant'anni in cruda guerra il tenne,non però cesse il franco animo e saggioa l'iniquo furor di ria fortuna:anzi più chiaro il suo valor divenne.Tal fertil pianta, a cui dura bipennela scorza incida o tronchi intorno i rami,più vigor prende e si rinova e cresce;ché 'l danno util riescein cor che sol virtute apprezzi ed ami.Pigra, inerme chiamar vita si deveche senza oprar l'interne forze passicontra quel che combatte i sensi e l'alma;né s'agguagli alcun'altra a quella palmache 'l dolor che le membra e 'l cor trapassi,soffrendo vince, e frutto indi riceve.Così fe' 'l peso intolerabil leve,l'invitto spirto; e sovra i forti eroichiuse con doppia gloria i giorni suoi.Però d'ogni virtù lucente e purospecchio non sol tra noi vivendo apparse,ma fuor lungi diffuse altrove il lume;tal che 'l suo nome in ogni clima sparsela Fama, né da lei spiegate furoper alcun mai più volentier le piume.E quasi il tempio in cui d'Apollo il numeriverì Delo era il suo proprio nido:ove stuol suo divoto ognor concorse,che stupido in lui scorseper prova il vero assai maggior del grido.Ivi fioria non men ch'in Eliconacoro gentil di saggi, eletti spirti,d'ogni valor, d'ogni bel vanto amici;ivi assai più ch'altrove i dì felicimenava Febo, e di lauri e di mirtiper man di lui porgeva ai crin corona;e mentre del lor canto il ciel risuona,Nettuno, allor che più fremean le sponde,quetava per udirlo i venti e l'onde.Giace or estinto; e qual rifugio o scudotrovar, lasso, io potrò contra l'assaltodel duol che 'l cor m'opprime insano e cieco?Ma poiché 'l mio valor non va tant'alto,vivrò di pace e di conforto ignudo,spento chi di mia speme il meglio ha seco.Quanto ben, quanta gioia allor fu mecomentre in terra albergasti, alma felice!Quanto più chiari il sol m'aperse i rai!E me stesso pregiaine la tua grazia, mia vera beatrice;né di cotanto onor mi fece degnoaltro più che mia fede: in cui scorgestivoler che mai dal tuo non torse il ciglio.Tu la voce, la man, l'opra e 'l consigliopronti al mio ben, più ch'al tuo proprio, avesti,dolce di mia fortuna alto sostegno;tu fido lume al mio debile ingegno;tu mio ricco ornamento: ed è tuo donoquel ch'io so, quel ch'io vaglio e quel ch'io sono.Ahi cruda morte e ria, quanto in un puntoPrezioso tesoro al vento hai sparso!Che più di caro a me nel mondo avanza?Ahi, come il ciel di quel che dona è scarso,e poco dolce a molto amaro è giunto!Come ha 'l dolor vicin nostra speranza!Misera umana vita, oscura stanzadi pena e pianto; in cui se pur rilucequalche raggio di ben ch'appaghi il core,è sol per far maggioreil mal, ché doppio poi tormento adduce.Ma se spogliato di tutt'altro io vivo,tor già non mi potrà l' empio destinoch'ad onta e scorno de' suoi colpi acerbidentro il mio petto in mezzo 'l cor non serbil'amato nome, il suo valor divinoe 'l foco di mia fé più sempre vivo.E quando anco i' sarò di spirto privo,sfavillerà di grato affetto e pioverso la sua memoria il cener mio.Or tu dal ciel dove beata siedi,anima eletta, i miei sospiri ascolta,e fra lor gli onor tuoi sparsi e confusi.E se la lingua a celebrarti voltalungi è dal merto ond'ogni segno eccedi,pronto voler la debil forza iscusi.Né qual poveri sian miei versi esclusi:Ch'adorna ancora il ciel minuta stella,né sdegna i picciol rii l'immenso mare.Tu, Febo, tu fa chiarel'alte sue lodi, e tu, pregiata e bellaschiera che qui col mio mesci il tuo pianto,fate illustre vendetta incontra mortedel colpo reo che 'l cor tanto v'offese.E com'ei tutto ad onorarvi intese,così lauro più bel non si riportetra voi che per cantar suo nobil vanto:e risuoni il suo nome in ogni cantofinché d'intorno a la terrena moleavrà girando e corso e luce il sole.Ecco Febo, canzon, che del su' allorocorona sceglie e 'l bel sepolcro n'orna;e le compagne dee spiegando il gremboversan sul marmo un odorato nembodi quanti fiori è primavera adorna;segui l'essempio e tu del sacro coro:ch'io de l'ossa in onor ch'amo ed adoroverserò qui da l'aspre piaghe interne,quasi sangue del cor, lagrime eterne.100 In morte dell'illustrissimo signor Paolo Paruta, cavalier, procuratorPiangi, s'ami virtute, e inchina il sasso:qui giace il gran Paruta, ed in lui forsefiglio più degno il sen d'Adria non scorse,né fu di maggior lume orbato e casso.Mai de la patria in pro non sazio o lasso,vinse al merto ogni onor ch'ella gli porse;e volando al sovran, morte il precorse,ch'a lui chiuse anzi tempo invida il passo.Ma tempri il duol che quant'ei visse dirsipoteo felice; e 'n suoi purgati inchiostrivivrà sempre di lui l'effigie interna.E lo spirto divin ne' sommi chiostrivede or beato a la sua pace unirsi,godendo in terra e 'n ciel la gloria eterna.