Quid novi?

Rime di Celio Magno (126-136)


Rime di Celio Magno126Alma, che scendi in noi pura, immortale,primo pregio del mondo e meraviglia;luce, il cui raggio al sommo sol simigliae di quest'altro a la beltà prevale;tu, c'hai ministri in questo viver fraleangioli ch'a tua guardia apron le ciglia;alta cura di Dio, sua dolce figlia,per cui salvar vestio spoglia mortale;dunque sì tralignar non ti vergognida tanta stirpe e tuo splendor natio?E stai vilmente in tanti error sepolta?Deh sorgi omai lasciando l'ombre e i sogni,ché morte hai presso; e mostra al ciel rivoltache ti formar le proprie man di Dio.127Divino sol di rai pietosi adorno,fa le tenebre mia chiare e lucenti;né 'l chiamo mai ne' miei divoti accenti,che risplender nol veggia a me d'intorno.Spesso m'adduce a mezza notte il giorno,rendendo a pieno i miei desir contenti;spesso nel verno de' miei spiriti algentifiorir fa primavera al suo ritorno.Quanto più chiaro agli occhi miei risplende,tanto meno gli abbarbaglia; e la sua luceasconde al sonno sol che l'alma prende.Anzi allor m'ascond'io; ch'ei sempre luce,sempre mi desta al ciel dove m'attende;e se nasce in me frutto, egli il produce.128Quest'alma, o re del ciel, questa tua piantadatami a coltivar nel mio terreno,ahi, che già 'l suo vigor perde e vien meno,priva del sol de la tua grazia santa.Fra nubi atre d'error se stessa ammanta,sì che raro apre gli occhi al tuo sereno;e ingrata accoglie il tuo nemico in seno,ch'i rami e i fior d'ogni bell'opra schianta.Me n' pento or lasso; e prego umil ti prendapietà di lei, che pur tuo germe nacque,de' suoi falli sgombrando il nembo e 'l gelo.Ch'io notte e dì l'irrigherò con l'acquedel pianto mio, perch'a te frutto rendae teco viva poi translata in cielo.129S'or lieto più che mai, vago augelletto,con soave armonia d'ogni usa forameco ti desti a salutar l'aurorache sorge anch'ella in sì ridente aspetto,ben n'hai cagion: ch'in questo giorno elettocolui ch'al sole i raggi alluma e indora,nascendo venne a far tra noi dimora,cangiato il ciel con vil, povero tetto.Ma qual anch'io darò di gaudio segnose l'alto mio dever col tuo misuro,e 'l caldo affetto onde 'l mio core è pregno?Nacque sol per pietà del mio già durostato; e fe' col morir su l'aspro legnod'eterna vita il mio sperar securo.130Tuonaro i poli, aprissi il cielo e fuoretra luminosi lampi angel n'uscìo,che prima lieto nunzio il mondo udioportar la pace da l'eterno amore.Fendendo l'aria in giù per lungo errorescese ove nato il pargoletto Diotra la Vergine santa e 'l vecchio piocinto giacea di novo, alto splendore.Baciagli umile i piedi, e 'n mortal veloriconosce il divin verbo verace,e 'n lui comprende incomprensibil zelo.Poi, sé stimando in più mirarlo audace,alto levossi, e intorno per lo cielose n' gio gridando: — Pace, pace, pace! —131Vil verme io son per me, vil bocca indegnadi baciar il terren, non che 'l tesorodi questo legno in cui te, Cristo, adoro,dolce a me di tua morte, amara insegna.Dolce: ché di sperar fai l'alma degnaeterno seggio infra 'l tuo santo coro;amara: ché 'l martir lamento e ploroche per mia colpa in queste piaghe regna.Ma qual mi sia, Signor, tu mi creastia tua sembianza; e 'n corpo uman scendendola mia bassezza a la tua gloria alzasti.Ben infinito il mio fallir comprendo,ma nulla al sangue che per me versasti,e figlio fral pietoso padre offrendo.132Quel, che di stelle il ciel, di pesci l'acque,l'aria d'augei, di fior la terra, empio,Fattor del tutto, uom vero e vero Dio,sol per noi morto, in questa tomba giacque.Aver qui fine a l'Infinito piacqueper infinito error, ch'in sé punio;troppo aspro a sua bontà, troppo a noi pio;e quinci sol per noi sorto rinacque.Che non pur fe' lo spirto in noi beato,ma, seco unita, ancor l'umana salmaalzò da morte ad immortale stato.Qui, dopo giusta croce, o miser'alma,te non men chiudi; e, spento il tuo peccato,risorger spera a gloriosa palma.133A questa tua, Signor, sacrata mensad'ogni merto io digiun con umil mentevengo per ristorar mia fame ardentedel pan celeste che 'l tuo amor dispensa.Dove s'al fallir suo l'anima pensa,si sfida in tutto e sol morte ha presente;ma tosto avviva sue speranze spenterivolta al sol di tua pietate immensa.Dunque assicura il cor; felice fammid'aver te stesso in cibo; entra cortese,o re del ciel, nel mio povero tetto.Degna sempre albergarvi, e in grazia dammiche quel ch'io miro or qui velato aspetto,dopo 'l mio fine in ciel veggia palese.134Ramo infelice er'io che dal nativotronco, per cruda man, langue reciso,mentre m'avean, Signor, da te divisomie gravi colpe, e di tua grazia privo.Or che pentito un lagrimoso rivospargo umile a' tuoi piè chinando il viso,son a te ricongiunto; e in paradisovolto 'l mio inferno, in te rinasco e vivo.Amor sovra ogni amor benigno e pio;poter che tutto può; bontà infinita,Dio ne l'uom trasformarsi e l'uomo in Dio.Ma perch'io duri tal, tu stesso aita,Signor, mi presta; e sia tosto il fin mio:ch'un'ora toglie spesso eterna vita.135Mentr'io m'ergo a seguir con pura fedel'orme del mio Signor, ch'a sé m'invita,tu, pia madre di lui, porgimi aitae rinfranca al camin l'infermo piede.Fa che sia la mia voce, allor che chiedegrazia al tuo figlio, per tua bocca udita:che preghiera mortal via più graditaper te se n' passa ad impetrar mercede.Per te discese in terra il re del cielonostre macchie a lavar col proprio sangue;e per te dritto è ben ch'altri a lui saglia.Speri certa salute alma che languesotto il favor del tuo pietoso zelo:ch'altro merto non è ch'in Dio più vaglia.136Morte questa non è che 'l corpo fralerende a natura e di miseria scioglie;morte è quell'altra sol, ch'a l'alma togliegoder di vita in ciel vera, immortale.Ahi, che di questa breve aura vitalesol di pianto e dolor frutto si coglie,e dietro a prave e temerarie voglielungi dal proprio ben si spiegan l'ale.Ma qual tien Dio per guida alma gradita,sicura d'ogni mal che 'l mondo apportequi vive, e poi beata in ciel salita.O cieca dunque e lagrimabil sortedi chi gioir potendo in doppia vitaelegge anzi perir di doppia morte.