Quid novi?

Rime di Celio Magno (137)


Rime di Celio Magno137DeusDel bel Giordano in su la sacra rivasolo sedeami, ed al pensoso voltostanco i' facea de la mia palma letto;quand'ecco tra splendor che d'alto uscivaun dolce suon: ver cui lo sguardo volto,e pien di gioia e meraviglia il petto,scorsi dal cielo in rilucente aspettobianca nube apparir d'angioli cinta,ch'in giù calando al fin sopra me scesee in aria si sospese.Restò tutta a que' rai confusa e vintal'alma;e, certa che nume ivi s'asconda,le divote ginocchia a terra inchina.rotta la nube allor tosto s'apersee nel suo cavo sen tre dee scoperse,tutte in vista sì vaga e pellegrina,e tanto nel mio cor dolce e giocondach'uman pensier non è ch'a lei risponda;ma la prima che sparse in me sua luce,parea de l'altre due reina e duce.Questa in gonna d'un vel candido e purocoronato di stelle il crine avea,co' lumi bassi e tutta in sé romita;l'altra in verde e bel manto un cor sicuromostrando, le man giunte al ciel teneacon gli occhi e col pensiero in lui rapita;d'ostro ardente la terza era vestita,e frutti e fiori ond'avea colmo il senospargea con larga e con mai stanca mano.La prima in sovrumanoparlar disciolse a la sua lingua il freno,e: — O cieca — a me disse, — o stolta mentedi voi mortali, o miserabil seme,mentre lunge da Dio ve n' gite errandoed a' vostri desir pace sperandoove tra guerra ognor si piange e geme.Quel sommo eterno amor tanto ferventein tua salute, or grazia a te consenteche 'l vero ben da noi ti si dimostri:tu nel cor serba attento i detti nostri.Apre nascendo l'uom pria quasi al piantoch'a l'aria gli occhi: e ben quinci predicegravi tormenti a' suoi futuri giorni;né qua giù vive altro animal che tantosia di cibo e vestir privo e infelice,né ch'in corpo più fral di lui soggiorni.l'accoglie poi tra mille insidie e scorniil mondo iniquo; e 'n labirinto eternodi travagli e d'error l'intrica e gira:ch'ognor brama e sospiraoltra il suo stato, e sente un verme internoche le midolle ognor consuma e rode.Chi d'or la sete o di diletti appaga?Chi mai d'ambizion termine trova?e se pur dolce in tanto amaro prova,di soave veleno unge la piagae di mortal sirena al canto gode:ché quel ben torna a maggior danno e frode.ancor ch'ei ben non sia ma sogno ed ombra,che non sì tosto appar, che fugge e sgombra.Ma che dirò de la tremenda e ferafalce onde morte ognor pronta minaccia,sì ch'aver sol dal cielo un cenno attende?Ahi quante volte allor ch'altri più sperala sua man lungi e che più lenta giaccia,giunge improvisa e 'l crudo ferro stende!Voi, le cui voglie sazie a pena rendeil mondo tutto, e quasi eterni fostemonti ognor sopra monti in aria ergete,voi, voi tosto saretevil polve ed ossa in scura tomba poste.E tu ancor che m'ascolti, e 'l fragil vetrodel viver tuo saldo diamante credi,egro giacendo e di rimedio cassoti vedrai giunto al duro ultimo passo;e gli amici più cari e i dolci eredicon ogni tuo desir lassando adietro,fredda esangue n'andrai soma in ferètro.Oltra che spesso avien ch'uom moia comefera, senza sepolcro e senza nome.Misera umana vita ove per altramiglior, nata non fosse; e un sospir solode l'aura estrema in lei spegnesse il tutto.Suo peggio fora aver mente sì scaltra:ché 'l conoscer il mal raddoppia il duolo,e buon seme daria troppo reo frutto.Ma questo divin lume in voi riduttogiamai non more; in voi l'anima regna,che del corporeo vel si veste e spoglia.La qual, s'ogni sua vogliasprona a virtù, del ciel si rende degna;e quanto prova al mondo aspro ed acerbospregiando fa parer dolce e soave.Ma com'uom possa a tanta speme alzarsi,m'ascolta, o figlio; e benché siano scarsitutti umani argomenti, ove a dar s'haveluce de l'alto incomprensibil Verbo,quando umiltà non pieghi il cor superbo,tu però che di sete ardi a' miei raggi,vo' che 'l fonte del ver nei rivi assaggi.Mira del corpo universal del mondoil vago aspetto e l'animate membra,e qual han dentro occulto spirto infuso;mira de l'ampia terra il sen fecondoquante cose produce e quanto sembraricco del bello intorno a lui diffuso;e teco dì: “Questo mirabil chiusovigor ch'in tante e sì diverse formetutto crea, tutto avviva e tutto pasce,onde move? Onde nasce?Qual fu 'l maestro a tanta opra conforme?Qual man di questo fior le foglie pinse,e gli aperse l'odor, la grazia e 'l riso?Chi l'urna e l'onde a questo fiume prestae 'l volo e 'l canto in quel bel cigno desta?Chi dai lidi più bassi ha 'l mar divisoe per quattro stagion l'anno distinse?Chi 'l ciel di stelle e chi di raggi cinsela luna e 'l sole, e con perpetuo erroresì constante lor diè moto e splendore?”Non son, non sono il mar, la terra e 'l cieloaltro che di Dio specchi e voci e lingue,che Sua gloria cantando innalzan sempre;e ne sia certo ognun che squarci il veloche degli occhi de l'alma il lume estingue,e che l'orecchie a suon mortal non stempre.Ma l'uom più ch'altri in chiare e vive tempredee risonar l'alta bontà superna,se de' suoi propri onor grato s'accorge;e in sé rivolto scorgequanto ha splendor de la bellezza eterna.Ei di questo mondan teatro immensonobil re siede in più sublime parte,anzi del mondo è pur teatro ei stesso,e del gran re del ciel che mira in essola sua sembianza e tante grazie sparte,tutto ver lui d'amor benigno accenso.Ahi mal sano intelletto, ahi cieco senso!com'esser può che sì continua e foscanotte v'ingombri e 'l sol non si conosca?Che benché fuor di queste nebbie apertoscorgerlo invan procuri occhio mortale,tanto splende però, che giorno apporta.Questo in ogni camin più oscuro ed ertoè fido lume, e giunge ai piedi l'ale,e d'ineffabil gioia i cor conforta;questo ebber già per solo duce e scortamille lingue divine e sacri spirtiche 'l fero in voci e 'n carte altrui sì chiaro,e che 'l mondo spregiarotra boschi e grotte in panni rozzi ed irti.E voi ch'in tanta copia, alme beate,palma portaste di martirio atroce,o di che ferma in Dio fede splendeste,mentr'or sott'empia spada il collo presteporgete e di tiranno aspro e ferocecol mar del vostro sangue i piè bagnate,or di gemiti invece inni cantatefra l'aspre rote e fra le fiamme ardenti,stancando crudeltà ne' suoi tormenti.Noi fummo allor vostra fortezza e vostredolci compagne in quei supplici tanti:ché frale e vano ogni altro schermo fora.Così son giunte ognor le voglie nostred'un foco accese in desir giusti e santi:né l'una senza l'altra unqua dimora.Dio c'inviò per fide scorte ognorade l'uom, sì caro a lui diletto figlio:onde seco per noi si ricongiungae in sua patria giunga.Ma quella i' son ch'al ver gli allumo il ciglio,e d'aperto mirarlo il rendo degno,ove cieco salir per sé non bastae ove giunto ogni altro ben disprezza.Tu meco dunque a contemplar t'avezzaed a lodar con mente pura e castal'alto Signor di quel celeste regnodietro a me per la via ch'ora t'insegno;ma mentre le mie voci orando segui,fa che 'l mio cor più che la lingua adegui.O di somma bontate ardente sole,a par di cui quest'altro è notte oscura!Vera vita del mondo e vero lume!Tu, ch'al semplice suon di tue paroleil producesti e n'hai paterna cura;tu, c'hai il poter quanto il voler presume:o fonte senza fonte, o immenso fiumeche stando fermo corri e dando abondie senza derivar da te derivi!Tu, ch'eterno in te vivi,e quanto più ti mostri e più t'ascondi;tu, che quand'alma ha di tua luce vaghii suoi desir, le scorgi al cielo il volo,rinovata fenice a' raggi tuoi!Se nulla è fuor di te, che solo puoiesser premio a te stesso, e se tu solodai 'l ben, l'obligo avvivi e 'l merto paghi,s'ogni opra adempi, ogni desire appaghi,dal ciel benigno nel mio cor discendi,e gloria a te con la mia lingua rendi. —Mentre così cantava e del suo focodivin m'ardea la bella duce mia,l'altre ancor la seguian col canto loroe degli angioli insieme il sacro coro:del cui concento intorno il ciel gioìa,sembrando un novo paradiso il loco.Conobbi allor che 'l saper nostro è un gioco,e che quel che di Dio si tien per fedecerto è via più di quel che l'occhio vede.