Quid novi?

Rime di Celio Magno (138-149)


Rime di Celio Magno138[Ad Ascanio Pignatelli. 1]Desto amor dal mio amor è 'l tuo ch'or giunge,novo sole, ad aprirmi il dì più chiaro;e mentre ei m'alza de' più degni a paro,divini accenti a cortesia congiunge.Primo e tacito amai, scorto sì lungeil mio dal pregio tuo sublime e raro;or che tu mi precorri in stil sì caro,vergogna me del mio silenzio punge.Ma troppo oltra il mio merto, alma gentile,m'orna il tesor del tuo benigno affettocol farmi a te, che par non hai, simìle.E s'empie tanta grazia il mio diffetto,ragion è ben ch'in questo core umìletu, qual nume in suo tempio, abbi ricetto.139[2]Fetonte io sembro, o di valor tra noigradito sol: poiché raccolto splendonel lume di tua gloria, e 'l carro ascendosol di te degno e di famosi eroi.Ma quei morte ebbe in premio a' desir suoi,io, tua mercede, eterna vita attendo;quegli audace usò 'l dono, umile io 'l rendo,stella accesa restando ai raggi tuoi.Tal ch'ove il tuo splendor meco non giostri,sfavillar posso anch'io di qualche luce;ma di me nulla appar quando ti mostri.Se dunque è pregio in me, per te riluce;e s'han lume sovrano i giorni nostri,il chiaro sol di tua virtù l'adduce.140[A Bernardo Maschio]Pietà dunque è spogliar chi già si moredi quel conforto sol ch'in vita il tiene?Ed a l'altre ch'io provo acerbe penemedicina sarà mortal dolore?Non pò, Maschio, non pò né corso d'ore,né lungo essilio in peregrine arene,né quanto d'aspro e rio dal ciel mi vienepur dramma il foco mio render minore.Visse quest'alma sol quant'ella scorsel'amate carte; ond'or che 'l ciel le fura,ben son le mie giornate a sera corse.Ch'in un misero cor nova sventurainaspra il dente al duol che prima il morse,e d'amore al velen cede ogni cura.141 [A Domenico Venier]Ahi, che tant'alto, ove 'l tu' amor le ha scorte,la bassa musa mia non spiega l'ale;e dove apporta il ciel guerra fataleson l'umane difese inferme e corte.Ma quando al tuo destin sì iniquo e fortefosse atto di por fren canto mortale,qual vince il tuo di meraviglie? E qualeporia più del tuo scampo aprir le porte?Siati conforto almen ch'in gloria cresci,mentre per altro già celebre e noto,d'animo invitto in tanto mal riesci.E Dio sol prega d'altra speme voto,che tutto ei può: per lui di martir esci,o inchina il suo voler, servo divoto.142 [A Orsatto Giustinian]Non ha 'l mio cor giamai con più dilettopiù nobil cura in sé vivendo scortoche di giovarti; e 'n ciò pur mi confortodarti ancor segno del mio ardente affetto.Ma 'l render paghi a mie forze è disdettotuoi dolci prieghi: in cui te stesso a tortofrodi del vanto a me concesso e porto,benché tutto è d'amor cortese effetto.E se pur mentre teco alzarmi tentoin pregio e 'n fama, ove tu pieghi io stendotalor le braccia a sostenerti intento,son quasi fido legno a cui crescendoricco arboscel s'appoggia: e ornamentoda' tuoi rami felici e gioia prendo.143 [A Simone Contarini]Ben or sper'io che m'ami altri e mi stimee che Febo tra suoi non sdegni accorme,poiché m'orna tua grazia e tenta pormedal piè del bel Parnaso a l'alte cime.Sembri raro scultor ch'intagli e limeun rozo marmo e 'n vaga statua il forme;che 'l dotto stil, con cui tu mi trasforme,la gloria tua ne le mie lodi esprime.Così d'eterno onor paga è mia brama,che 'l ciel di tanto don povera fece:e mio tesor divien tua cortesia.Oh s'adempisse ancor l'ardente precedel poter innalzar la musa mialà 've 'l tuo merto e 'l suo dever la chiama.144 [A Giacomo Barbaro]Più di te vecchio legno in preda al ventoscorgo anch'io da vicin l'ora funesta,ché morte il san non men che l'egro infesta;ira con tai voci al cor porgo ardimento:a che tanto dolor, tanto lamentoperché ritoglia Dio quel che ne presta?A che deve uom bramar lunga tempestae del suo proprio porto aver spavento?Vissi; e potea lo spazio esser più corto.E se de' falli miei per tema imbianco,in lui che mi creò prendo conforto.Ciò pensa e tu: ma più ti renda francoche di te, sacro cigno, ancor che morto,non verrà mai la gloria e 'l canto manco.145[Ad Alessandro Turamini]Mira i bassi miei carmi occhio clementedi cortesia: ch'in te bell'alma imperamentre gl'innalzi; e la lor fosca serafai sembrar col tuo dir chiaro Oriente.Oh potess'io cantar sì dolcemente:ch'amollirei l'aspra mia donna e fera;e contra il tempo rio forte guerrerafora a schermirsi la mia debil mente.Ma può sbramarmi a par di Mincio e d'Arnoil bel Sebeto; e 'l mio nome e gli ardorisol render paghi il tuo soave canto:ché così fian per me voraci indarnol'onde di Lete; e da' tuoi propri onoricoglierò non sperato, eterno vanto.146 [A Domenico Venier, in nome del ritratto]Dentro al tuo cor più viva e bella siedecolei cui rassembr'io, nobil pittura;e più da morte in lui regna securamentre al mondo ne fai sì chiara fede.Oh qual grazia è la tua darle in mercedeeterno onor d'un ben che 'l tempo fura!Omai più non la punga invida curadel grido che 'l gran Tosco a Laura diede.Né men ti debbo anch'io del pregio coltodal tuo divino stil; che spiro in essodi corpo finto in viva forma volto.Ma pria ne lodo Amor ch'al ver sì pressofa gir il falso: onde in me credi accoltoquel c'hai ne gli occhi, e più ne l'alma, impresso.147 [A Valerio Marcellini. 1]Se declina il mio sol, non però sentospegnersi il foco in me del suo splendore;Ché non tanto m'accese il bel di fuore,quanto de l'alma il vago, alto ornamento.E s'or con quel mi scalda Amor più lento,con questo fa l'incendio ognor maggiore:ché s'avanza in beltà senil valore,ond'io più sempre son d'arder contento.Né perché del bel volto il tempo riooscuri il lume dal mio cor lo sgombra,a le cui fiamme eterne il ciel l'unio.Così nebbia d'error nulla m'ingombra:ché per gli amati raggi il pensier miodel sommo sol la vera luce adombra.148[2]Non creò Dio bellezza acciò che spentosia 'l foco in noi che per lei desta Amore;né temer del suo ardor deve il tuo core,poich'io, men forte assai, nulla il pavento.E s'a mirar quant'ella è frale intentoinvece di piacer t'empi d'orrore,perché l'onde solcar non stimi errorecon aspro, ove puoi gir con dolce vento?Meco dunque al ciel s'erga il tuo desioper miglior via; ché van timor t'adombra,posto il tuo gran valor troppo in oblio.Pensa che se beltà per morte sgombra,quasi raggio nel sol, ritorna in Dio;e più ch'altro è di lui vestigio ed ombra.149[A Costantino Ceuli]Quasi secondo sol, fuor del mar sorgeVinezia, e sparge rai di gloria intorno;Ché 'l vero Dio formò suo corpo adornoSì ch'altri a pena il crede e pur lo scorge.L'istesso alma è di lei, ch'ognor le porgeil moto e 'l lume: onde il suo bel soggiornogode d'ogni splendor perpetuo giorno,e qual fiorì più chiara, in lei risorge.Però, Ceuli, dal segno erra il tuo teloDando a bass'uom, com'io, sì altero vanto:e 'n ciò troppo d'amor t'adombra il velo.Spendi in lei sola il tuo pregiato canto,ché non puoi meglio altronde alzarti al cielo:e fia vestito il ver del proprio manto.