Quid novi?

Il Dittamondo (4-23)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUARTOCAPITOLO XXIIIOra si passa ne la gran Bretagna,a cui Bruto troiano il nome diede,quando in contro a’ giganti la guadagna. Albione prima nominar si crede; Anglia, apresso, da una donzella, 5 ch’Angla si disse, il nome procede.Tanto è l’isola grande, ricca e bella, che vince l’altre che in Europa sono, come fa il sole ciascun’altra stella. Di molti e grandi ovili largo dono 10 la natura v’ha fatto e piú ancora che sicuri da lupi star vi pono. De la gagata pietra ancor s’onora: di che Solino la natura propia quivi mi disse e come s’incolora. 15 Perle vi sono ancora in larga copia; le genti vi son bianche e con bei volti, sí come neri e sozzi in Etiopia. Chiare fontane e caldi bagni molti trovammo nel paese e gran pianure 20 e diversi animali in boschi sciolti. Frutte diverse e larghe pasture, belle castella e ricche cittadi adorne di palagi e d’alte mure, nobili fiumi e grandi, senza guadi, 25 carne, biada, e pesce assai si trova; giustizia è forte per quelle contradi. Non la vidi, ma tanto mi fu nova cosa a udire, e poi sí vi s’avera, che di notarla, com l’udio, mi giova: 30 che fra piú altre un’isoletta v’era, dove con coda la gente vi nasce corta, quale ha un cervo o simil fera. Vero è che, prima ch’escan de le fasce propie, le madri, senza alcun dimoro, 35 passano altrove e fuggon quelle ambasce. Non vi diei fè, ma fama è tra costoro ch’arbor vi sono di tal maraviglia, che fanno uccelli: e questo è il frutto loro. Quaranta volte ottanta il giro piglia 40 quindici volte cinque, senza fallo: e ’l giro suo è de le nostre miglia. Quivi si truova di ciascun metallo; quivi divota a Dio vidi la gente, forti, costanti e schifi a ciascun fallo. 45 Maraviglia non pare, a chi pon mente, se prodezza, larghezza e leggiadria vi fun, come si dice, anticamente. Tamelide, Norgales, Organia, Listenois, Norbellanda e Strangorre 50 volsi veder con la mia compagnia. Noi fummo a Londres e vidi la torre dove Genevra il suo onor difese, e ’l fiume di Tamis, che presso corre. E vidi il bel castel, cha forza prese 55 con li tre scudi il franco Lancialotto l’anno secondo ch’a prodezza intese. Vidi guasto e disfatto Camelotto e fui lá dove l’una e l’altra nacque quella di Corbenic e di Scalotto. 60 Vidi il castello dove Erec giacque con la sua Nida e ’l petron di Merlino, che per amor d’altrui veder mi piacque. Vidi la landa e la fonte del pino, lá dove il cavaliere al nero scudo 65 con pianto e riso guardava il cammino: io dico quando il nano acerbo e crudo, dinanzi a gli occhi di messer Galvano, battendo il menò via con grande studo. Vidi la valle che acquistò Tristano, 70 quando ’l gigante uccise a lo schermire, traendo di pregion qual v’era strano. E vidi i campi, ove fu il gran martire in Salibier, quando rimase il mondo vôto d’onor, di piacere e d’ardire. 75 Cosí cercando quell’isola a tondo, vidi e udio contar piú cose e piue leggiadre e belle a dir, che qui nascondo. Io mi volsi a Solino e dissi: "Tue, se ti rammenti bene, a dir lasciasti 80 del buon Guglielmo e de le rede sue". Ed ello a me: "Figliuol, ben ricordasti, ché ’l tempo è ora; e cosí dèi far sempre: coglier lo frutto a tempo, ché nol guasti: ché ’l fare e ’l dire hanno punti e tempre 85 che, chi prender li sa, fan così frutto, come ’l seme che buona terra assempre". Cosí quivi rispuose al mio costrutto. Apresso incominciò per questa guisa, per disbramare il mio disio del tutto, 90come ’l seguente capitol divisa.