Quid novi?

Rime di Celio Magno (151-165)


Rime di Celio Magno151Manda all'illustrissimo signor Ascanio Pignatello il proprio ritrattoEcco l'effigie d'un che sovra quantealme fur mai di tua virtute accese,T'onora e pregia, e dal tu' amor cortesegradito anch'ei se n' va felice amante.Ché se 'l camino a le bramose pianted'inchinarti presente il ciel contese,ben deggio quel ch'è tuo farti palesecon questo almen di me pinto sembiante.Quinci averrà che 'l tuo pensier più spesso,desto dal guardo, a mio favor si giri,e teco io viva ognor lungi e da presso.Pasci ancor tu, benigno, i miei desiride la tua imago; onde a quest'occhi espresso,come al cor, t'abbia, e 'l ver nel finto ammiri.152Al signor Berardino RotaRota, se del tuo ricco e bel lavoroche tessi in rime a le future gentivo contemplando i vari alti ornamenti,vinto, il guardo e 'l desio riman tra loro.Tal quando il ciel ne scopre il bel tesorode le notturne sue gemme lucenti,vien ch'altri indarno annoverarle tenti,come l'arene ancor del lito moro.Oh di che saldi e gloriosi marmisepolcro innalzi al tuo bel foco antico!Di che chiari trofei morte disarmi!Come ovunque t'invita Apollo amicosforzando alletti al suon de' dolci carmiogni cor fero e di virtù nemico.153All'illustrissimo signor Marco Veniero.Come in tela talora angusta e brevede la terra i gran spazi e del mar gli ampiseni e del ciel gl'immensi, adorni campivaga pittura in sé mostra e riceve;così nel picciol don, benché non leves'al pregio io guardo, al mio pensier tu stampidi tue chiare virtù ben mille lampi,ch'ognun per guide al ciel prender si deve.Tu d'alto e nobil cor, tu saggio e pio,tu de la patria tua sovrano lumee famoso di Febo eletto figlio.Ma 'l sol de' merti tuoi m'abbaglia il ciglio,e s'io tento appressar, m'arde le piume,vinti gli occhi, il poter, l'opra e 'l desio.154All'illustrissimo signor Bernardo NavageroSaggio signor: per quell'antico e degnolaccio onde tua virtute il cor mi strinse;per quel famoso allor che 'l crin ti cinsecome a nobil di Febo amato pegno;Per quell'ardor ch'a glorioso segnosempre l'opre e pensier tua mente spinse,e che sì vivo essempio in te dipinsed'alta bontà congiunta ad alto ingegno;per l'alma patria tua, ch'in onorartide' maggior premi suoi se stessa onora,sendo del merto men quanto può darti:deh fa che 'l frutto i' colga anzi ch'io morade' tanti miei per lei sudori sparti,ch'in tua benigna e giusta man dimora.155Al clarissimo signor Domenico Veniero [1]Qual di Meandro a le fiorite spondecanoro cigno in sì soavi accentil'aria intorno innamora e queta i ventie ritien di dolcezza il corso a l'onde?Qual rosignuol tra le riposte frondecosì dolce raddoppia i suoi lamentiche là non perda ove ne' cori intentialto diletto il cantar vostro infonde?Chi del più rio martir ch'Amor n'apportecerca riposo e medicina novanote v'oda formar sì dolci e scorte,e chi Cerbero mosso e Pluto al cantod'Orfeo non crede, a farne intera provafermi del vostro al suon l'orecchie alquanto.156[2]Qual da nobil radice arida e privadi succo in vista, uscir per vetro fuoresuol a forza di foco almo licorech'infermo sana e 'l vigor morto avviva,tal, mentre il caso rio per voi s'udivadi chi tanto v'offese, a voi dal corestillò per gli occhi un lagrimoso umoretratto fuor da pietate ardente e viva.O d'eroica virtute essempio espressodi sue vendette a Dio far largo donoe con lagrime pie sanar se stesso!Ben vinte in voi tutt'altre glorie sono:ch'a sovr'uman valor solo è concessodar per odio pietà non che perdono.157Al clarissimo signor Piero GradenicoNel novo seggio in cui Giustizia postoa guardia v'ha de le sue leggi sante,vi mostrate ver lei sì caldo amanteche null'altro è per fede a voi preposto.Stassi il rigor con la pietà composto,piange mesta la fraude a voi davante,né soave parlar torvi è bastantecon sua fint'arte dal camin proposto.Tal suole accorto augel, bench'altri il chiamied alletti col suon de' falsi accenti,non torcer punto agl'invescati rami;né per qualunque via prender vi tentiaffetto lusinghier con suoi dolci ami,son meno al dritto i pensier vostri intenti.158 Al clarissimo signor Orsatto GiustinianoQuando riporterà benigno il solel'anima, Orsatto, a me col tuo ritorno?la qual, bench'abbia in te dolce soggiorno,ch'anch'io teco non sia si lagna e dole;né men la tua, che meco albergar suole,langue al tardar di sì bramato giorno:e tu, d'amor con doppia ingiuria e scorno,sua pace ad ambe col tuo indugio invole.Tu non vivi, io non vivo; ambo siam lungida noi medesmi in questo amaro stato;ahi, che tropp'alto ben da noi disgiungi!Dunque rendendo a me l'aspetto amatol'alme dolenti ai corpi lor congiungi:e l'un de l'altro fa lieto e beato.159 Al clarissimo signor Vettor MarinoFra i tanti lumi del tuo raro ingegno,quasi in adorno ciel più chiare stelle,due splendon arti in te, sì vive e belleche vincon di natura ogn'alto segno.D'ambe la forza è di virtù sostegno,e i nomi altrui di mano al tempo svelle;l'una d'Omero onor, l'altra d'Apelle,ambe primo di Febo amato pegno.Questa pingendo parla, e morta spira,quella parlando pinge, e i morti avviva;stupido l'una e l'altra il mondo ammira.Così doppio al tuo crin lauro s'aggira,e poiché 'l pregio lor da te deriva,te formi ogni pennel, suoni ogni lira.160A messer Domenico TentorettoMentre ne' tuoi color sì propria miro,Domenico, di me l'imagin pinta,dubbio me n' vo se la natura è vintada l'arte, o pur s'in doppia vita io spiro.Anzi, se d'ambe al pregio il pensier giro,la vera effigie mia cede a la finta:ché l'una in me sarà da morte estinta,ov'io per l'altra a vincer morte aspiro.Specchio dunque chiamar del tuo valoreben mi poss'io fra l'opre tue più belle,onde acquisti al pennello il primo onore;e con tal grido già t'alzi a le stelle,che nulla invidio, o mio nobil pittore,ad Alessandro il suo famoso Apelle.161 [A Francesco Bembo]Da te pari al gran merto ornarsi miro,signor, non già da me, l'effigie pinta;Ond'io per te, per lei la morte vinta,in tua carta e 'n sua tela eterno spiro.Che s'al tuo lauro e agli altri il guardo giro,vera è la fronde tua, l'altrui par finta;e t'innalza virtù, l'invidia estinta,là dov'io col pensiero a pena aspiro.Ceda adunque il mio Apelle al tuo valore,benché vincan le sue l'opre più belle;e ceda anco Alessandro a me d'onore:ché scarse al suo desio negar le stellenobil poeta, e dier nobil pittore;a me dan novo Omero e novo Apelle.162Alla signora donna Giovanna Colonna d'Aragona Nel Tempio del RuscelliQuel lume che del vostro alto valoresplende, donna reale, in ogni parte,E con le chiare sue faville sparteaccende il mondo a farvi a prova onore,di sì caldo desio m'infiamma il coreche, s'a lui pari avessi ingegno ed arte,o quale in queste a uoi sacrate cartesegno darei del mio vivace ardore!Pur l'ardita mia voglia avrò per ducea ritrar appo l'altre al tempio appesequesta oscura di voi frale memoria;voi, come sol magnanimo e cortese,sostenete, che prenda e vita e lucedai raggi eterni de la vostra gloria.163 [In morte di Irene di Spilimbergo. 1]Vaghe stelle, del cielo occhi lucenti,onde quasi il dì spento or si ravviva,deh, se colei che di splendor vi privaparta dal suo Titon con passi lenti,mentre fra mille cor, che lei dolentiseguian, partendo Irene al ciel saliva,dite quanto al passar la casta divapregio le diè d'oneste voglie ardenti.Quali poi vi sembrar Pallade e quellache nel mar nacque, a le lor grazie conte,ambedue poste a paragon con ella;come al bel coro del Castalio fonteGiove l'aggiunse poi nova sorella,come Febo d'allor le ornò la fronte.164 [2]La bella man, che mille cor gentilisì dolcemente in nobil laccio avinse,e di sì bei lavor tela distrinsech'a suoi fur già d'Aracne i pregi umìli;l'industre man, chi volti al ver simìlicon stupor di natura e d'arte pinse;ch'al suon poi volta, ogni aspro cor constrinsetener tutt'altre gioie indegne e vili;la dotta man, con cui la bella Irenetessea ghirlanda a sé di verde alloro:morta or si sta con ogni nostra spene.Ma quant'altro negli occhi e ne' crin d'oroe 'n quel bel corpo il mondo a perder vienedi virtute e d'amor ricco tesoro?165[3]Di nobil pianta che da verde rivadomina e rende il Tagliamento adorno,sì bella verga uscia che d'ogn'intornol'acqua, la terra e 'l ciel di lei gioiva.Tra le sue vaghi frondi Amor coprivai più bei lacci; e mentre ardeva il giorno,facendo a l'ombra sua dolce soggiorno,con le Muse cantar Cinzia s'udiva.Troncolla in sul fiorir con falce avaramorte pur troppo, ohimè, cruda e rubella:ond'ogni cor ne pianse in doglia amara.Ben ne fe' poi ghirlanda amata e caraFebo; e mesto la pose ov'or con quellade l'antica Ariadna il ciel rischiara.