Quid novi?

Rime di Celio Magno (166-171)


Rime di Celio Magno166 [4]Quegli occhi, amor, ch'a te Natura tolseperch'ad un guardo sol l'umane gentinon avampasser tutte in fiamme ardenti,a questa nova dea conceder volse;E tal grazia e virtute in lor raccolsech'a strane meraviglie oprar possentifur primo ardor de le più nobil menti,e 'l più bel pregio il regno tuo ne colse.S'ella gli apria, bramar parean d'intornola terra e 'l ciel d'alta letizia pieniesser percossi dal bel guardo adorno;or che son spenti, e 'n loro a perder vieniogni tua gloria, a doppio danno e scornoun'altra volta, Amor, cieco divieni.167Rompa e disperga il ciel l'indegna retech'or vi tende crudel barbara mano;ma se pur del nemico empio inumanotroppo, ohimè, nobil preda esser dovete,me fido Acate sempre al fianco avrete.mai non sarò da voi tronco o lontano;fiami dolce ogni caso acerbo e strano,e 'l travagliar per voi pace e quiete.O di vera amicizia ardente affetto!Può la via questo ne l'inferno aprirsiper trarne spirto fuor caro e diletto.E perché in morte al fido amico unirsipossa, questo ancor suol con nudo pettoa mille piaghe, a mille strazi offrirsi.168A messer Marco VenieroCol ricco vaso e 'l suo purgato inchiostrodi voi, saggio Venier, cortese dono,scriver sol i' devrò ch'inferme sonomie forze in render grazie al merto vostro.E benché di Parnaso a l'alto chiostrobasso risponde de' miei carmi il suono,scriverò quel ch'in mente ognor ragionodi voi, novo splendor del secol nostro.Ch'Apollo, a cui sì caro esser vi sento,colmerà del mio ingegno i fonti asciutti,per vostra gloria a la mia gloria intento.Raro acquisto d'amor: poiché produttimi sono, ov'io mostrarmi, al mondo tentopiù grato in voi, da voi più dolci frutti.169 [A Diomede Borghesi. 1]Sì dolce al cor è 'l foco onde scaldollodonna ch'al mio pregar mai non s'arretra;ch'io non son mai di benedir satollod'Amor la face e l'arco e la faretra.Amor destò 'l mio ingegno; Amor guidolloin chiaro ciel da parte oscura e tetra:per lui del suo favor Febo degnolloe forse lunge il mio nome penètra.Quinci al giogo d'Amor lieto i' sottentroCon gli occhi sempre in un bel volto fissi;e son di vera fé salda colonna.Anzi al suo foco sì quest'alma unissich'in speme ancor d'amarlo e l'ardern'entroquand'io sia fuor di questa fragil gonna.170[2]Tu, se diè la tua speme indegno crolloe 'l cor omai di ria prigion si spetra,del giusto duol ch'in libertà tornolloringrazia umile il regnator de l'etra.Ma dove del martir che si gravolloha da sé svelta il cor la pianta vetra,inesta d'altro amor novo rampollo:ch'è sasso un uom che senza amar s'invetra.Dì pur: — Lieto il tuo calle, Amor, rientro;ch'esser non può ch'altr'abbia e tu 'l soffrissitanto rigor quanto in colei s'indonna. —Perché, Borghesi, raro invan servissi:e 'l tuo merto poria, s'io 'l guardo a dentro,mollir, non ch'uman petto, aspra colonna.171[Dalle Metamorfosi]Un augel sol v'è che si rinovae riproduce del suo proprio seme:Fenice in Siria detto, a cui dan cibonon biada o erbe, ma di puro incensolacrime e succo d'odorato amomo.Questa, poi che cent'anni ha cinque voltevivendo corsi, sopra un'elce ombrosao d'una palma tremolante in cimacon l'unghie e 'l duro rostro a sé compone,già vecchia e stanca, il fortunato nido.Di nardo con cinnamomo e mirracostrutto un rogo, a quel sopra si pone,e fra gli odor sua lunga età finisce.Quindi è fama che, eletto ad altrettantianni varcar, da le paterne membranasca di novo un pargoletto augello;il qual, come in robusta età si senteatto a peso portar, del grave nidodisgrava gli alti rami, e grato e piode la natia sua culla e del paternosepolcro insieme, a sé fa dolce soma:che poi, per l'aere a la Città del solegiunto, davanti a le sacrate portedel gran tempio di lui, depone e lascia.