Quid novi?

Rime di Celio Magno (174-187)


Rime di Celio Magno174 [A Virginia Salvi]Donna, fonte di grazia e d'onestate;pianta di frutti preziosi e cari;madre di nova dea degna d'altarie specchio eterno a la futura etate;vostro, vostro è quel pregio onde m'alzate:ch'ebb'io per me troppo i cieli avari.onde, acciò che l'un sol l'altro rischiari,l'alta vittoria voi cantando ornate.Che lodar me sembra un vestir d'or finopiombo che torna tosto in suo colore,spogliando quel che giusta gloria attende;sol basti a me che raro alto destinograzia mi fa del vostro nobil core,ch'amando solo altrui felice rende.175[A Beatrice Salvi. Primo]Qual per dolce liquor che 'l gusto ingannimisto diletta un cibo amaro e vile;o qual oscuro corpo appar simìlea bel color ch'in vetro il guardo appanni;tal, mentre vinti i Traci empi tiranni,lieta e vaga materia oltr'ogni stile,Beatrice, io canto: il mio sir aspro ed umìlev'alletta e piace adorno in falsi panni.E perché ancor via più s'asconda il vero,l'ornate in rime voi sì dolci e carech'altro cibo, altro bel l'alma non vuole;così acquistan dolcezza e lume interoda gloria e cortesia che non ha pare,del mio canto i concetti e le parole.176 [Secondo]O mia sorte beatrice, o cari inganni!O nobil del mio pregio esca e focile!Pur m'è dato per voi da Battro a Tilevolando gir con gloriosi vanni.Chi spera in premio mai, benché s'affanni,quel ch'a me giunge in don, ricco monile?Qual ragion, che non sembri invidia ostile,fia più che 'l mio dir basso incolpi e danni?Dunque agli eroi che l'alte imprese feroe di virtute al sol ch'in voi m'appare,questo cor renda grazie eterne e sole;e mentre ancor basciar presente sperola bella man che sì mi volse ornare,a star l'anima mia con voi se n' vole.177Sopra l'arte del predicare di fra Luca BaglioneQual di steril terren translata piantain più feconda e fortunata partetutta ravviva e le sue braccia spartedi nova e ricca pompa orna ed ammanta;tal del ben dir per la tua destra santafuor del suo nido uman translata l'artenel divin campo de le sacre carte,di più bei frutti e fior si gloria e vanta.Cogliete i dolci pomi, anime ardenti,di questa pianta, a Dio cara e gradita;né l'essempio d'Adamo alcun spaventi:ch'ove di quei gustando allor traditafu vostra pace, or fian questi possentidarvi, colti da voi, perpetua vita.178[A Francesco Melchiori]Fu 'l tuo dolor, qual cieca nebbia, spintoda quel sol di virtù che t'orna tanto;Che tu ben sai quant'uom vaneggia e quantoperde nei lacci ognor del senso avinto.E te mie rime già nel corso accintonulla spronar, bench'io me n' pregio e vanto;ch'anch'io chiaro per ciò ti splendo a cantode' tuoi raggi cortesi adorno e cinto.Sol per te dunque oscura e transitorianon fia mia Musa, e 'l gran Leon robustosol del mio pronto e buon voler si gloria;né in ciò me pur, ma lodar fora ingiustoOmero ancor: ché a sì degna memoriaogni tromba, ogni lauro è premio angusto.179 [In morte del signor Estor Martinengo]Dunque sì tosto avara morte il ciglio,Estor, t'ha chiuso? Onde in lugubre vestepiangon, quasi due madri orbate e meste,Brescia e Vinezia un lor sì nobil figlio?Dovea pur il valor, l'alto consiglio,le voglie solo a vera gloria deste,e quanto man ti diè larga celeste,render pio di quell'empia il fero artiglio.Ahi, ch'anzi te per ciò più presto giunse:ch'uom che farsi immortal per fama soglia,sempre d'ira e d'invidia il cor le punse;e trionfando in te di nostra doglia,dice or che de la tua mai non s'aggiunsea' suoi trofei più gloriosa spoglia.180[A Orsatto Giustinian e Domenico Venier]Dolce lite cortese; ove chi cedevince, et ad ambo vien gloria e diletto;ov'io da Febo in grazia arbitro elettodirò qual nel mio cor sentenza siede.L'un quel c'ha certo in man fa dubbio e chiede,e spron giunge a voler pronto e perfetto;l'altro amando aver dee tema e sospettoch'andar possa virtù senza mercede.Prega l'un dov'ha imperio; in vista agghiaccial'altro bench'arda, e i cor più freddi accende;e 'l ver ciascun seguendo il falso abbraccia.Ma tutto cortesia scusa e difende:e 'l canto e 'l merto in voi che l'alme allaccia,ambo d'ogn'alto onor degni vi rende.181A Orsatto Giustinian]Spesso per te goder da me si partel'alma, ove al corpo or è 'l camin preciso;e quando al mio sembiante il guardo hai fiso,ivi si loca, e sua virtù comparte.Quinci io non men nel dolce inganno ho partementre me scorger vivo in lui t'è aviso;e benché lungi, a te vicino assisopasco il digiuno, e 'l cor consolo in parte.O forse anco da te l'error si crea:perché 'l desio, ch'ognor di me ti strinse,dipinto agli occhi tuoi m'avviva e bea.Che spesso ancor a' miei sì propria finseamor tua imago, ovunque io li volgea:che lei per vera ad abbracciar mi spinse.182 [A Domenico Venier]Deh, s'allor che regnar Venere e Martea' voti altrui da strano amor conquisod'un corpo umano in duro avorio incisole membra fur di novo spirto sparte;perché mia pinta effigie, onde appagartea pien non puoi mentr'è l'occhio deriso,farsi viva non vedi? E d'improvisoformar parole, e di stupor colmarte?Che, stando or qui lontan per sorte rea,ivi al valor ch'a te quest'alma avinsevicin servir potrei, qual già solea.Ma se 'l merto di mille in te ristrinse,mille ancor Celii il ciel formar doveaper l'affetto agguagliar che 'l cor mi cinse.183[A Orsatto Giustinian]Qual rara sorte o qual celeste mano,dolce amico diletto, il laccio ordioCh'i nostri cor sì strettamente unioche d'essempio simil si cerca invano?Tu de l'anima mia desir sovrano,porto a' tristi pensier del petto mio;a te primiera e dolce cura anch'io,anch'io tuo porto in questo flutto insano.Felice nodo e degno sol che giuntopar d'amici sì raro, eterno tegnao con noi manchi in un medesmo punto;perché qualunque morte innanzi spegna,l'un pensando da l'altro esser disgiunto,mille morti a provar lasso non vegna.184 [A Tommaso Stigliani]Stigliani, ov'è Cartago? Ov'Ilio stesso,nobil ricchezza dell'etate antica?Tutt'edra vile e roza terra implicaperc'han del tempo al duro imperio cesso;solo all'arte è d'Apolline permessofuggir per lunga età Lete nemica.Non spregiar tuo tesor, ma t'affaticacon altri studi a non lasciarlo oppresso.Tuo però primo culto il lauro sia,ch'a lui nascesti. E s'util cerchi altronde,ciò fia per solo reggerti in tal via.Che quando di chi avvien ch'oggi circondeporpora, ogni memoria estinta sia,vivran tue carte a null'altre seconde.185[A Giovan Battista Marino. 1]Soverchio è ch'Amor cerchi a sue facellealtr'esca in cielo, ed al su' onor sostegno:bastan qui gli occhi del mio nobil pegnoper eterne dei cor fiamme novelle.E son le Muse a me scarse, non ch'elleergan mio canto di tue lodi al segno;che se ritrar tanta beltà m'ingegno,sembro di vano ardir guerriero imbelle.Ben tu, cui s'apre la Castalia venanon men ch'a Febo, hai forze eguali al pondoda celebrar l'alma mia dea terrena.Ma taci: ché 'l tuo dir dolce e facondopuò, lei furando, a me farsi mia pena,e cangiar anco in foco il mar profondo.186[2]Mentre, Marin, di gloria al sacro montecon franco volo alto valor t'estolle,qual Pegaso col piè toccando il collenascer fai de le Muse un novo fonte.Questo fra l'acque più famose e contedi dolcezza al mel d'Ibla il pregio tolle,e 'l pensier d'agguagliarlo è non men folledi quel per cui dal ciel cadde Fetonte.Specchiansi lauri e palme in sue chiar'onde,e di natura e d'arte ogni tesorocol rio si versa a le beate sponde.Te dunque il mondo ammiri; e col suo coroFebo stesso ti canti, e scarsa frondeal tuo merto divin stimi il suo alloro.187Saggia norma non è con voglie ardentil'ali sempre tener tropp'alto tese,né, sol mirando a troppo basse imprese,rader il suol con vanni pigri e lenti.D'Icaro il folle ardir gli altri spaventi,ché mentre ai rai del sol vicino ascese,privo di penne in precipizio scese,i suoi caldi desir fra l'onde spenti.Così chi mai non erge ardito il voltoove al poggio d'onor virtù l'invita,giace, palustre augel, nel fango involto.Dedalo infra gli estremi il mezzo addita:per cui con volo a miglior fin rivolto,fa sicuro camin l'umana vita.