Quid novi?

Rime di Celio Magno (201-215)


Rime di Celio Magno201 Del tu' ardor sol m'appago, e ben l'intendoquasi dagli altri lumi un sol distinto;né scior mai potrò 'l laccio ond'ho 'l cor cintose per te mille vite ognora io spendo.E d'esser tal ver te speranza prendoquando anco io sia di questa spoglia scinto;ma 'l tuo dir di rossor m'ha 'l viso tintovil oro in premio a tanta fé porgendo.E che giova ogni don, s'ha forza talech'in te rimansi, [e poco] io l'alma implicosì ch'è congiunto il ben, congiunto il male.Ma impoverir per me più sembra oblicose più del tuo che del mio ben mi cale:ed amando, ad amor ti fai nemico.202 Alla compagnia che recitò la rappresentazione fatta al serenissimo principe il giorno di santo Stefano 1585 Schiera gentil, ch'i nudi incolti carmidel mio finto Parnaso ornasti tantoche del vero Parnaso il suono e 'l cantomen potea ricco e glorioso farmi.Divino il tuo cantar, divino parmide la tua cortesia l'affetto e 'l vanto;ma qual vinca di lor vo dubbio, e in tantodi doppio nodo al cor sento legarmi.So ben c'hanno ambeduo forza infinita,versando in me piacer sì largo e novoche fia cibo perpetuo a la mia vita.Sol un amaro in tanto dolce io provo:ch'ove d'animo grato ardor m'invita,nulla al tuo merto il proprio sangue trovo.203 Dopo la vittoria Pur con tue forze il Trace in mar vincesti,fatta di gloria a par del sol lucente,Vinezia mia; pur in tua man possentel'arbitrio quasi e 'l fren del mondo avesti.Quinci al fero Ottoman si manifestiche teco sol può rimaner perdente;quinci tu 'l valor proprio e l'altrui mentescorgi, e qual grazia il re del ciel ti presti.Ma l'avanzo del ben da prima offertoserbò, qual padre un don ch'a dolce figliamostri, e 'l prometta ad altro tempo e merto.Tu segui ov'ei ti chiama, e speme pigliache n'avrai poscia ogni alto premio e certo,del mondo ancor reina e meraviglia.204 Né quel Caton che 'l ferro in sé conversede' cesarei trofei, da l'odio spinto,né qualunque altro mal, cedendo vinto,le crude man del proprio sangue asperse,de la fortezza il vero lume scerse:ch'anzi in lor fu da ciechi affetti estinto;e 'l vizio in ciò sotto sembiante fintode la virtute agli occhi lor sofferse.Di fortuna sprezzar l'ira e 'l furorepor freno al senso, e quando fuor tempestan'assale, dentro aver tranquillo il core.Sol in pro de la patria ed in onoredi Dio sacrarsi a vital morte onestaè de' più forti eroi norma e splendore.205 Musica del signor Giovanni Florio sopra la precedente canzone della vittoria. Come in leggiadra larva adorna il visocon ricca pompa suol ninfa mostrarsi,che del men vago ascoso ode lodarsiper l'eterna beltà ch'inganna il viso;così la mia che 'l Trace in mar conquisomusa cantò con nudi accenti e scarsi,sente, da te vestita, in pregio alzarsi,Florio, con armonia di paradiso.Ché chi le sue parole ode al tuo cantoe la contempla a' tuoi bei fregi mista,s'inganna, e l'orna del tuo proprio vanto.Quinci il volo da te mia fama acquista,e la tua verso il ciel s'innalza tantoch'altri ne perde, ad un col cor, la vista.206 Qual frutto acerbo suol d'inculta piantach'in povero terreno il ciel nodrisce,che, s'in licor soave altri il condiscerende sapor ch'ogni uman gusto il vanta;tal il mio stil che 'l Trace oppresso canta,nato d'ingegno in me che mal fiorisce,d'aspro dolce diventa, or che s'unisceda te con melodia celeste e santa.Che chi le note tue divine ascoltacrida ch'Orfeo con quelle avria potutoEuridice impetrar più d'una volta.Ma poi fra 'l dolce grave e 'l dolce acutoperdendo l'alma in quel concento involta,riman per meraviglia un sasso muto.207 Cortese albergo amico,che larga entrata destia' piacer nostri, e noi stanchi accogliesti;di che benigno cor creder debbiamoil tuo signor gentile,s'in te desio troviamod'acquistar lode in seguitar suo stile?Dunque allor ch'egli a ritrovar se n' vienede le sue cure in te dolce riposo,gli dì che ben possiamobramargli, come al suo valor conviene,altro assai più di te ricco e pomposoe real tetto adorno,ma nullo a par di te dolce soggiorno.208 [A Giulia Recanati] Quante, pria che da te faccia partita,cose udirò, che lunga istoria e bella;quante ancor tu da me, dolce sorella,più cara a me de la medesma vita.Ma quando al giunger mio dolce feritati darà al cor la subita novella,come festosa in atto ed in favellati vedrò presta al lieto nunzio uscita.Dirai, porgendo a me la fida mano,colma gli occhi di pianto e di diletto- O lungamente desiato invano! -E anch'io, teco a lagrimar costretto,languirò di dolcezza: - O senso umano!O mirabile in noi fraterno affetto! -209 Al signor Orsatto Giustiniano Piaga in ver troppo acerba, e cruda sortefu 'l perder lei, che vi produsse in vita:donna d'alto valor, saggia e gradita,or fatta dea ne la celeste corte.Ma ciò più ch'altro il duol tempri e conforte:che quinci in voi pietà rara infinitascoprio ver sé, mentre per darle aitapronto v'offriste a spaventosa morte.Non potea 'l vostro cor più ardente segnodar del su' affetto, e 'n più certo perigliomostrarsi a noi d'ogni alto pregio degno.Né d'ella ancor più gloriosa il cigliochiuder potea che con lasciar per pegnodi sé nel mondo un così nobil figlio.210 In morte dell'illustrissimo signor Paolo Contarini Mentre al celeste dal terren suo polosciolta e lieta se n' gia l'anima eletta,s'udì l'altera sua patria dilettacon tai voci sfogar l'acerbo duolo:non piango io già ch'a sì felice volote n' poggi dove il tuo Fattor t'aspetta;vattene a vita pur vera e perfetta,ch'ivi ogni nostro ben riposto è solo!Ma sol piango il mio mal; ché teco è mortode l'antica mia gloria un novo sole,né trovo al mio dolor pace o conforto.Se non ch'a queste luci orbate e solerisplende il lume tuo, vivo e risortoin più d'un sol de la tua chiara prole.211 In morte di messer Francesco Colombo Perché sì tosto, ohimè, Colombo amatospiegasti il volo al tuo celeste nido?E in duro pianto e doloroso stridolasciasti a morte il nostro cor piagato?Tu d'ogni santo e bel costume ornato,d'ogni valor, d'ogni più caro grido,facendo un paradiso il nostro lidopotevi ancor qua giù viver beato.Ma perché, stolti, a quest'umana sortepareggiar la divina? E pianger tantoch'in ciel tu goda, agli angioli consorte?Scusa l'error, felice spirto e santo,poich'al senso non diè fortuna o mortemai sì giusta cagion di doglia e pianto.212 In morte dell'illustrissimo signor Andrea Badoaro Piangea qual orba madre in nero mantoVinezia estinto il suo diletto figlio,ne 'l cor mai le trafisse e bagnò 'l cigliopiù grave duol con più dirotto pianto.Era, qual padre, il ciel lieto altrettantoveggendol fuor d'ogni mondan periglio,né raccolse giamai da lungo essiglioaltr'alma in sé con più letizia e canto.Quando d'alto s'udio lingua divinagridar: - Dio tel prestò, Dio l'ha produtto,or per sé 'l vuole, o d'Adria alma reina.Però del largo a te concesso fruttolodar più tosto il dei, divota e china,che render quel ch'è suo con doglia e lutto. -213 In morte di messer Bernardo Viviano Mentre il Viviano, a vera gloria intentotenendo il franco e generoso core,fa del suo giovenetto, alto valorenoi lieti, e d'Adria il sen ricco e contento;Morte, che del più bel caro ornamentosempre ne spoglia, e del maggior splendore,ha questo di virtù vivace fiorecon ogni nostro ben reciso e spento.Ma Dio fu sol che sì gradito pegnoritolse a questo vil secolo e tristo,perch'era ben di possederlo indegno.Piange or ciascuno, e dice, afflitto e tristo:- Non perdé 'l mondo più lodato ingegno,né 'l ciel fe' mai di più degn'alma acquisto. -214 In morte di madonna Lucrezia Zorzi Già sovra il sol de' begli occhi lucenticieca nube spiegava invida morte,e dicea 'l mondo: - Ahi, che men dura sortefora a veder de l'altro i raggi spenti! -Amor, com'uom che riparar pur tenticon arte al suo destin malvagio e forte,da le luci già quasi estinte e mortetolse il bel foco in mille faci ardenti.- Vivrà - dicendo, - almen perpetuo in queste;e fia racceso ognor ne l'altrui pettodal grido sol de la beltà celeste:che potrà il suon del chiaro nome elettofiamme destar via più cocenti e presteche 'l mirar vivo ogni più vago aspetto. -215 In morte del signor Giovan Francesco Lavezuola O d'umane speranze iniqua sorte!Ch'ove di maggior ben frutto s'attendeivi più tosto e d'improviso stendesue man rapaci invidiosa morte.Mentre d'ogni bel don che gloria apportete, Gianfrancesco, il ciel sì adorno rendee Verona per te più chiara splende,cadesti, ohimè, per destin empio e forte.Tal vago e nobil fior ch'in ricco pratosua pompa spiega, il capo a terra inchina,da ria tempesta o cruda man troncato;pianse questa di morte alta rapinapovero e mesto il mondo in ogni lato;e lieta al ciel poggia l'alma divina.