Quid novi?

Il Dittamondo (5-04)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO  IVCosí parlando e navicando sempre,passammo quella notte, che Morfeonon prese me con le sue dolci tempre. E, poi ch’io vidi ch’al tutto taceo, incominciai: "Assai ho ben compreso quanto m’hai detto e scritto nel cuor meo. Vero è ch’i’ son da piú pensier sospeso: i moti lor, come potrai udire, muovon da quel, ch’io ho da te inteso. L’un è che tu mi cominciasti a dire che Aries è diurno e masculino e ’l Tor notturno e feminin seguire; del Gemini e degli altri, poi, in fino al Pesce, mi tacesti l’esser loro: e cosí qui rimasi nel cammino. L’altro pensiero, sopra il qual dimoro, è che Aries di’ che mobile si vede e che fisso si truova apresso il Toro; e ’l Gemini, che dietro a lui procede, comuno il poni e ancor qui fai punto, lassando me com’uom che brama e chiede. E ’l terzo, dal qual sono ancor piú punto, è che tu di’ che de’ dodici segni la luna e ’l sol n’han due e non piú punto. Poi gli altri cinque, che mostran men degni ch’alcun di questi due agli occhi miei, di’ che ciascun n’ha due di questi regni. E però la cagion saper vorrei perché è data a costor piú signoria ch’a’ due, che mostran lassú maggior dei, a ciò che, se giá mai la penna mia di questa tema alcun verso dipinge, disegni la cagion per che ciò sia". "I’ penso ben, diss’ello, che s’attinge per te di questo il ver; ma come uom fai 35 che sa e per udire altrui s’infinge. A quel che prima dimandato m’hai, dico come in due segni i dieci vanno: e questo fu che piú non ne parlai; a la seconda, sí come i tre stanno 40 l’un mobil, l’altro fisso e poi comuno, così di terzo in terzo i nove fanno. Ma, perché tien la terza piú del bruno, far mi convien piú lungo il mio sermone, se cibar deggio il pensier c’hai digiuno. 45 Tu dèi sapere, e qui non è quistione, che Dio, che fece i cieli e gli alimenti, diede a ciascun quanto fu sua ragione. Principalmente so che mi consenti che partir me’ non si potrebbe il cielo 50 che in dodici parti, per piú argomenti. E se tra’ sette lumi, ch’io ti svelo, partir si denno, niun modo pare piú giusto, se ben cerchi a pelo a pelo, che diece segni, a due a due, dare 55 a cinque de’ pianeti; agli altri apresso uno a ciascun, ché me’ non si può fare. Ma qui è da veder qual sará desso l’uno dei due, che men porti gli affanni per aver solo un segno, e ire ad esso. 60 Sará Saturno, che presso a trent’anni pena a fare il suo corso? No, ché troppo andrebbe pellegrin per gli altrui scanni. O sará Giove, che li segue doppo, che dodici ne vuole? O Marti ancora, 65 che ne sta tre a sciogliere il suo groppo? O Venus, o Mercurio, che dimora ciascuno un anno? Non è quel la luna, che ’n dí ventotto o men suo corso fora? Questa passerá meglio ogni fortuna 70 ch’alcun degli altri, ché a sua gloria vene piú spesso e fuor di casa men digiuna. Ancor men grave ogni affanno sostene, perché da’ buon pianeti spesso prende gloria, fortezza, virtú, onore e bene. Per le dette ragioni, e perché scende a sua esaltazione in segno fermo, ristora, onde piú leve si difende. E voglio ancora che noti il mio sermo: la luna, che è feminina e mobile, 80 e sotto ogni pianeto a noi fa schermo, convien che ’l segno, ov’ha ricchezza e mobile, somigli a lei: adonqua il Cancro fia, ch’ è feminino e ’n fra gli altri men nobile. Mostrato per ragion che questo sia 85 quello che solo un segno debba avere, de l’altro è buon trovar la dritta via. Dico che ’l sole, c’ha vertú e podere, piú d’alcun’altra stella, e che dá luce a tutte e qui, come tu puoi vedere, 90 e che male e bene in lor produce, mal per congiunzion, ben per aspetto, e va per mezzo i sei sí come duce, può me’ soffrire e portare il difetto d’avere un segno e con minor periclo 95 che gli altri cinque, de’ quali io t’ho detto. Ancor, ciascun pianeto ha epiciclo per lo qual molte volte retrograda, onde ha men libertá a ogni articlo, salvo che ’l sole, lo qual per la strada, 100 senza epiciclo alcun, diritto sempre per lo suo deferente par che vada. E cosí puoi veder, se ben contempre, che me’ de’ cinque d’un segno si passa, perch’ è piú forte e ha men chi lo stempre. 105 Ancora, Leo, che nel ciel si compassa, che è fermo, diurno e masculinosí com’è il sol, del tutto a lui si lassa".E qui fe’ punto al suo caro latino.