Quid novi?

Rime di Celio Magno (216-231)


Rime di Celio Magno216All'illustrissimo signor Alberto Badoaro, cavaliereSignor, se misurando il proprio dannodel grand'avolo vostro il fin piangete,ah ch'in voi, non in lui pietoso sete:e dal senso ragion riceve inganno.O se per fonte pur le lagrim'hannoil mal ch'indi a la patria uscir vedete,deh nova piaga al cor non le giungetecon quel che nascer può dal vostro affanno.Chi può morte fuggir? Chi dar col piantoe co' lamenti al corpo essangue vita?Perché al voler di Dio lagnarsi tanto?Carca d'anni e di gloria al ciel salital'alma or si gode al suo fattor a cantofuor di queste miserie eterna vita.217In morte dell'illustrissimo signor Francesco Contarini, cavalier, procuratorAhi mio dolce signore, ahi mio secondopadre, imagin del primo a morte spinto,qual destin vuol ch'ancor te pianga estinto,con eguale aspra piaga, al cor profondo?Parto di tua pietà, rinacqui al mondo,l'empio furor di mia fortuna vinto;or, di te privo, in novo mar respintod'affanni io son, che non ha porto o fondo.Né di tua patria men sostegno e lumetu fosti: ond'ella meco, orbata e mesta,versa dagli occhi un lagrimoso fiume.Alma or beata in ciel, già in mortal vesta,sii pia ver noi; deh serba il tuo costume:ambo consola, e 'l tuo favor ne presta.218In sacro tempio, ove divota, umìleturba pace e perdono al ciel chiedea,sotto velo mortal celeste deam'apparve in vista a Citerèa simìle.Questa, in atto e parlar dolce e gentile,volto a me 'l lume, onde negli occhi ardea,degnò chiedermi in scorta, ove fremeal'onda del vulgo impetuoso e vile.Io, com'uom ch'alto dono a sé concessodi sognar crede, quindi fuor la scorgo,ben più d'ogni altro aventuroso duce;ond'ella sparse in me sì dolce luceche vinto io ne rimasi, ed or m'accorgoche per altrui guidar perdei me stesso.219Cor d'Aletto crudel, nemica mia,a torto accesa in me d'ira e di sdegno,ch'io, qual misero Orfeo, render m'ingegnocol canto a' miei desir benigna e pia;quando avrò da te pace? Oh quando fiach'almen t'incresca del mio strazio indegno,posto il velen, per cui pianger convegnomia speme uccisa allor che più fioria?Deh, se ver te mai non commessi offesa,mercé si desti omai dentro il tuo petto,onde mi sia la morte speme resa;e volto in gioia il mio doglioso affetto,con questa cetra, a miglior fine intesa,canti la tua pietate e 'l mio diletto.220Sentì non men che proprie in sé 'l mio corele due vostre profonde aspre ferite,da cruda, avara man di morte uscite,con tai voci sfogando il suo dolore.Dunque ben nata coppia, altero onoregià del mondo, or del cielo alme gradite,sete, ohimè, così tosto a noi spariteamari a noi lasciando i giorni e l'ore?Dunque né tal valor né tal beltatecon tal senno e parlar sì dolce accortopoteo trovar qua giù per voi pietate?Ma poiché 'l vostro merto a Dio v'ha scorto,porgete almen dal cielo amiche e gratea tanto nostro duol qualche conforto.221Ahi, ch'a debil soffiar di picciol ventonon cade torre ben fondata e salda,né leve offesa d'ira il petto scalda,sì ch'un verace amor ne resti spento.Fu 'l mio cor sempre a sol piacervi intentoné vive brama in lui più ardente e calda;ma, se v'offesi, pur s'emenda e saldal'error col vivo affetto, ond'io me n' pento.Dunque giusta pietà di prego umìleda voi m'impetri omai pace e perdono,onde non fu mai scarsa alma gentile;che senza sì pregiato e caro dono,qual occhio senza luce orbato e vileod uman tronco senza spirto, io sono.222Ahi, ch'empia sorte il mio signor pur serrain ria prigion, sol per mio grave affanno;che s'era vaga del suo strazio e dannofar anzi a me dovea sì acerba guerra.Io son l'anima sua, che 'l regge in terra;da lui gli spirti miei vita sol hanno;a me sue piaghe, a lui tormento dannoi colpi, che fortuna in me disserra.O prigion lunga, o fato iniquo e duro!O cor mio, fossi almen dentro anch'io teco,e si doppiasse allor la porta e 'l muro.Ch'ivi è mia dolce libertà, non meco;ivi è il mio sol; qui piango il giorno oscuroin carcer senza te più mesto e cieco.223Se tela variar di seta e d'orosapea, qual voi, con dotta, industre mano,l'antica Aracne, avria Pallade invanopalma sperato al suo più bel lavoro.E quando nude, esposte in Ida foro,per aver di beltà vanto sovrano,le tre dee, voi scegliea giudicio sano,se foste giunta a paragon tra loro.E se Diana ancor per santo zelodi verace onestà lassù riluce,quanto di splender voi più degna in cielo?Poich'in voi tanto de l'eterna luce,novella dea, dal bel corporeo velofuor per ben mille raggi a noi traluce.224Notturno amante a la sua diva in senodi soverchio gioir, languendo, isvenne;ella, ch'in tutto, ahi lassa, estinto il tenne,i sensi dal partir perdeo non meno.Ma il ciel, d'aver turbato il lor serenopentito, un sì gran mal più non sostenne:che l'un e l'altro in sé tosto rivenne,di spavento, di duol, di gioia pieno.Così provar l'inferno e 'l paradisoambo ad un tempo; ambo, confusi il core,cangiaro il riso in pianto, e 'l pianto in riso.Chiaro specchio ad ogni un, ch'invido Amoreè da compito ben sempre diviso:e mesce col piacer sempre il dolore.225Per Laura arse il gran Tosco: ardo non menoanch'io per Laura; ei con soave cantofe' la sua ricca di sì nobil vantoche l'immortalità la serba in seno.Io l'istesso farei se 'l bel serenosguardo fosse ver me pietoso alquanto;che quei celesti lumi han valor tantoche scioglier pon di muta lingua il freno.Deh non tolga, cor mio, pensier crudelea voi tal gloria, a me giusta mercede,né s'odan sempre invan le mie querele;che se vostra beltà punto non cedea l'altra, abbiate e voi servo fedelech'al mondo apra i tesor che 'l ciel vi diede.226Oh quanto esser mi dei diletto e carotu, che col raggio e 'l suon l'ore mi mostri,che, fermando il tuo corso, i piacer nostrifesti incauti al fuggir del tempo avaro.Per te mie gioie allor si raddoppiaro,tal ch'invidia non ebbi a gaudî vostri,alme beate ne' superni chiostri,finché mi colse il dì nascente e chiaro.Ed a quel che provai, breve spavento,salvo or pensando, alto piacer ne piglio,e dolce al cor, quel poco amaro i' sento.Ma s'altro fin sortia sì gran periglio,io ben chiuder potea lieto e contento,dopo tanto diletto, in morte il ciglio.227Spiega ne l'aria pur l'umide penne,movi, Noto, con fronte oscura e bruna,e folte nebbie d'ogn'intorno adunaquante usar per Giunon mai ti convenne.Indi, se d'aspro duol ch'altri sostenneti punse il cor giamai pietate alcuna,versa con tal furor pioggia importunach'al mondo il ciel novo diluvio accenne.Perché non sol partirsi indarno tentiCinzia, ma del camin ch'oggi preparaper così tristo augurio ognor paventi.Che senza la sua vista amata e caraben vinceria le tue stille cadentide le lagrime mie la pioggia amara.228[1]Del labirinto in cui chiuso e smarritoper voi mi tenne sì gran tempo Amore,senza aver mai dal ciel penne o valoreda levarmene fuor pronto e spedito,questa è la porta pur; qui pur, seguitolungo fil di speranza e di doloreal fin son giunto, o mio soave ardore,da la vostra pietà pur fatto ardito.Dunque con voci a la mia lingua scortedal vivo ardor c'ha nel mio cor ricetto,eterne grazie a voi per me son porte;e poiché chiuso m'è l'avorio schiettodi quella man che mi legò sì forte,quest'uscio bacio, pien di caldo affetto.229[2]Tu dai rubini d'oriental colorea bel candor di schiette perle unito,onde il vago di lei volto arricchitoporge altrui nel mirar gioia e stupore,porti sì grato odor, che di minorestima è quel che dan gl'Indi al nostro lito;e tra le note sue da me sentito,rende agli spirti miei vita e vigore.Io benedico il dì ch'Amor soggettoa voi, donna, mi fece; e diè per scortele vaghe luci onde 'l mio stato è retto.Sol in ciò meno avien ch'io mi conforte:che mentre chiuso m'è l'amato aspetto,farsi veggo mie gioie e tronche e corte.230 [3]Ma bench'io sia di fuor, dentro il mio corese n' passa a voi, mia vita; e 'n voi rapitogioisce or ne' begli occhi, onde feritoprovò lunga stagion tema e dolore.Ma perché anch'io del dolce almo splendoreseco non godo, a pien di pene uscito?Ma duro intoppo al già quasi fornitocamin ritrovo, e resto in cieco orrore?Deh m'aprite il riparo onde intercettom'è, quasi un sol da nebbia densa e forte,il vostro chiaro e desiato aspetto.Giorno sereno il vostro aprir m'apporte,e non lasci ch'in voi picciol diffettoturbi la mia tranquilla e lieta sorte.231 [4]Ma che giova viar nobil convitoche renda intorno prezioso odoree prometta al gustar divin sapore,s'è tolto il pascer poi nostro appetito?Quasi Tantalo i' son, cui dolce invitofan le poma pendenti e 'l chiaro umoreche invan per sete e per digiun ne more;e sempre il suo sperar piange fallito.Ma non vogliate, ohimè, dolce mia morte,ch'io sì presso languisca al mio diletto,tal che vostra pietà biasmo ne porte.Ché se m'apriste già del vostro pettoper man d'Amor l'adamantine porte,perch'entrar questa, or m'è per voi disdetto?